Trasferimento, trasferta, distacco


Il datore di lavoro può spostare il lavoratore dal luogo di lavoro originario solo in presenza di precise condizioni di legge; ecco tutta la disciplina prevista dalla legge in questi casi.

Il luogo in cui il dipendente deve eseguire la propria prestazione lavorativa viene stabilito all’atto dell’assunzione e può essere individuato in un punto fisso (come la sede dell’azienda o dell’unità produttiva cui il lavoratore è assegnato) oppure essere identificato con un ambito territoriale (come la zona assegnata nel caso del venditore o piazzista) o ancora non essere predeterminabile per particolari tipi di attività (come nel caso dei trasfertisti tenuti per contratto ad espletare la propria attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi).

Durante lo svolgimento del rapporto, il luogo di lavoro inizialmente stabilito può essere variato dal datore di lavoro, con le limitazioni stabilite dalla legge e dai contratti collettivi.
Ciò avviene in caso di:

  • trasferimento
  • trasferta
  • distacco.

Vediamo singolarmente tali ipotesi.


IL TRASFERIMENTO INDIVIDUALE

La legge stabilisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva a un’altra se non per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive.
Si deve trattare di un trasferimento tra unità produttive della stessa azienda.

Pertanto, i trasferimenti all’interno della medesima unità produttiva non dovrebbero necessariamente essere giustificati da esigenze tecniche, organizzative e produttive. Ma, in alcune sentenze, la giurisprudenza ha sottolineato che, per tutelare il lavoratore dai disagi personali e professionali conseguenti a modifiche del luogo di lavoro senza ragioni valide, la tutela predetta si applica anche nel caso di spostamento della sede di lavoro all’interno della stessa unità produttiva.

Forma e motivazione

Il trasferimento potrebbe essere disposto anche oralmente, ma i contratti collettivi prevedono di norma la forma scritta (proprio per provare le ragioni tecniche, organizzative e produttive sottese al trasferimento e alla scelta del lavoratore da trasferire).

Ad ogni buon conto, salva diversa indicazione del contratto collettivo, il datore di lavoro non deve necessariamente indicare, nell’atto di trasferimento, le ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a fondamento del trasferimento stesso.

L’obbligo di indicare tali ragioni, infatti, scatta solo se il lavoratore ne faccia richiesta. Il datore, in tal caso, deve fornire tali chiarimenti entro 5 giorni dalla richiesta: se non lo fa, il trasferimento diventa inefficace.
La mancata richiesta dei motivi da parte del lavoratore, peraltro, non equivale ad acquiescenza al trasferimento e non impedisce, dunque, a questi di contestare in giudizio l’illegittimità del trasferimento stesso, fermo restando che nell’un caso come nell’altro, spetterà al datore di lavoro l’onere di provare in giudizio le ragioni giustificatrici del trasferimento.

Limiti previsti dalla legge

La legge prevede dei limiti al potere del datore di trasferimento:

  1. Il lavoratore handicappato maggiorenne ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di sevizio più vicina al proprio domicilio.
  2. Il lavoratore che assiste un soggetto handicappato in situazione di gravità non ricoverato a tempo pieno (coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti) ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere.
    In entrambi i casi i lavoratori in questione non possono essere trasferiti ad altra sede senza il loro consenso.
  3. Il trasferimento dei dirigenti delle Rappresentanze sindacali aziendali da un’unità produttiva a un’altra non può essere disposto senza il preventivo nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza. Il divieto perdura sino alla fine dell’anno in cui è cessato il mandato.
    L’intento del legislatore è evidentemente quello di tutelare il rappresentante sindacale dalla eventualità che il datore di lavoro possa, a scopo discriminatorio, allontanarlo dalla unità produttiva che lo ha espresso.
  4. Il lavoratore eletto amministratore di un ente locale non può essere trasferito se non con il suo consenso.
    Il lavoratore può chiedere di essere avvicinato al luogo in cui il mandato viene svolto: in tal caso il datore di lavoro deve esaminare la domanda di trasferimento con criteri di priorità.

Decadenza per l’impugnazione del trasferimento

Per quanto riguarda la decadenza per l’impugnazione del trasferimento, si applicano le  stesse norme previste per l’impugnazione del licenziamento.

Trasferimento collettivo

Il trasferimento collettivo coinvolge interessi più generali rispetto a quelli implicati in un trasferimento individuale. In particolare il trasferimento collettivo si distingue da quello individuale in quanto esso riguarda una collettività di lavoratori considerati non in modo individuale, ma quali componenti di una unità produttiva o di una parte di essa.
Per i singoli lavoratori trasferiti resta ferma la possibilità, anche dopo l’effettuazione dell’esame in sede sindacale in ordine alla ricorrenza delle ragioni giustificatrici del trasferimento, di impugnare il provvedimento di trasferimento al fine di ottenere una verifica giudiziale circa la sussistenza delle esigenze tecniche, organizzative e produttive richieste dalla legge.


TRASFERTA E “TRASFERTISTI”

Anche la trasferta implica un mutamento del luogo in cui il lavoratore è tenuto a prestare l’attività dedotta nel contratto di lavoro.
Tuttavia, mentre nel caso di trasferimento il mutamento del luogo di lavoro è definitivo, nel caso della trasferta tale mutamento è provvisorio.
In sostanza il datore di lavoro, nell’ambito dei poteri di organizzazione dei fattori della produzione che gli competono, a fronte di sopravvenute esigenze di carattere transitorio e contingente, può modificare temporaneamente e provvisoriamente il luogo di lavoro.
Venute meno le esigenze che avevano determinato l’invio in trasferta del lavoratore questi rientrerà al precedente luogo di lavoro.

Lavoratori “trasfertisti”

I cosiddetti “trasfertisti” sono invece quei lavoratori tenuti per contratto all’espletamento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi.
Le indennità e le maggiorazioni retributive spettanti a questi lavoratori concorrono a formare il reddito nella misura del 50%, anche se vengono corrisposte con carattere di continuità.
Per la qualificazione della fattispecie è necessario che la normale attività lavorativa si svolga contrattualmente al di fuori di una sede di lavoro.

IL DISTACCO

Nel caso di distacco (o comando), invece, non si ha un mutamento del luogo di lavoro, ma piuttosto si ha che il titolare del rapporto distacca il suo dipendente presso un’altra azienda che lo inserisce nella propria organizzazione e ne utilizza le prestazioni lavorative.
Si ha quindi distacco quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone in via temporanea uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa (il distacco può riguardare anche dipendenti assunti a termine).
L’originario datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore e a suo carico permangono gli obblighi relativi alle assicurazioni sociali.
Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore.
Quando il distacco comporti un trasferimento a un’unità produttiva sita a più di 50 Km di distanza da quella cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
L’interesse alla base del distacco può coincidere con qualsiasi interesse produttivo dell’imprenditore distaccante diverso, ovviamente, da quello della mera somministrazione di manodopera.

Distacco in situazione di crisi aziendale

Al fine di evitare riduzioni di personale in situazioni di crisi aziendale, gli accordi sindacali possono regolamentare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa in crisi a un’altra per una durata temporanea.
Secondo il Ministero del lavoro, il distacco può essere applicato al fine di evitare il ricorso sia alla cassa integrazione straordinaria che a licenziamenti collettivi.

 

Fonte: La legge per tutti

 

 

 

 

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