Il 25 Aprile spiegato a mia figlia


Mia figlia è un’adolescente, simile a tante ragazze della sua età; quell’età in cui pensi di aver capito tutto della vita e gli adulti ti sembrano noiosi e ottusi, ma li tolleri solo perché ti danno i soldi per comprare ciò che ti serve. E lo so benissimo che la pensa in questo modo, perché è esattamente quello che pensavo io quando ero un adolescente come lei……

Eppure, qualche sera fa questa giovane saccente mi ha fatto una domanda:

Papà, perché si festeggia il 25 aprile?”

E’ stato l’inizio di una bella chiacchierata.

Prima di tutto ho risposto alla sua domanda: il 25 aprile 1945 fu proclamata la rivolta di tutte le città ancora occupate dai nazifascisti, arrivando così alla liberazione dell’intero territorio nazionale nel giro di pochi giorni.

Ho provato a farle capire cosa fosse la guerra che stava finendo in quei giorni. Non c’era solo un esercito straniero da combattere: quella dalla quale l’Italia si stava liberando era anche una terribile guerra civile, in cui fascisti ed antifascisti si combattevano ferocemente. Le ho detto di pensare a ragazzi che avevano più o meno la sua età, che cercavano di uccidersi a vicenda pur essendo magari nati e vissuti nella stessa città.

Qualcuno le racconterà che dopo tanti anni le ragioni degli uni o degli altri siano ormai poco importanti e che tutti i combattenti debbano essere considerati vittime delle circostanze, ma le ho raccomandato di non credere a questa sciocchezza.

Non è la stessa cosa arruolarsi a fianco dei nazisti per spargere il terrore tra i propri connazionali o scegliere di abbandonare tutto, vivere tra i boschi e trascorrere le giornate nel terrore di una spiata che porti ad essere catturati e fucilati.
Non è la stessa cosa combattere e morire per un ideale, o farlo per stare dalla parte di chi in quel momento sembra il più forte.
Non può essere la stessa cosa essere fascisti o antifascisti.

Poi le ho raccontato la storia dei nove martiri Aquilani. Ragazzi che rifiutarono l’arruolamento da parte dei Nazisti, che nonostante la paura sognavano di poter combattere un’impossibile guerra contro un esercito potente e spietato. Furono arrestati appena fuori città e giustiziati subito dopo, senza alcuna esitazione. Eppure, ho spiegato a mia figlia che senza ragazzi come loro, senza i tanti che decisero di non rassegnarsi ma scelsero di resistere con tutti i mezzi, oggi forse lei non godrebbe della libertà che ha conosciuto.
Questo è il nostro debito verso la Resistenza.

Le ho spiegato come si fosse arrivati alla guerra civile, del fatto che l’Italia fosse entrata in guerra dalla parte sbagliata accanto alla Germania, ad Hitler, all’orrore assoluto, ma che poi aveva firmato l’armistizio con gli Alleati, di fatto trasformando gli amici in nemici.
A mia figlia ho raccontato che il nostro Paese non è stato mai capace di concludere una guerra dalla stessa parte in cui l’aveva cominciata. Era già successo nella Prima Guerra Mondiale quando dichiarammo guerra agli Austriaci con i quali eravamo alleati; succederà ancora in tempi più recenti, quando abbiamo bombardato la Libia dopo aver firmato un patto di non aggressione con Gheddafi. Non è un caso se, all’estero, il nostro Paese non viene considerato affidabilissimo.

A questo punto è arrivata la domanda più difficile: “Ma che cos’è il fascismo?”

(Come si spiega in parole semplici l’ideologia che ha trascinato il mondo in una guerra folle, e minaccia di farlo di nuovo?)

Il fascismo è un modo di pensare che nasce dalla scarsa conoscenza.
La scarsa conoscenza di altre persone, considerate diverse perché di un altro colore, di un’altra religione, di un altro orientamento sessuale o semplicemente perché non hanno le stesse idee. Una non conoscenza che si trasforma in paura, nella convinzione che quelle persone siano inferiori, anzi che non siano persone. Dall’ignoranza e dalla paura nascono l’odio, il razzismo e il nazionalismo, cioè la certezza che la propria nazione sia la migliore del mondo in virtù di una prova inconfutabile: è quella nella quale si è nati.
Alla fine queste idee assurde portano a vedere nemici dappertutto, nemici da eliminare, indegni di vivere perché più simili ad animali che ad esseri umani. Portano alla guerra.

E lei: “Ma questo non è il nazismo?”

Sì, ma fra nazismo e fascismo le differenze sono davvero poche. Se gli uni sterminavano gli Ebrei nei lager, gli altri glieli impacchettavano nei carri bestiame e glieli consegnavano.

Infine, le ho spiegato che queste idee balzane non sono mai morte: per quanto possa sembrarle assurdo, tante persone si proclamano ancora fasciste, e tante altre lo sono senza volerlo ammettere. Queste persone rappresentano ancora un pericolo: quando si rifiuta di conoscere, quando l’altro viene visto sempre e solo come un nemico ed un diverso, quando ci si lascia guidare dall’odio e dalla paura il risultato finale è sempre lo stesso: purtroppo la storia sembra non averci insegnato niente
Per questo bisogna continuare a resistere, tutti i giorni, combattendo non con le armi ma con la ragione.

Alla fine una sua esclamazione ha chiuso nel modo migliore la nostra chiacchierata:
Ma allora questi fascisti sono matti!”

Se è vero che la festa della Liberazione serve a ricordare, a tramandare alle future generazioni il ricordo di ciò che è accaduto per non farlo succedere di nuovo, credo che il modo migliore per onorare questa ricorrenza sia parlare, raccontare, spiegare.

La conoscenza è e sarà sempre il più efficace antidoto contro la paura e i pregiudizi.

 

Luca Copersini
Segretario Provinciale FISAC/CGIL L’Aquila

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