BCC, sulla riforma solo ritocchi


La riforma delle banche di credito cooperativo non sarà sospesa: subirà solo alcuni “ritocchi”, dando più tempo agli istituti per aderire ai gruppi bancari. Lo ha spiegato ieri in Senato, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Una decisione non in linea con Lega e M5S, che chiedevano di fermare l’iter con una moratoria ad ampio raggio. “Significa eliminare la riforma, ma non sembra che questa richiesta provenga dalla maggioranza del credito cooperativo”, ha tagliato corto il ministro, che punta a evitare interventi drastici per far poi pesare a Bruxelles il suo no al pacchetto sull’unione bancaria.

Nel 2016 il governo Renzi ha approvato la riforma che impone alle 300 e dispari Bcc di aderire a una capogruppo. Il testo è stato scritto da Bankitalia pensando che tutte le banche avrebbero aderito a Iccrea holding, braccio operativo della Federcasse, storico feudo romano che ha dettato legge nel sistema cooperativo. Molte Bcc, le più sane, hanno invece aderito alla trentina Cassa Centrale Banca, mentre quelle altoatesine hanno creato, grazie a un’apposita deroga (tornata utile per candidare Maria Elena Boschi a Bolzano) al gruppo provinciale Raiffeisen. Il guaio è che finiranno sotto la vigilanza della Banca centrale europea, le cui rigide regole sulla valutazione della clientela renderebbero complicata la vita a molti istituti. Per questo Lega e M5S hanno chiesto una moratoria, trovando favorevoli soprattutto le Bcc altoatesine (che rischiano anche loro di finire sotto la vigilanza della Bce).

Secondo Tria non si può più tornare indietro. Anche perché Francoforte e Bankitalia, per mettere pressione al governo hanno accolto nei giorni scorsi la candidatura delle tre capogruppo. Probabile invece che venga solo allungato – via decreto – il tempo a disposizione degli istituti per aderire ai gruppi. Nel mentre sarebbero possibili, secondo il ministro, almeno due modifiche: la prima è rivedere la soglia di capitale delle capogruppo in mano alle Bcc aderenti, fissato al 51% da Bankitalia, alzandolo al 60-70%, cifra inizialmente prevista ma fermata da Via Nazionale, preoccupata di rendere appetibili i gruppi agli investitori esteri; la seconda è alleggerire per le sole Bcc i nuovi requisiti professionali per gli amministratori delle banche previsti dalla direttiva Ue Crd IV, che però l’Italia non ha mai applicato visto che il Tesoro tiene chiuso nel cassetto il decreto attuativo da oltre due anni.

Nelle scorse settimane, Bankitalia ha ammesso che la vigilanza della Bce sarebbe un problema non da poco. Da mesi il sistema del credito cooperativo è scosso da tensioni interne: chi ha voluto la riforma oggi tentenna e viceversa. Il problema più urgente, però, è che diverse Bcc se la passano male. Secondo una mozione della Lega un terzo sono “ad alto rischio” e un quarto “mediamente a rischio”. Anche i sassi sanno che la spinta di Bankitalia alla riforma, più che da un progetto sistemico, nasce dalle tante situazioni di crisi lasciate incancrenire a lungo.

Secondo i dati di Via Nazionale, a dicembre 2017 il credito cooperativo vantava 22,6 miliardi di crediti deteriorati su 131 totali erogati alla clientela, il 17,2%, sopra la media del sistema bancario scesa al 14,1%, anche se i numeri sono in miglioramento. Il numero di Bcc si è notevolmente ridotto dalle quasi 400 di qualche anno fa. Si stima che entro un anno scenderà a poco più di 200. Solo Cassa Centrale Banca, per dire, dalle iniziali 115 Bcc aderenti è scesa a 95 e calerà entro l’anno a 90 per effetto delle fusioni messe in atto per salvare quelle in difficoltà. Iccrea affronta una situazione anche più complessa. Secondo i dati comunicati in un incontro di ottobre con Bankitalia e Bce, a giugno 2017 le circa 160 Bcc aderenti al suo gruppo avevano nel complesso 18 miliardi di crediti deteriorati, il 19,8% del totale, coperti con accantonamenti più bassi rispetto alla media del sistema cooperativo. I giudizi ispettivi di Bankitalia sul 2016 e il primo quadrimestre 2017 si sono chiusi nel 43,9% dei casi mettendo la banca nell’“Area di attenzione” (rischiano di essere commissariate dalla capogruppo) e nel 10% con esito “sfavorevole”, condizione che di norma porta alla richiesta di fondersi con un istituto più solido.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 18/7/2018

 

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