La discriminazione lavorativa delle donne durante il fascismo


Nel regime fascista le donne furono discriminate durante il periodo lavorativo: la perdita d’importanza della donna fu accompagnata dall’istituzionalizzazione della sua inferiorità attraverso una serie di provvedimenti che la espellevano dal mercato del lavoro e le negavano qualsiasi diritto politico.

Il processo di allontanamento dal mondo del lavoro iniziò nel 1919, con la legge Sacchi del 17 luglio, con cui si sancì che le donne non potevano occupare posizioni dirigenziali nell’amministrazione pubblica.
Il processo di espulsione continuò per tutti gli anni Venti: in base al regio decreto 2480 del 9 dicembre 1926, le donne persero il diritto all’insegnamento di filosofia, storia e letteratura italiana nelle scuole superiori, fatta eccezione per gli istituti magistrali perché frequentati prevalentemente da donne.
Il 28 novembre 1933 venne poi accolto un provvedimento in cui si stabiliva che nel pubblico impiego gli uomini dovevano essere assunti in posizioni superiori rispetto a quelle delle donne; nel 1934 venne approvata la legge con cui si esclusero le donne dalla posizione di segretario comunale; infine nel 1938, venne emanata quella con la quale si stabilì che l’occupazione femminile nella pubblica amministrazione non poteva essere superiore al 10%.

Mentre il lavoro era indispensabile alla costruzione di una solida identità maschile, l’occupazione femminile, come dichiarò Mussolini «ove non è diretto impedimento distrae dalla generazione, fomenta una indipendenza e conseguenti mode fisiche-morali contrarie al parto»

Le donne non erano dunque rappresentate nella gerarchia lavorativa. Incapaci di difendere il proprio diritto al lavoro sulla base della parità sessuale, le lavoratrici ridimensionarono aspirazioni e rivendicazioni. Le professioniste stesse, che una volta avevano fatto causa comune con le donne della classe operaia e adesso erano organizzate in istituzioni fasciste del tutto separate come l’ANFAL (Associazione Nazionale Fascista Artiste e Laureate) legittimarono questi atteggiamenti.

Tratto da CAMICETTE NERE: LE DONNE NEL VENTENNIO FASCISTA
di Roberta Sassano
Università degli Studi di Foggia


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