Confinamento a casa e smart working negato


Ci risparmino la loro ipocrisia per i colleghi costretti a rimanere casa. Si è detto che erano in “smartworking” o “lavoro agile” in italiano…

In realtà è stato ed è semplicemente lavoro a casa: senza orari, senza contatti con gli altri colleghi, in molti casi con l’incertezza di una sede di lavoro chiusa fino a nuovo ordine, occasione per alcune aziende per accelerare nei loro processi di ristrutturazione e riordino dei “loro bilanci”, con chiusure di agenzie o cessione di interi stabili.
Nel settore finanziario, e nelle banche in particolare, quasi tutta l’attività lavorativa delle direzioni centrali si è spostata nelle case dei lavoratori e delle lavoratrici con tutte le spese elettriche e di connessione a loro carico e senza nemmeno il riconoscimento del buono pasto.

Nella rete commerciale sono invece state forti le resistenze delle parti datoriali a considerare il lavoro da casa come una soluzione per mettere in sicurezza lavoratrici e lavoratori, tutelando anche chi doveva gestire i propri figli con le scuole e gli asili chiusi. La loro priorità era ed è, piuttosto, tenere aperte le filiali bancarie per garantire il contatto con il pubblico, spesso senza adeguati strumenti di protezione, ottenuti poi in buona parte solo con l’ostinata azione delle OO.SS e degli RLS.

Soltanto con gradualità, e grazie a diversi interventi sindacali, si è riusciti quindi a ridurre la presenza delle persone nella rete commerciale, predisponendo turnazioni tra colleghi e accessi contingentati su appuntamento per la clientela. Ma le contraddizioni rimangono, in quanto l’attuale smart working viene disposto unilateralmente dall’azienda con il serio rischio di discriminazioni e vere e proprie ingiustizie verso i soggetti più deboli e fragili.

Nella rete commerciale il lavoro da casa è stato, quindi, autorizzato e organizzato di volta in volta con molte difficoltà e – nonostante l’esperienza vissuta – in molti casi resta ancora disconosciuto. E questo nonostante il Decreto Rilancio ne preveda l’attuazione in casi particolari di difficoltà familiari o personali. Ci chiediamo quindi quanto queste difficoltà siano espressione di ostacoli oggettivi e quanto contino invece le “resistenze culturali”, o meglio, gli interessi commerciali che, secondo alcuni benpensanti, dovrebbero sempre prevalere su tutto e tutti.

 

Fonte: “La voce dei Lavoratori e delle Lavoratrici del Gruppo CREVAL – n.7”

 

 

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