Come viene distrutto il lavoro


Quando coloro che vengono avanti per farsi eleggere vi diranno che il loro primo problema è creare lavoro, non credeteci, chiunque essi siano. Il lavoro non sono cinquanta persone che la ditta tale o tal altra, finalmente incoraggiata dal trend positivo, potrebbe decidere di assumere. Il problema comincia dai quarantanove lavoratori che sono stati sgombrati poco prima, come peso inutile, dall’impresa, sulla base della persuasione che il lavoro è una palla al piede di ogni sviluppo e si può benissimo farlo fare ad altri senza spesa.
Cerco di spiegarmi. Non sto parlando di imprese in condizioni di rischio. Sto parlando di ciò che è diventato abituale nel rapporto impresa-lavoro, qualcosa che si è radicato nella cultura contemporanea e che impedirà una vera crescita.

Faccio un esempio. Mentre mi accingevo a scrivere queste righe, avevo anche urgenza di parlare, via centralino (il solo numero che avevo) con un grande ospedale (il più grande di Roma) per dati chiesti da una assicurazione dopo un incidente stradale. Per circa metà mattina mi è stato impossibile avere risposta umana (dovevo però ascoltare la raccomandazione automatica a versare il mio 5 per mille per beneficiare l’istituzione). Poi la linea si interrompeva. Finalmente, quando ho trovato una voce umana (dopo almeno dieci tentativi inutili, molta musica e lunghe attese) sono stato accolto con un tono di comprensione e disperazione: “Lo so, non me lo dica. Io qui sono solo”.

Mi era appena capitato di andare nella filiale di una grande banca in Roma, dove una folla di clienti, turisti e commercianti, ognuno munito del proprio numero di turno, era in lunga attesa dell’intervento (volonteroso e impossibile) dell’unico impiegato, mentre dieci sportelli restavano chiusi perché il personale (la palla al piede della crescita) era stato messo in libertà, con o senza la legge Fornero (dunque anche in caso di pensioni impossibili).
Ma l’esperienza della vita italiana, sia a contatto delle istituzioni che delle imprese, vi porta ad altre sorprese. Voi dite alla persona che vi sta aiutando con bravura e competenza: “Allora posso rivolgermi a lei quando…” (e indicate le circostanze). Ma la risposta più frequente è “No, io non ci sarò più, il mio contratto scade domani. Ma sono sicuro che ci sarà qualcuno che potrà aiutarla. No, non posso darle nomi, io non so chi è. Io devo lasciare prima della sostituzione”. Vi accorgete allora che un altro espediente per non avere “la palla al piede” dello sviluppo che sta per venire, è il micro lavoro. Crea la finzione che tanti sono al lavoro, ma tutte le nuove assunzioni sono per pochissimo tempo, a volte per pochi giorni e impediscono il formarsi di gruppi competenti e affidabili. Tutto ciò ha portato a una sproporzione tra la folla in attesa (dovunque) e il servizio che si riesce a ricevere, quando e come. Ciascuno di noi ha ormai imparato tre cose: al primo sfiorire del “boom” italiano, si è formata la feroce superstizione che, per ogni frazione di incasso in meno, la colpa è del lavoro. L’intera organizzazione di chi possiede i microfoni (Confindustria, governi, economisti, media) ha cominciato a persuadere persino la classe media e i lavoratori non ancora coinvolti nel vasto cambiamento culturale, che il lavoro, le pretese del lavoro, i privilegi del lavoro, fossero la causa del declino dell’espansione. La lotta contro il lavoro e la presenza dei lavoratori nelle ditte, nelle imprese, nelle istituzioni, che, fino a quel momento, erano stati il vero grande partner dello sviluppo, è diventato un dovere fondamentale e diffuso. E ciò ha portato a una lotta al sindacato (ridicolizzato e criminalizzato in ogni modo possibile) in modo da polverizzare sia i gruppi che hanno ancora lavoro, sia coloro che un tempo avrebbero contato sul sindacato per la difesa ma anche per la riconquista del posto di lavoro.

La seconda lezione che ormai sappiamo è che non sono i robot a prendere il posto del lavoro umano. Altrimenti non si capirebbe perché aziende ospedaliere, bancarie, di comunicazione, di trasporto, (treni, autobus e cittadini) hanno continuato a liberarsi di esseri umani lasciando il vuoto, non i robot. Del resto quelli di noi che si sono occupati di impresa, e hanno lavorato nell’industria, sanno che un intenso periodo di robotizzazione ha giovato alla salute e alla fatica degli operai, ma non ha portato esodo.

La terza grande lezione è che siamo noi, utenti e consumatori, ad essere la nuova forza lavoro non pagata. A costi invariati e prezzi aumentati siamo noi, la folla di utenti e consumatori, a occupare (col nostro infinito tempo di attesa, lo scomodo affollamento, l’incarico di seguire da soli ogni pratica) a svolgere il lavoro che è stato eliminato dentro le aziende attraverso un immenso esodo. L’esodo continua. Dunque non fatevi dire da nessuno che stanno creando lavoro. Nel migliore dei casi, si tratterà di micro lavoro. In modo che, di momento in momento, in tanti appaiano “occupati”.

Furio Colombo
da “Il Fatto Quotidiano” del 17/12/2017

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