Guardarsi allo specchio e non riconoscersi


L’abbiamo guardato. L’abbiamo mostrato agli amici e ai colleghi. Ne abbiamo discusso.

Ora che si è un po’ calmato il clamore mediatico intorno al video girato nella filiale di una delle banche più importanti del nostro Paese, è il momento di qualche considerazione a mente fredda.

Molti di noi hanno riso, hanno condannato i protagonisti, hanno preso le distanze dal loro comportamento. Non abbiamo saputo o voluto ammettere che, guardandoci allo specchio, potremmo scoprire che dentro ognuno di noi si nasconde la direttrice responsabile di quella grottesca esibizione.

Nel nostro percorso lavorativo tutti abbiamo fatto qualcosa di paragonabile al video incriminato: anzi, tutti abbiamo una vera e propria videoteca nascosta, e speriamo che mai a nessuno venga in mente l’idea di tirare fuori e rendere pubblico uno dei nostri “video segreti“.

Quand’è che abbiamo fatto qualcosa del genere?

Per esempio quella volta che, per una vendita in più, abbiamo deciso che rispettare alla lettera tutti i passaggi formali previsti non era proprio indispensabile.
O quando abbiamo lodato quel prodotto che in realtà non ci piaceva per niente, finendo col venderlo al cliente al quale meno si adattava perché eravamo indietro col budget.
O quella volta che abbiamo detto: “Ma certo che posso rimandare le ferie”, facendo saltare la gita già programmata con tutta la famiglia.
O ancora, quando abbiamo rinunciato alla serata con gli amici alla quale tenevamo tanto per partecipare ad una cena aziendale, ed abbiamo anche finto di divertirci.

Le situazioni sono pressoché infinite; ciò che conta è perché abbiamo agito in modo tanto irragionevole.
Lo abbiamo fatto per paura, perché temevamo ritorsioni, trasferimenti, demansionamenti.
Oppure lo abbiamo fatto per metterci in mostra, perché pensavamo che fosse necessario per la carriera.
O, ancora, lo abbiamo fatto perché la maledetta follia di essere perennemente in gara con gli altri colleghi, le altre filiali, gli altri uffici, che inizialmente ci sembrava assurda, alla fine ci si è infilata nella testa, e allora tutto fa brodo per dimostrare che siamo i primi, anche se non abbiamo mai capito cosa ci torni in tasca da questo primato.

Ciò che conta è che lo abbiamo fatto. E lo faremo ancora.

Questa vicenda rappresenta una perfetta metafora di quello che è oggi il lavoro in banca, o nelle agenzie assicurative, o in qualsiasi attività che preveda una struttura gerarchica ed il raggiungimento di obiettivi numerici.

Le aziende riescono a farci agire in modo del tutto illogico, e spesso non hanno neanche bisogno di chiedercelo: è sufficiente che lascino intendere di aspettarsi determinati comportamenti, e tanto basta per essere esaudite.

Fintanto che le cose vanno bene, l’azienda sarà pronta a raccoglierne i frutti ed i nostri superiori a vantarsi delle nostre azioni insensate. Appena sorgerà il minimo problema, ci ritroveremo da soli, con l’azienda pronta ad infierire pur di scaricare qualsiasi responsabilità.

Guardiamo cos’è successo all’attrice protagonista del video galeotto. Lei non ha fatto altro che seguire le disposizioni che le erano state impartite. Lo ha fatto con entusiasmo, un entusiasmo che non è difficile definire eccessivo. Si aspettava un riconoscimento, un elogio, magari anche un avanzamento di carriera. Invece alla fine si è ritrovata a subire insulti da tutta Italia, a non poter uscire di casa, a dover probabilmente interrompere quel percorso di carriera che per lei era così importante. È in tutto questo la sua azienda non ha ritenuto di dover spendere una sola parola per difenderla.

Se c’è un insegnamento che dobbiamo trarre da questa vicenda, è che le aziende sono sempre pronte a pressarci, a spingerci ben oltre il limite, ma sono ancor più pronte ad abbandonarci, e se possono a darci addosso solo per aver fatto ciò che loro pretendevano da noi.

E questo non dobbiamo scordarcelo mai.

 

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