La Grande Guerra, o Prima Guerra Mondiale, in Italia viene spesso ricordata come la “Guerra 15-18”. In realtà il conflitto ebbe origine nel 1914; sul fronte occidentale gli scontri tra Tedeschi da una parte e Anglo-Francesi dall’altro avevano avuto inizio già dall’estate 1914, toccando da subito vette di brutalità e violenza che mai l’umanità aveva conosciuto fino ad allora.
Eppure, nel dicembre 1914 avvenne qualcosa che in molti definirono un miracolo, di cui si fa fatica a trovare traccia nei libri di storia.
Il conflitto, che si era immaginato come una guerra di rapido movimento grazie ai progressi della tecnologia, ben presto divenne qualcosa di estremamente diverso. Proprio a causa della potenza di fuoco delle nuove armi, gli eserciti cominciarono a scavare trincee per ripararsi. Quella che la propaganda dell’epoca aveva prospettato come una cavalcata esaltante si rivelò un incubo spaventoso trascorso a nascondersi sotto terra tra fango, freddo, fame, topi, pidocchi, malattie. Una condizione che accomunava entrambi gli eserciti, che spesso si fronteggiavano a distanza di pochi metri, pronti a sparare per uccidere chiunque osasse sporgersi.
Non ci fu un segnale convenuto. In più punti, lungo il fronte, il 24 dicembre cominciarono a verificarsi episodi del tutto inattesi: i soldati smisero di sparare e cominciarono a scambiarsi gli auguri, dapprima timidamente poi in modo sempre più convinto, cantando insieme inni natalizi, incontrandosi nella terra di nessuno per stringersi la mano, scambiarsi doni, addobbare alberi di natale improvvisati, fotografarsi insieme. Il 25 dicembre 1914 si svolse addirittura una partita di calcio tra Inglesi e Tedeschi ad Ypres, in Belgio. La stessa località nella quale si erano già svolti scontri sanguinari e che, di lì a pochi mesi, passerà alla storia come la prima nella quale sarebbe stato utilizzato il terribile gas di cloro, non a caso passato alla storia col nome di Yprite.
La tregua finì così com’era cominciata e già il giorno 26 su quasi tutto il fronte si ricominciò a sparare e morire. I comandi degli eserciti coinvolti, saputo dell’accaduto, ordinarono che nulla trapelasse all’esterno. In effetti i giornali dell’epoca parlarono pochissimo delle “tregue di Natale”, che raramente trovano posto nei libri di storia.
Successivamente furono severamente vietate tutte le forme di fraternizzazione con il nemico, minacciando la fucilazione per i “traditori”. In effetti, a parte sporadiche eccezioni, durante il prosieguo della guerra non si verificarono più episodi analoghi.
Restano le testimonianze di chi visse quel piccolo miracolo, attraverso le lettere spedite a casa dai soldati e sfuggite alla censura. Questo è un esempio, tratto dal sito Lagrandeguerra.net.
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Volendo approfondire, esistono libri che raccolgono le lettere dei soldati che vissero quell’esperienza straordinaria. Un esempio è:
La Tregua di Natale – Lettere dal Fronte AA.VV. – Ed. Lindau
Cosa c’insegna questo episodio?
Prima di tutto un fatto oggettivo: la guerra non è un desiderio degli uomini, che spesso la subiscono senza neanche capirne le ragioni, fomentati dalla propaganda che porta a vedere i nemici come dei mostri assetati di sangue. Ma se si trova il coraggio di attraversare la terra di nessuno e guardarsi negli occhi si scoprono gli stessi sguardi, le stesse paure, la stessa voglia di tornare dalla propria famiglia. E questo è intollerabile per chi vuole che le guerre continuino.
Negli ultimi mesi abbiamo sentito spesso paragonare la situazione di difficoltà dovuta alla pandemia ad una guerra. Paragone del tutto illogico, che dimostra come in molti non abbiano la più pallida idea di cosa sia una guerra. Ma un elemento in comune c’è.
In momenti di crisi risaltano sicuramente i peggiori istinti delle persone, ma sono anche le occasioni in cui il senso di umanità più profondo emerge con prepotenza. Quanto ci manca la possibilità di incontrarci, di abbracciarci di baciarci? Il desiderio di contatto è talmente forte da spingere, durante la Grande Guerra, degli esseri che facevano sempre più fatica a sentirsi umani a sfidare le pallottole pur di recuperare un minimo di calore. E oggi lo stesso bisogno di contatto ci fa desiderare di agire in modo sconsiderato, rischiando di esporre al contagio noi e le persone a cui teniamo. Con una differenza: il virus non conosce tregue, anzi sfrutta i nostri momenti di debolezza per colpirci.
Non avremmo immaginato un Natale come questo del 2020, però dobbiamo sforzarci di ragionare, e capire che la tutela delle persone a cui teniamo è più importante rispetto ad una tombolata o un cenone.
Sicuramente sarà un sacrificio, ma dobbiamo ricordarci che alle precedenti generazioni sono stati richiesti sacrifici ben più pesanti, e loro non hanno potuto sottrarsi.
Auguri a tutti voi ed alle vostre famiglie, con la speranza di tornare presto ad incontrarci di persona e guardarci negli occhi.