25 aprile: tutte le bugie sull’attentato di Via Rasella


E’ importante preservare la memoria di quello che è accaduto, perché è l’unico modo per evitare che accada di nuovo. E il 25 aprile è il giorno in cui, più che nel resto dell’anno, si cerca di riscrivere la storia per cercare in qualche modo di cambiarne il significato.

Per questo riteniamo utile analizzare tutte le bugie che nelle ultime settimane sono state raccontate riguardo all’episodio simbolo della resistenza italiana, l’attacco partigiano di Via Rasella del 23/4/1944, al quale i Tedeschi reagirono fucilando 335 detenuti politici.

Per farlo ci avvarremo delle parole del professor Alessandro Barbero, che ha esaminato nel dettaglio la vicenda in un video che consigliamo caldamente di vedere per intero. Dura oltre un’ora, ma è un racconto avvincente che vale la pena di ascoltare nei dettagli.


 

NON SI E’ TRATTATO DI UN’AZIONE DI GUERRA, MA DI UN ATTO TERRORISTICO

L’episodio di Via Rasella ha suscitato da sempre enormi polemiche. Cosa succede? Che lo si considera come un fatto in sé, senza collegamenti con quello che era Roma allora: hanno fatto scoppiare un bomba in mezzo a una strada a Roma.

Roma nel febbraio e marzo del ’44 è una città che è occupata da sei mesi dai Tedeschi, che è stata occupata dai Tedeschi dopo tre giorni di combattimenti con l’esercito italiano che cercava di difenderla. Tre giorni di combattimenti contro l’esercito italiano e conto i civili armati che hanno cercato di dare una mano ai soldati, con le donne dei quartieri che scendevano a dar da mangiare alle barricate. Tre giorni di combattimenti che hanno fatto centinaia di morti e feriti.

E’ una capitale europea occupata dai nazisti, e fra tutte le capitali europee è quella in cui c’è la resistenza più intensa. La resistenza in città è nata subito ed è attivissima e violentissima: ci sono sparatorie o esplosioni quasi ogni giorno. Continuamente vengono uccisi soldati tedeschi. Questo lo dirà Kappler, comandante della Gestapo a Roma, al processo per le Fosse Ardeatine: “Nel Tevere spesso venivano ritrovati cadaveri di soldati tedeschi”.
Il comandante delle SS, Dollman, dice: “Roma è stata la capitale che ci ha dato più filo da torcere”.
Il maresciallo Kesselring, capo della Wermacht in Italia: “Roma era diventata per noi una città esplosiva; per noi era un grave problema. Tra l’altro ne risentiva direttamente anche il morale delle truppe combattenti, perché non potevamo più mandare i soldati a Roma per un periodo di riposo di licenza”.
Le truppe combattenti in quel momento stanno combattendo al fronte di Anzio, dove gli Americani sono sbarcati e dove i Tedeschi – che sanno fare la guerra una spanna meglio di chiunque altro – pur essendo debolissimi come forze sono riusciti a bloccarli, inchiodarli nella zona di Anzio, e da Anzio gli Americani non sono più riusciti a uscire, tanto che pare che su un muro di Roma compaia la scritta: “Americani, tenete duro! Verremo noi a liberarvi!”


 

I PARTIGIANI SAPEVANO BENISSIMO CHE AVREBBERO CAUSATO UNA RAPPRESAGLIA PESANTE

Aldilà del clima che si respira in questa città, dove si muore tutti i giorni, la cosa che è fondamentale precisare è che le rappresaglie tedesche sono frequenti ma non regolari, non sistematiche, non annunciate e non matematiche. In altre parole: i Tedeschi ogni tanto fucilano, ma non succede mai – finora non è mai successo – che venissero uccisi 4 Tedeschi e il giorno dopo i Tedeschi fucilassero 40 ostaggi.
Non è neanche mai successo che ci fosse una dichiarazione aperta: “Se uccidete qualcuno noi fucileremo degli Italiani”.
Non c’è neanche mai stato un manifesto che dicesse “Abbiamo fucilato degli ostaggi perché abbiamo avuto dei morti”. Che le rappresaglie ci siano però lo sanno tutti, naturalmente.

La rappresaglia dopo l’attacco di via Rasella è stata una rappresaglia di dimensioni assolutamente imprevedibili, non c’era nessun automatismo in queste cose. I partigiani una cosa la sapevano, perché i manifesti tedeschi una cosa la dicevano: “Chi prende le armi contro di noi sarà messo a morte”.


 

LA RESISTENZA E LA GUERRA PARTIGIANA NON HANNO CONTRIBUITO IN NESSUN MODO ALLA LIBERAZIONE

Il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) subisce dagli Alleati continue pressioni per moltiplicare gli attacchi a Roma: gli Alleati ci tengono enormemente. Roma formalmente è città aperta, l’hanno dichiarata città aperta i Tedeschi, ma tutti sanno che è una truffa: i reparti tedeschi passano continuamente sulle Consolari diretti al fronte, e il centro è pieno di comandi e centri di comunicazione tedeschi. Perciò gli alleati chiedono alla Resistenza di intensificare gli attacchi dentro Roma per rendere sempre più difficile ai Tedeschi l’uso della città, delle sue vie di comunicazione, delle sue infrastrutture.
E anche per ragioni morali. Dichiarerà poi Mark Clark – comandante della V Armata, quello che entra a Roma il 4 giugno – che per il morale delle sue truppe era molto importante sapere che la popolazione civile stava dalla loro parte, e che alle spalle del nemico i Partigiani non lo facevano sentire mai tranquillo.

I nostri alleati sono rimasti stupiti e ammirati dell’attentato di Via Rasella. Il Generale Alexander, che comandava tutte le truppe del Mediterraneo, ha detto che lui ha cominciato a rispettare gli Italiani quando ha scoperto che Roma era una città che ha osato sfidare in pieno centro un battaglione tedesco armato.
Detto tra parentesi, la conseguenza di via Rasella non è soltanto la strage delle Fosse Ardeatine. Dopo via Rasella i Tedeschi smettono di far passare i loro convogli in città, e gli Americani per due mesi non bombarderanno più Roma, visto che non ci passano più i convogli tedeschi.


 

LE VITTIME DELL’ATTENTATO NON ERANO TEDESCHE MA ITALIANE E NON ERANO NEANCHE MILITARI, MA UNA BANDA MUSICALE DI MEZZA ETA’

Una delle mille polemiche sull’azione di via Rasella è legata al fatto che quelli che erano stati attaccati sarebbero stati degli innocui poliziotti, gente di mezza età, neanche militari, e per di più mezzi italiani perché reclutati nel Sud Tirolo, cioè l’Alto Adige.
Quest’ultima cosa è l’unica cosa vera: è un reparto reclutato in Alto Adige tra quegli abitanti che hanno optato per essere sudditi di Hitler anziché restare italiani. Quindi è vero, sono Altoatesini. E’ un battaglione del reggimento di polizia militare Bozen, cioè Bolzano. La polizia militare è composta da militari a tutti gli effetti, subordinati in quel momento al comando delle SS, e poco tempo dopo il reggimento sarà ufficialmente inquadrato nelle SS: SS Polizai Regiment Bozen.
E’ vero che non sono giovanissimi: sono tra i 26 e i 43 anni. Rispetto ai ragazzi della Resistenza sono più maturi, indubbiamente. Non sono gente innocua: sono gente che va a fare i rastrellamenti contro i Partigiani nei Castelli Romani. Il battaglione a cui appartiene questa compagnia, dopo l’attacco di via Rasella sarà trasferito in Piemonte, a combattere contro i Partigiani in Piemonte. Un altro battaglione dello stesso reggimento è stato responsabile di eccidi e di crimini di guerra nel Cadore.
Si tratta quindi a tutti gli effetti di forze militari impegnate nei rastrellamenti contro i Partigiani, e che sfilano per Roma armati fino ai denti.

Questo lo racconteranno i superstiti stessi della Compagnia attaccata a via Rasella: anzi, più d’uno dirà:
“Se abbiamo avuto così tanti morti, è perché con lo scoppio della bomba hanno cominciato a scoppiare anche le bombe a mano che avevamo alla cintura. E avevamo tutti il mitra col colpo in canna, perché i nostri ufficiali ci avevano avvertiti che nelle vie di Roma si rischiava di essere attaccati”.


 

LE PERSONE FUCILATE ALLE FOSSE ARDEATINE SONO STATE UCCISE SOLO PERCHE’ ITALIANE

Testimonianza di un superstite del Battaglione Bozen, il furiere Hans Blak interrogato al processo Kappler:
“La rappresaglia alle Fosse Ardeatine fu fatta nel massimo rispetto della legge. Alla fine rimasero soltanto Ebrei, comunisti e altra gente così. Nessuno innocente.”

 


 

GLI ATTENTATORI SONO STATI DEI VIGLIACCHI. GLI ERA STATO CHIESTO DI COSTITUIRSI PER EVITARE LA STRAGE, MA NON LO HANNO FATTO

Le esecuzioni alle Fosse Ardeatine iniziano intorno all’1 e mezza (13 e 30). L’Attentato è avvenuto alle 4 del pomeriggio precedente. A Roma quel giorno, il giorno delle Fosse Ardeatine, il 24 marzo, tutti parlano dell’attentato di via Rasella, di cui non è stato dato nessun annuncio ufficiale, ma tutti ne parlano. Invece nessuno sa niente della rappresaglia; viene fatta in totale segreto.
Solo il giorno dopo, il 25 a mezzogiorno, il Messaggero esce con un comunicato del comando tedesco che parla della “vile imboscata eseguita da elementi criminali, comunisti badogliani, su incitamento anglo- americano”. E annuncia che il comando ha deciso che per rappresaglia dovevano essere fucilati, per ogni tedesco morto 10 comunisti badogliani. E l’articolo del Messaggero conclude: “L’ordine è già stato eseguito”.
Immediatamente è cominciata la costruzione di una leggenda secondo cui quelli che hanno compiuto l’attacco avrebbero potuto salvare le vittime delle Fosse Ardeatine se avessero risposto all’invito del Comando tedesco di presentarsi.

Invito che non c’è stato.

Come nasce questa cosa? Che su quello che è successo tra via Rasella e le Fosse Ardeatine, in un Paese come l’Italia, non ci sia da aspettarsi troppa chiarezza e troppa trasparenza lo si capisce già il giorno in cui viene annunciata la strage delle Fosse Ardeatine. Basta leggere quello che dice L’Osservatore Romano. Quando dà la notizia delle Fosse Ardeatine dice che ci sono state delle vittime tedesche in un attentato, e che ci sono state delle persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto.
Quindi ci sono state delle vittime tedesche e dei colpevoli che sono sfuggiti all’arresto, per cui sono state sacrificate delle altre persone.
Che ci sia qualcuno che è colpevole di averli fucilati, questi altri, “L’Osservatore Romano” non lo dice.

Qualche giorno dopo, il federale di Roma Pizzirani che deve gestire lo shock di una città che sta scoprendo cosa è successo – e non a via Rasella ma alle Fosse Ardeatine – dichiarerà per la prima volta che la colpa è di quelli che hanno fatto l’attentato, che se si fossero presentati non ci sarebbe stata la rappresaglia.
Passano 4 anni, è il 1948. Sapete che la tensione che c’è in Italia nel 1948. I comitati civici anticomunisti di Gedda a Roma battono e ribattono: “Quei vigliacchi non si sono presentati quando gli era stato chiesto di presentarsi. Se fossero venuti non ci sarebbero stati i martiri delle Fosse Ardeatine.”

A parte la dinamica dei fatti, con i tempi e gli orari che vi ho detto, che da sola basta a smentire l’idea della richiesta, è assolutamente dimostrato al 100% che nessuno si è mai sognato di chiedere ai responsabili di presentarsi; tantomeno hanno pensato mai di dirlo i responsabili tedeschi. I responsabili tedeschi sono tutti andati a processo e tutti quanti hanno dichiarato che questa cosa non c’è mai stata.
Kappler al suo processo dirà: “La rappresaglia l’abbiamo fatta in totale segreto, perché avevamo paura che se si fosse saputo che fucilavamo così tanta gente scoppiasse un’insurrezione.”
A Kappler hanno anche chiesto se avevano cercato almeno i colpevoli. Kappler, della Gestapo, ha risposto: “Ma no che non li abbiamo cercati. Tanto eravamo sicuri che la popolazione li avrebbe protetti.”
Al processo di Kesserling glielo chiederanno espressamente: “Ma non avete pensato di chiedere ai partigiani di via Rasella di presentarsi?” E Kesserling risponde: “Beh, a pensarci adesso… non sarebbe mica stata una brutta idea!” Insistono: “Ma non lo avete fatto?” “E no” Dice Kesserling “Non lo abbiamo fatto.”

 

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