Pensioni: è realistica l’ipotesi di Quota 41 per tutti?


Secondo le stime della Cgil il costo sarebbe di appena 1,2 miliardi per il primo anno, molto più basso di quanto previsto dall’Inps che invece giudica questa ipotesi la più esosa tra quelle sul tavolo


 

Quota 41 può davvero essere la soluzione giusta per sostituire Quota 100? L’ipotesi di riforma delle pensioni caldeggiata dai Sindacati prevede che si possa lasciare il lavoro a prescindere dall’età anagrafica, a patto di aver versato 41 anni di contributi. Si tratta di un’ipotesi di riforma che però è piuttoso onerosa. Almeno secondo la relazione annuale 2020 dell’Inps che stima un impatto sui conti di 4,3 miliardi il primo anno per raggiungere i 9,2 miliardi dopo un decennio. Molto minore è invece il costo ipotizzato in dall’Osservatorio sulla Previdenza della Cgil e della Fondazione Di Vittorio.

Secondo le stime la riforma costerebbe 1 miliardo e 242 milioni nel 2022 e 1 miliardo e  292  milioni nel 2023 per poi diminuire negli anni succesivi. Nel 2024 Quota 41 avrebbe un costo pari a 1miliardo e 115 milioni, nel 2025 pari a 975 milioni di euro e nel 2026 di 851 milioni.

Nell’analisi viene stimato il costo di tale intervento tenendo anche conto dell’esperienza di ‘Quota 100’ che secondo il sindacato ha ampiamente dimostrato che, in un sistema misto, non tutti coloro che possono accedere al pensionamento anticipato decidono effettivamente di utilizzare questa possibilità. E questo, sostiene la Cgil, avverrà in misura sempre maggiore nei prossimi anni essendo il sistema contributivo molto più incentivante alla permanenza al lavoro. “L’analisi – spiega Ezio Cigna, responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale – stima i costi dell’accesso al pensionamento con 41 anni di contribuzione a partire dal 1 gennaio 2022, tenendo conto solo di quelli derivanti della quota retributiva, unica componente che può essere considerata come un costo aggiuntivo, visto che la parte contributiva sarebbe solo un’anticipazione di spesa”.

Dobbiamo ragionare su dati di spesa più realistici – sostiene Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil nazionale – considerando che negli ultimi anni le previsioni di altre misure previdenziali, come la norma sugli usuranti, le salvaguardie, opzione donna, Ape e precoci e da ultimo Quota 100, hanno sempre fatto registrare un livello di spesa notevolmente inferiore a quello preventivato”. Insomma, per la Cgil non ci sono dubbi: la riforma è sostenibile. Ma bisogna segnalare anche il fatto che altre stime non sono così ottimistiche.

Pensioni, le tre opzioni studiate dall’Inps

Nella sua relazione annuale, l’Inps ha analizzato tre scenari dal punto di vista degli effetti economici sulla spesa pensionistica nel breve e lungo periodo. Nello specifico, si sono analizzate la proposta di consentire il pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall’età, l’opzione al calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi e un’opzione di anticipo della sola quota contributiva della pensione.

Dall’analisi emerge che la prima proposta è la più costosa e arriva ad impegnare fino allo 0,4% del prodotto interno lordo.
La seconda, più equa in termini intergenerazionali, produce risparmi già poco prima del 2035 per effetto della minor quota di pensione dovuta all’anticipo ma soprattutto ai risparmi generati dal calcolo contributivo.
Nell’ultima proposta analizzata si garantisce flessibilità solo per la componente contributiva dell’assegno pensionistico con costi molto più bassi per il sistema. Nel lungo periodo tutte e tre le proposte portano a una riduzione della spesa pensionistica rispetto alla normativa vigente.

Fonte: www.today.it

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