La guerra fredda tra Capitale e Lavoro


La guerra tra Capitale e Lavoro, alimentata durante quattro secoli di capitalismo, aveva trovato in Occidente, alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, un compromesso (di frequente astioso), che è durato fino alla caduta del muro di Berlino.

l rapporti che legavano tra loro il Capitale europeo e il Lavoro europeo vengono di fatto esplicitati nel mondo durante l’età florida dell’imperialismo, ossia nel periodo compreso tra la seconda metà del 1800 e l’inizio della prima guerra mondiale (1914): in questo periodo si assiste ad una integrazione economica dei paesi sottosviluppati, sotto forma di Colonia, in un sistema economico mondiale dominato dai paesi industrializzati. Negli Stati Uniti fu l’età dell’oro, che vide la nuova economia industriale estendersi fino ad abbracciare l’intero continente dietro la spinta del capitalismo verso la supremazia economica. In sostanza, gli eredi speciali di quel titanico sistema economico del capitalismo e delle tecnologie, le quali si sviluppavano con esso, continuarono ad essere degli europei e la loro filiazione in terra americana, grazie alla emigrazione di milioni di persone (in particolare tra il 1850 ed 1910), principalmente scozzesi, irlandesi, polacchi, tedeschi, italiani e portoghesi.

E’ fondamentale osservare che, oltre al movimento delle persone verso gli USA, ci fu anche il movimento di capitali, cioè di fondi usati per investimenti nelle attività economiche; in tal modo negli Stati Uniti si ebbero cospicui flussi di risorse per finanziare le costruzioni di canali, di ferrovie e di industrie di ogni genere, vista la grande produttività realizzata dai lavoratori per la straordinaria ricchezza dell’agricoltura nella zona temperata del Nord America. Se ripercorriamo un poco la storia, non abbiamo difficoltà nel ricordare che una enorme riserva di manodopera era divenuta utilizzabile da parte del Capitale europeo durante i quattro secoli di espansione dell’economia dell’europa occidentale a partite dalla scoperta del continente americano. In ogni era di sviluppo successivo del capitalismo, a partire dai Paesi Bassi e dall’Inghilterra prima e poi dalla Germania dagli Usa, le tecnologie venivano continuamente modernizzate e implementate, ma, il beneficio derivante da questi cambiamenti tecnologici era sempre a vantaggio di europei bianchi. Gli interessi del Capitale europeo reclamarono esplicitamente l’esigenza che fossero degli europei ad amministrare la Compagnia delle Indie Orientali inglese e la Compagnia delle Indie Occidentali olandese; essi ebbero bisogno di soldati europei per imporre il loro ordine in America Latina, nel subcontinente Indiano, e per dominare la Cina. Negli USA, il Capitale occidentale rendeva disponibili nuovi posti di Lavoro, ma, erano soprattutto i lavoratori occidentali a trarre grandi benefici da ciascun nuovo passo in avanti, mentre per i lavoratori provenienti dalle colonie vi erano solo i duri lavori manuali nelle ferrovie e nelle fabbriche. Gli immigrati europei potevano contare sull’istruzione migliore e, di conseguenza, ebbero accesso a salari migliori rispetto a paesi industrializzati del continente europeo, come l’Inghilterra.

Se confrontiamo la condizione di quanti vivevano del proprio Lavoro in Inghilterra con quelli dei lavoratori residenti nel Nord America troviamo forti differenze legate al fatto che i redditi dei lavoratori dipendevano dalla scarsità relativa di ciò che essi avevano da offrire, e, siccome in Inghilterra la manodopera abbondava, chi era costretto a vivere con i frutti del proprio Lavoro si trovava sotto una tirannia economica, dove la rendita e il profitto divoravano i salari e i capitalisti opprimevano i lavoratori. Al contrario, nelle nuove colonie i vantaggi economici legati all’attività produttiva costringevano i capitalisti a trattare i lavoratori in modo più generoso e umano. Infatti, vi erano terre incolte della massima fertilità accessibili a prezzi bassissimi la cui messa in produzione realizzava un aumento delle rendite dei latifondisti, ma, questo grande profitto non si poteva ottenere senza impiegare il lavoro di tante persone, necessarie per il disboscamento e la coltivazione della terra, e la sproporzione tra la grande estensione della terra e il piccolo numero di abitanti rese difficile ai capitalisti il procacciarsi la manovalanza, e, pertanto, il Capitale fu disposto a impiegare manodopera a qualsiasi prezzo per lunghi periodi.

Questo spostamento contemporaneo di Lavoro e Capitale produsse una élite economica globale in cui potevano accedere per lo più solo europei bianchi; i non europei (ossia la manovalanza afroamericana, messicana e cinese) vennero impiegati solo in occasione di improvvise carenze di manodopera nazionale, specie nelle fasi di forte espansione economica che andarono dal 1870 al 1920. I manovali cinesi vennero impiegati a tempo determinato per la costruzione delle ferrovie americane, mentre gli afroamericani negli Stati del Sud continuarono a lavorare i campi anche dopo la fine della guerra civile e solo dopo lo scoppio della prima guerra mondiale passarono nell’industria del nord lasciando il posto come manodopera agricola ai messicani. Gli economisti capitalisti vedono in questo periodo una specie di paradiso, una rapida espansione economica alimentata dal torrente di invenzioni e innovazione proliferate nelle ultime fasi della rivoluzione industriale, con una ottima combinazione tra stabilità monetaria, determinata dalla parità aurea e stabilità di prezzi, causato dalle vendite delle derrate alimentari provenienti in grandi quantità dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Australia, dalla nuova Zelanda e dalla Argentina.

Il periodo compreso tra le due grandi guerre ha segnato un passo indietro rispetto alla dipendenza dell’economia globale: la parità aurea è stata gradualmente abbandonata e i diversi paesi hanno adottato politiche commerciali protezionistiche, applicando tariffe doganali, contingentamenti e altre restrizioni, nel tentativo di sostenere l’occupazione interna con conseguenze disastrose da ogni punto di vista. Alla fine della seconda guerra mondiale i paesi che componevano l’alleanza vittoriosa, per ripristinare una fiorente economia a livello internazionale, hanno dato vita ad alcune istituzioni (fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale) ed accordi generali sulle tariffe doganali che hanno portato, tra il 1945 e il 1955, ad un crescita vigorosa dei fondamentali economici nei paesi del blocco occidentale.

Con la fine della guerra fredda, abbiamo il trionfo globale del capitalismo e la diffusione del libero mercato ai quattro angoli del pianeta. Di conseguenza, il Capitale occidentale avvia una fuga verso i paesi in via di sviluppo e decide che non ha più bisogno di portarsi dietro i bianchi europei occidentali, preferendo utilizzare lavoratori professionisti dell’ Europa orientale e dell’Asia altamente motivati, pieni di talento e meno costosi. Infatti, l’esistenza di sistemi scolastici di impronta socialista (combinata con curricula professionali messi insieme lavorando all’estero) ha prodotto, nei paesi in via di sviluppo, popolazioni di élite avide di buoni impieghi. Il risultato di tutto questo è la fine di 400 anni di simbiosi tra Capitale e Lavoro del mondo occidentale, infatti, mentre la mobilità della manodopera occidentale è diminuita ai minimi livelli, la mobilità del Capitale ha fatto un salto di qualità con una nuova capacità del Capitale di spostarsi qua e là per il mondo senza tirarsi dietro il lavoro dei manager, dei dirigenti e dei tecnici, travolgendo per la prima volta i tradizionali concetti economici. In sostanza, nella vecchia economia globale Capitale e Lavoro procedevano insieme, nella nuova economia globale il Capitale del mondo industrializzato galoppa da un punto all’altro del pianeta con una facilità prima impensabile e coloro (appartenenti allo storico blocco occidentale) che si guadagnano da vivere con il proprio Lavoro restano oggi a casa smarriti, con redditi stagnanti e instabilità occupazionale.

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti

 

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