Esternalizzazioni, scioperano i dipendenti UBI


Non accadeva dal 2007. In cento saranno trasferiti, la protesta venerdì 13 settembre.

Era lo scorso aprile quando, nel corso dell’assemblea degli azionisti, l’ad di Ubi, Victor Massiah si prodigava in complimenti nei confronti delle organizzazioni sindacali. «È stato un esempio di come si collabora in maniera civile, senza polemiche, senza veleni, ma in maniera sempre costruttiva per individuare le soluzioni migliori in un contesto di così grande difficoltà. Io — aveva concluso il banchiere — sono testimone della civiltà e costruttività con cui le organizzazione sindacali si sono comportate in questi anni e le ringrazio veramente di cuore».

Tempo cinque mesi ed ecco spuntare ieri il volantino con cui tutte le sigle annunciano la protesta. Il 13 settembre si scende in piazza. Evento non certo epocale, ma sicuramente inusuale per la banca, dal momento che andando a ritroso nel tempo se ne ricorda solo un altro, quando nel 2007, 1.200 dipendenti della neonata Ubi, finirono per migrare in Ubiss, la società di servizi (portata in dote dalla componente bresciana di Lombarda Sistemi e Servizi).

Dunque, la seconda discesa in piazza della storia. E nemmeno è inusuale il motivo per cui i sindacati chiamano a raccolta i dipendenti di tutte le società del gruppo (sono escluse le filiali). A Bergamo, prima per l’assemblea presso il Centro Congressi e poi per il presidio in piazza Vittorio Veneto (ma sono chiamate ad aderire anche altre 7 piazze, Brescia, Milano, Cuneo, Pesaro, Jesi, Bari e Chieti colpite dalle cessioni). Sul tavolo c’è il trasferimento dei rami di azienda ad Accenture Service e BCube con lo spostamento di un centinaio di unità. Nessuna dismissione, né perdita del posto di lavoro. In questo caso specifico, la tutela occupazionale è assicurata, fermo restando, peraltro, che nella recente storia di Ubi si contano già tre esternalizzazioni. La prima nel 2009, quando 50 dipendenti di Banca Depositaria finirono in Rbc Dexia, nel 2013 con 30 dipendenti di Ubi Fiduciaria trasmigrati in Unione Fiduciaria e, infine, a marzo di quest’anno con l’esternalizzazione dell’ufficio stamperia che contava 5 addetti. 

Non sul contingente, piuttosto è sul futuro che puntano i fari i sindacati: oggi 100 persone, ma domani? Si chiedono con un punto di domanda che campeggia sul volantino. Il domani, che vede di prossima emanazione il nuovo piano industriale con gli inevitabili controlli sulle spese come uno degli elementi portanti (lo è sempre, anche nelle semplici trimestrali) è figlio del passato anche recente che ha visto Ubi Banca ampliare, con l’acquisizione delle tre good bank, il proprio organico fino a 22.500 addetti. Scesi, con l’incentivazione all’esodo ai 20.300 di fine aprile ma, come rivelano fonti sindacali «con l’obbligo di un’ulteriore diminuzione dell’organico, per ottemperare gli obblighi della Bce, entro fine anno a 19.950. Che dovranno diventare 19.505 entro la fine del 2020». Nessun catastrofismo alla Unicredit, per intenderci, ma solo l’accensione dei riflettori da parte dei sindacati nell’alveo, comunque, della propositiva costruttività ricordata da Massiah. Interpellata in merito, Ubi non ha rilasciato dichiarazioni.

 

fonte: Il Corriere della Sera

 

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