È sempre colpa di qualcun altro


È tipico di questo paese. È sempre colpa di un altro. È sempre colpa di quello che veniva prima, di quello che ha fatto il lavoro prima.

Se cambi dentista, quello ti visita e fa la faccia angosciata che tu vorresti morire. E lui ti dice: “Guarda, io non parlo mai male dei colleghi, però qui t’hanno combinato un disastro. Tiè, guarda che roba!”
Che tu non hai proprio la scienza per contraddirlo, e neanche per dubitare di quello che dice. E comunque il problema non si pone, perché hai i ferri in bocca e non puoi parlare. Abbozzi, ti sottometti: muto, impotente.
E paghi milleduecento euro.

La stessa cosa se ti si rompe il motorino e lo porti da un meccanico, un meccanico che non conoscevi. Quello guarda il motore e si mette a ridere. Cioè, ride proprio.
“Ma chi ce le ha messe le mani qua? Ma questo è un delinquente! Ma guarda che roba!”
Dice la stessa frase del dentista.

La stessa cosa con l’idraulico, che ti dice che quello di prima ha creato, forse, chissà, apposta, tutta una situazione terribile di calcare, per cui è tutto da rifare.

La stessa cosa col muratore, che accusa chi ha fatto il lavoro prima di aver usato materiali scadenti e in disuso per risparmiare sulle spese.
“Quello di prima? Un vero delinquente!”

Stessa cosa con il governo appena insediato: trova un buco di 1000 miliardi di debito lasciato dal governo precedente e al precedente governo non gli sta bene che si dica così e allora che fa? Accusa il precedente ancora, che a sua volta accusa il precedente fino a risalire ad un governo talmente indietro nel tempo che sono ormai tutti morti, e che pure nelle tombe bofonchiano:” La colpa è di quelli di prima!”

E tutto il Paese va avanti così, in un susseguirsi di truffe di cui è responsabile sempre quello di prima. O quello prima ancora. E comunque mai chi la fa in quel momento.

E questa è una piccola magia tutta italiana. Milioni di cittadini e nessuno ha una sola responsabilità: ed è magnifico, perché la responsabilità è come una palla che rimbalza in un campo e la colpa, se l’abbiamo persa, è del centrocampista che accusa il difensore, che dice che il mediano è un mentecatto.

E questo vale per tutto il paese. È una grande catena di Sant’Antonio. E’ come una festa per tutti tranne per chi viene fregato, che si guarda indietro con un vago senso di malinconia, di disagio. Perché è impossibile capire da dove provenga la fregatura. Forse da altre epoche, da tempi lontanissimi in cui si girava scalzi e si moriva di vecchiaia a trent’anni. Ma poi subito gli torna il buonumore perché una sòla così come la ricevi la puoi anche restituire.

Grandi professionisti noi siamo in questo gioco al ribasso, dove vince il più audace e sfacciato:
“Ma si figuri! Ma fosse per me… Lei l’avrà capito che se dipendeva… Ma altroché!”
Ma che significa? Cosa dicono? Non ha importanza. Perché nel frattempo si è sviluppata un’intera comunità di persone fintamente affrante per i disastri commessi da altri ma subito pronte, se ben retribuite, a riparare il danno.
“Oh, ma il danno è grave qua, eh? Non mi faccia mette’ le mani avanti. Noi qui ci proviamo. Non è detto che si riesca… noi proviamo. Noi i miracoli non li facciamo”.

Quando in realtà il miracolo, il miracolo d’ingegno è la catena stessa, per cui già da domani altri interverranno sulla lavatrice, sul motorino, sul premolare o sul governo del Paese. Ancora una volta diranno:
“Qua signori è tutto da rifare. Colpa degli altri eh? Noi ci proviamo. Speriamo bene!”

Questo è il testo di uno degli ultimi monologhi scritti da Andrea Torre, sceneggiatore, commediografo e regista scomparso prematuramente venerdì scorso, in una settimana davvero terribile per la cultura italiana.

Un testo che meriterebbe di essere musicato e diventare il nostro inno nazionale.

Da non perdere la versione di Valerio Mastandrea

 

 

 

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