Bancario insulta e strattona i clienti, il tribunale annulla il licenziamento: «Ambiente di lavoro stressante»


Cremona: l’ordinanza stabilisce che il dipendente, con 28 anni di anzianità, sia risarcito con 16 mesi di stipendio, perché per anni è stato costretto a lavorare in condizioni di malessere


 

Non c’è dubbio, anche perché esistono i filmati delle telecamere e le testimonianze, che a dicembre 2021 il cassiere della banca abbia prima alzato la voce con un cliente (che gli chiedeva di verificare di nuovo se gli fosse stato accreditato lo stipendio), e che poi lo abbia strattonato per spingerlo verso l’uscita. E allo stesso modo non c’è dubbio sul fatto che lo stesso cassiere, un mese dopo, abbia di nuovo alzato parecchio i toni con un altro cliente, in una discussione che poi ha concluso con la frase: «Chiudi il becco».

Col richiamo a questi due fatti, che appaiono sicuramente come «giusta causa», e ad altre due contestazioni disciplinari minori (sempre rapporti sgarbati con due clienti nel maggio 2021), nel marzo 2022 la banca ha licenziato il lavoratore, in servizio alla filiale di Cremona. Ma con una recente ordinanza il Tribunaledella stessa città ha stabilito che il licenziamento vada annullato, e che il lavoratore debba essere risarcito con 16 mesi di stipendio: perché s’era trovato a lavorare per anni in un ambiente «stressogeno», perché aveva sempre segnalato il proprio malessere e perché, in definitiva, il licenziamento per giusta causa è una sanzione non proporzionata.

La giustificazione

«Al lavoratore va sicuramente rimproverato — scrive il giudice — di non aver saputo esercitare il dovuto  manifestando all’esterno il proprio malessere in circostanze che richiedevano altro comportamento. Tale mancanza, però, si ritiene non possa integrare la giusta causa di licenziamento o il giustificato motivo soggettivo».

Il bancario, al momento del licenziamento, aveva28 anni di anzianità, per la maggior parte proprio al Credito Emiliano, e il legale che lo ha assistito, Domenico Tambasco, commenta: «Si tratta di un’ordinanza molto importante perché, sul solco tracciato dalla Cassazione in materia di stress lavorativo, per la prima volta riconosce che i comportamenti “reattivi” oggetto di contestazione disciplinare possono trovare spiegazione nelle condizioni stressogene a cui sono sottoposti i dipendenti. La disfunzione organizzativa può, in determinate situazioni, giustificare quindi la condotta individuale».

Ma in cosa consiste la definizione di ambiente «stressogeno»? Poco prima del licenziamento, il lavoratore aveva fatto causa per demansionamento. La storia viene ricostruita dai giudici con un iniziale trasferimento da un’altra Regione, chiesta dal lavoratore, e un finale impiego come cassiere semplice dopo aver avuto mansioni molto più elevate, a contatto con i clienti della fascia più alta. I documenti su cui il giudice si è però concentrato sono le schede di valutazione sul dipendente, fatte dalla stessa banca tra il 2014 e il 2020.

L’ambiente

In tutte queste relazioni, il cassiere ha avuto «risultati complessivamente adeguati», ma ha sempre manifestato il proprio malessere: «Non ha mai nascosto i suoi “mal di pancia” nello svolgimento del ruolo di cassiere commerciale, esprimendo più volte interesse di valutare esperienze professionali diverse»; «Nulla gli possiamo obiettare in termini di impegno… Di contro non ha mai negato di sentirsi fuori luogo nel ruolo»; «disagio, più volte manifestato, per un ruolo che ritiene non adatto al suo profilo professionale».

La banca dunque, sostiene il Tribunale, era consapevole del malessere e che questo provocasse in qualche caso «una modesta tolleranza allostress». In più il lavoratore aveva segnalato in una mail al suo direttore, durante la pandemia, «di essere costretto a contenere l’umore dei clienti della filiale e a subire qualsiasi tipo di insolenza e vessazione verbale, senza la possibilità… di fare alcuna pausa di recupero di energia psicofisica».

 

Fonte: milano.corriere.it

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