25 aprile: Resistenza è anche opporsi alla censura

Antonio Scurati è un giornalista, approdato al grande successo come scrittore grazie alla trilogia M. (con un quarto titolo in preparazione) nella quale racconta l’ascesa di Mussolini e le vita degli Italiani durante il periodo fascista.

Sabato scorso Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere un suo monologo sul 25 aprile durante la trasmissione “Che sarà” in onda su rai 3, ma dalla dirigenza RAI è arrivato lo stop: il monologo non può andare in onda. Nell’immediato le ragioni non sono state rese note, ma è difficile non pensare che un testo nel quale si constatava la mancanza di antifascismo della Presidente del Consiglio e di molti dei membri del suo Governo non fosse gradito sulla TV di Stato.

Attenzione, perché i regimi giustificano sempre le loro azioni ammantandole di giustificazioni apparentemente logiche e di ideali a loro parere alti: difendiamo la nostra cultura, la nostra “razza”, le nostre tradizioni, il nostro stile di vita.
Di fronte all’ondata di polemiche la motivazione addotta è stata il compenso richiesto da Scurati per il suo intervento: 1.800 euro. Motivazione che evidentemente è apparsa più che adeguata a convincere “l’uomo della strada”: non si sprecano i soldi pubblici, perbacco! (A meno che non si tratti di bruciare miliardi per mandare armi in Ucraina e contribuire a causarne la totale distruzione).

Avete mai sentito parlare dell’effetto Streisand? E’ il fenomeno che si verifica quando il tentativo di nascondere una notizia la fa diventare virale e ne causa una diffusione enorme e incontrollata. Prende il nome da un episodio avvenuto nel 2003 quando un video pubblicato su Youtube per evidenziare l’erosione della costa californiana mostrò, tra le altre, la villa della cantante e attrice Barbra Streisand. In pochi se ne sarebbero accorti se la Streisand, ritenendo violata la sua privacy, non avesse chiesto la rimozione del video. Risultato: il video rimase online, e da quel momento ottenne centinaia di migliaia di visualizzazioni.

La Meloni afferma che il suo Governo sceglie i dirigenti in base alle loro capacità e non per “amichettismo”. Sarà anche vero, ma evidentemente la dirigenza RAI non conosce i meccanismi dell’informazione: la censura contro Scurati, oltre a costituire una chiara conferma delle sue accuse di vicinanza del Governo alle idee fasciste, ha causato la diffusione del testo del monologo su tutti i social, in tutta la rete, spingendo la conduttrice della trasmissione, Serena Bortone, a leggerlo in diretta sfidando la censura.
E a quel punto persino la Meloni, nel tentativo disperato di metterci una toppa, ha deciso di pubblicare il testo incriminato, provando a rimediare al disastro continuando però a sostenere l’assurda tesi del compenso eccessivo (pur affermando di non conoscere le vere ragioni veto alla messa in onda) e ricorrendo ai consueti toni vittimistici ed aggressivi,

In fondo all’articolo pubblichiamo anche noi il testo censurato, ritenendo la ribellione alla censura di Stato una doverosa forma di resistenza. Perché se è vero che c’è più il passo dell’oca e i balilla, è altrettanto vero che le idee fasciste sono assolutamente vive e si manifestano in modo più subdolo: magari facendo la faccetta buffa per mettere a tacere chi contesta, in modo da troncare sul nascere la discussione ed evitare di entrare nel merito.

Prima però pubblichiamo la replica di Scurati alla Meloni, che nel tentativo di mostrare la sua apertura al dialogo ha finito per aggredire ulteriormente lo scrittore.

Gentile Presidente, leggo sue affermazioni che mi riguardano. Lei stessa dice di non sapere quali siano le vere ragioni della cancellazione del mio intervento in Rai. Bene, la informo che quanto lei incautamente afferma – pur ignorando per sua stessa ammissione la verità – è totalmente falso, sia per ciò che concerne il compenso, che per che riguarda l’entità dell’impegno. Non credo di meritare questa ulteriore aggressione diffamatoria. Io non ho polemizzato con nessuno né prima né dopo. Sono stato trascinato per i capelli in questa vicenda. Ho solo accolto l’invito di un programma della tv pubblica a scrivere un monologo ad un prezzo consensualmente pattuito con la stessa azienda, dall’agenzia che mi rappresenta e perfettamente in linea con quello degli scrittori che mi hanno preceduto. La decisione di cancellare il mio intervento è evidentemente dovuta a motivazioni editoriali, così come dichiarato esplicitamente in un documento aziendale, adesso pubblico. Il mio pensiero su fascismo e post fascismo ben radicato nei fatti doveva essere silenziato, continua ad esserlo ora che si sposta la discussione sulla questione pretestuosa del compenso. Pur di confondere le acque, un capo di governo, usando tutto il suo potere non esista ad attaccare un cittadino e scrittore. Questa presidente è una violenza, non fisica certo, ma pur sempre una violenza. È questo il prezzo da pagare oggi nella sua Italia?”

La Resistenza continua. E l’errore più grande, il regalo più grande che potremmo fare ai fascisti del XXI secolo, è convincerci che non ce ne sia più bisogno.


 

Il testo del monologo censurato:

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato.Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati”

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così.

Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”.

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25 aprile: tutte le bugie sull’attentato di Via Rasella

E’ importante preservare la memoria di quello che è accaduto, perché è l’unico modo per evitare che accada di nuovo. E il 25 aprile è il giorno in cui, più che nel resto dell’anno, si cerca di riscrivere la storia per cercare in qualche modo di cambiarne il significato.

Per questo riteniamo utile analizzare tutte le bugie che nelle ultime settimane sono state raccontate riguardo all’episodio simbolo della resistenza italiana, l’attacco partigiano di Via Rasella del 23/4/1944, al quale i Tedeschi reagirono fucilando 335 detenuti politici.

Per farlo ci avvarremo delle parole del professor Alessandro Barbero, che ha esaminato nel dettaglio la vicenda in un video che consigliamo caldamente di vedere per intero. Dura oltre un’ora, ma è un racconto avvincente che vale la pena di ascoltare nei dettagli.


 

NON SI E’ TRATTATO DI UN’AZIONE DI GUERRA, MA DI UN ATTO TERRORISTICO

L’episodio di Via Rasella ha suscitato da sempre enormi polemiche. Cosa succede? Che lo si considera come un fatto in sé, senza collegamenti con quello che era Roma allora: hanno fatto scoppiare un bomba in mezzo a una strada a Roma.

Roma nel febbraio e marzo del ’44 è una città che è occupata da sei mesi dai Tedeschi, che è stata occupata dai Tedeschi dopo tre giorni di combattimenti con l’esercito italiano che cercava di difenderla. Tre giorni di combattimenti contro l’esercito italiano e conto i civili armati che hanno cercato di dare una mano ai soldati, con le donne dei quartieri che scendevano a dar da mangiare alle barricate. Tre giorni di combattimenti che hanno fatto centinaia di morti e feriti.

E’ una capitale europea occupata dai nazisti, e fra tutte le capitali europee è quella in cui c’è la resistenza più intensa. La resistenza in città è nata subito ed è attivissima e violentissima: ci sono sparatorie o esplosioni quasi ogni giorno. Continuamente vengono uccisi soldati tedeschi. Questo lo dirà Kappler, comandante della Gestapo a Roma, al processo per le Fosse Ardeatine: “Nel Tevere spesso venivano ritrovati cadaveri di soldati tedeschi”.
Il comandante delle SS, Dollman, dice: “Roma è stata la capitale che ci ha dato più filo da torcere”.
Il maresciallo Kesselring, capo della Wermacht in Italia: “Roma era diventata per noi una città esplosiva; per noi era un grave problema. Tra l’altro ne risentiva direttamente anche il morale delle truppe combattenti, perché non potevamo più mandare i soldati a Roma per un periodo di riposo di licenza”.
Le truppe combattenti in quel momento stanno combattendo al fronte di Anzio, dove gli Americani sono sbarcati e dove i Tedeschi – che sanno fare la guerra una spanna meglio di chiunque altro – pur essendo debolissimi come forze sono riusciti a bloccarli, inchiodarli nella zona di Anzio, e da Anzio gli Americani non sono più riusciti a uscire, tanto che pare che su un muro di Roma compaia la scritta: “Americani, tenete duro! Verremo noi a liberarvi!”


 

I PARTIGIANI SAPEVANO BENISSIMO CHE AVREBBERO CAUSATO UNA RAPPRESAGLIA PESANTE

Aldilà del clima che si respira in questa città, dove si muore tutti i giorni, la cosa che è fondamentale precisare è che le rappresaglie tedesche sono frequenti ma non regolari, non sistematiche, non annunciate e non matematiche. In altre parole: i Tedeschi ogni tanto fucilano, ma non succede mai – finora non è mai successo – che venissero uccisi 4 Tedeschi e il giorno dopo i Tedeschi fucilassero 40 ostaggi.
Non è neanche mai successo che ci fosse una dichiarazione aperta: “Se uccidete qualcuno noi fucileremo degli Italiani”.
Non c’è neanche mai stato un manifesto che dicesse “Abbiamo fucilato degli ostaggi perché abbiamo avuto dei morti”. Che le rappresaglie ci siano però lo sanno tutti, naturalmente.

La rappresaglia dopo l’attacco di via Rasella è stata una rappresaglia di dimensioni assolutamente imprevedibili, non c’era nessun automatismo in queste cose. I partigiani una cosa la sapevano, perché i manifesti tedeschi una cosa la dicevano: “Chi prende le armi contro di noi sarà messo a morte”.


 

LA RESISTENZA E LA GUERRA PARTIGIANA NON HANNO CONTRIBUITO IN NESSUN MODO ALLA LIBERAZIONE

Il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) subisce dagli Alleati continue pressioni per moltiplicare gli attacchi a Roma: gli Alleati ci tengono enormemente. Roma formalmente è città aperta, l’hanno dichiarata città aperta i Tedeschi, ma tutti sanno che è una truffa: i reparti tedeschi passano continuamente sulle Consolari diretti al fronte, e il centro è pieno di comandi e centri di comunicazione tedeschi. Perciò gli alleati chiedono alla Resistenza di intensificare gli attacchi dentro Roma per rendere sempre più difficile ai Tedeschi l’uso della città, delle sue vie di comunicazione, delle sue infrastrutture.
E anche per ragioni morali. Dichiarerà poi Mark Clark – comandante della V Armata, quello che entra a Roma il 4 giugno – che per il morale delle sue truppe era molto importante sapere che la popolazione civile stava dalla loro parte, e che alle spalle del nemico i Partigiani non lo facevano sentire mai tranquillo.

I nostri alleati sono rimasti stupiti e ammirati dell’attentato di Via Rasella. Il Generale Alexander, che comandava tutte le truppe del Mediterraneo, ha detto che lui ha cominciato a rispettare gli Italiani quando ha scoperto che Roma era una città che ha osato sfidare in pieno centro un battaglione tedesco armato.
Detto tra parentesi, la conseguenza di via Rasella non è soltanto la strage delle Fosse Ardeatine. Dopo via Rasella i Tedeschi smettono di far passare i loro convogli in città, e gli Americani per due mesi non bombarderanno più Roma, visto che non ci passano più i convogli tedeschi.


 

LE VITTIME DELL’ATTENTATO NON ERANO TEDESCHE MA ITALIANE E NON ERANO NEANCHE MILITARI, MA UNA BANDA MUSICALE DI MEZZA ETA’

Una delle mille polemiche sull’azione di via Rasella è legata al fatto che quelli che erano stati attaccati sarebbero stati degli innocui poliziotti, gente di mezza età, neanche militari, e per di più mezzi italiani perché reclutati nel Sud Tirolo, cioè l’Alto Adige.
Quest’ultima cosa è l’unica cosa vera: è un reparto reclutato in Alto Adige tra quegli abitanti che hanno optato per essere sudditi di Hitler anziché restare italiani. Quindi è vero, sono Altoatesini. E’ un battaglione del reggimento di polizia militare Bozen, cioè Bolzano. La polizia militare è composta da militari a tutti gli effetti, subordinati in quel momento al comando delle SS, e poco tempo dopo il reggimento sarà ufficialmente inquadrato nelle SS: SS Polizai Regiment Bozen.
E’ vero che non sono giovanissimi: sono tra i 26 e i 43 anni. Rispetto ai ragazzi della Resistenza sono più maturi, indubbiamente. Non sono gente innocua: sono gente che va a fare i rastrellamenti contro i Partigiani nei Castelli Romani. Il battaglione a cui appartiene questa compagnia, dopo l’attacco di via Rasella sarà trasferito in Piemonte, a combattere contro i Partigiani in Piemonte. Un altro battaglione dello stesso reggimento è stato responsabile di eccidi e di crimini di guerra nel Cadore.
Si tratta quindi a tutti gli effetti di forze militari impegnate nei rastrellamenti contro i Partigiani, e che sfilano per Roma armati fino ai denti.

Questo lo racconteranno i superstiti stessi della Compagnia attaccata a via Rasella: anzi, più d’uno dirà:
“Se abbiamo avuto così tanti morti, è perché con lo scoppio della bomba hanno cominciato a scoppiare anche le bombe a mano che avevamo alla cintura. E avevamo tutti il mitra col colpo in canna, perché i nostri ufficiali ci avevano avvertiti che nelle vie di Roma si rischiava di essere attaccati”.


 

LE PERSONE FUCILATE ALLE FOSSE ARDEATINE SONO STATE UCCISE SOLO PERCHE’ ITALIANE

Testimonianza di un superstite del Battaglione Bozen, il furiere Hans Blak interrogato al processo Kappler:
“La rappresaglia alle Fosse Ardeatine fu fatta nel massimo rispetto della legge. Alla fine rimasero soltanto Ebrei, comunisti e altra gente così. Nessuno innocente.”

 


 

GLI ATTENTATORI SONO STATI DEI VIGLIACCHI. GLI ERA STATO CHIESTO DI COSTITUIRSI PER EVITARE LA STRAGE, MA NON LO HANNO FATTO

Le esecuzioni alle Fosse Ardeatine iniziano intorno all’1 e mezza (13 e 30). L’Attentato è avvenuto alle 4 del pomeriggio precedente. A Roma quel giorno, il giorno delle Fosse Ardeatine, il 24 marzo, tutti parlano dell’attentato di via Rasella, di cui non è stato dato nessun annuncio ufficiale, ma tutti ne parlano. Invece nessuno sa niente della rappresaglia; viene fatta in totale segreto.
Solo il giorno dopo, il 25 a mezzogiorno, il Messaggero esce con un comunicato del comando tedesco che parla della “vile imboscata eseguita da elementi criminali, comunisti badogliani, su incitamento anglo- americano”. E annuncia che il comando ha deciso che per rappresaglia dovevano essere fucilati, per ogni tedesco morto 10 comunisti badogliani. E l’articolo del Messaggero conclude: “L’ordine è già stato eseguito”.
Immediatamente è cominciata la costruzione di una leggenda secondo cui quelli che hanno compiuto l’attacco avrebbero potuto salvare le vittime delle Fosse Ardeatine se avessero risposto all’invito del Comando tedesco di presentarsi.

Invito che non c’è stato.

Come nasce questa cosa? Che su quello che è successo tra via Rasella e le Fosse Ardeatine, in un Paese come l’Italia, non ci sia da aspettarsi troppa chiarezza e troppa trasparenza lo si capisce già il giorno in cui viene annunciata la strage delle Fosse Ardeatine. Basta leggere quello che dice L’Osservatore Romano. Quando dà la notizia delle Fosse Ardeatine dice che ci sono state delle vittime tedesche in un attentato, e che ci sono state delle persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto.
Quindi ci sono state delle vittime tedesche e dei colpevoli che sono sfuggiti all’arresto, per cui sono state sacrificate delle altre persone.
Che ci sia qualcuno che è colpevole di averli fucilati, questi altri, “L’Osservatore Romano” non lo dice.

Qualche giorno dopo, il federale di Roma Pizzirani che deve gestire lo shock di una città che sta scoprendo cosa è successo – e non a via Rasella ma alle Fosse Ardeatine – dichiarerà per la prima volta che la colpa è di quelli che hanno fatto l’attentato, che se si fossero presentati non ci sarebbe stata la rappresaglia.
Passano 4 anni, è il 1948. Sapete che la tensione che c’è in Italia nel 1948. I comitati civici anticomunisti di Gedda a Roma battono e ribattono: “Quei vigliacchi non si sono presentati quando gli era stato chiesto di presentarsi. Se fossero venuti non ci sarebbero stati i martiri delle Fosse Ardeatine.”

A parte la dinamica dei fatti, con i tempi e gli orari che vi ho detto, che da sola basta a smentire l’idea della richiesta, è assolutamente dimostrato al 100% che nessuno si è mai sognato di chiedere ai responsabili di presentarsi; tantomeno hanno pensato mai di dirlo i responsabili tedeschi. I responsabili tedeschi sono tutti andati a processo e tutti quanti hanno dichiarato che questa cosa non c’è mai stata.
Kappler al suo processo dirà: “La rappresaglia l’abbiamo fatta in totale segreto, perché avevamo paura che se si fosse saputo che fucilavamo così tanta gente scoppiasse un’insurrezione.”
A Kappler hanno anche chiesto se avevano cercato almeno i colpevoli. Kappler, della Gestapo, ha risposto: “Ma no che non li abbiamo cercati. Tanto eravamo sicuri che la popolazione li avrebbe protetti.”
Al processo di Kesserling glielo chiederanno espressamente: “Ma non avete pensato di chiedere ai partigiani di via Rasella di presentarsi?” E Kesserling risponde: “Beh, a pensarci adesso… non sarebbe mica stata una brutta idea!” Insistono: “Ma non lo avete fatto?” “E no” Dice Kesserling “Non lo abbiamo fatto.”

 

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Perché festeggiare ancora il 25 Aprile?

Il 25 Aprile spiegato a mia figlia

 

 

 




ISP: chiusure programmate 2023

L’azienda ha appena comunicato che per il 2023 ha previsto le seguenti chiusure obbligatorie:

  • per tutte le filiali di BdT di tutte le filiere commerciali (ad esclusione della Filiale Accentrata Impact e di Filale Digitale) e per le filiali Divisione Private: il 24 aprile;
  • per le filiali ISP Casa e per Rent for You: il 24 aprile e dal 14 al 18 agosto;
  • per Acantus: il 24 aprile e dal 14 al 25 agosto.

A differenza di quanto avvenuto l’anno scorso non è previsto il coinvolgimento di colleghi per il servizio di caricamento bancomat.

Vi ricordiamo che per ogni chiarimento potete contattare i nostri sindacalisti sul territorio




La Madre del Partigiano

Seguendo quella che è ormai una triste tradizione, anche quest’anno la ricorrenza del 25 aprile va difesa dai tanti che vorrebbero snaturarla, attribuendole significati che non ha, o eliminarla del tutto, considerandola “divisiva”.

Quella che pubblichiamo è una breve poesia di Gianni Rodari, capace in poche righe di ricordarci quello che è stato il significato profondo della nostra Resistenza.

 

La Madre del Partigiano

Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.

Quando il sole la neve scioglie

un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.

Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.

Gianni Rodari

 

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Perché festeggiare ancora il 25 Aprile?

Perché festeggiare ancora il 25 aprile?

Risponde con il suo stile chiaro ed efficace il prof. Alessando Barbero, in un breve video registrato nel 2020. Di seguito il testo dell’intervento; in alternativa si può scegliere di guardare il filmato linkato in fondo all’articolo.

“Perchè il 25 Aprile? Non è una domanda oziosa. E credo che anche la risposta non sia ovvia,

In Italia oggi – ma in realtà già da parecchi anni – le celebrazioni del 25 Aprile stanno attraversando una fase di transizione. Quelli che c’erano son rimasti in pochi; non c’è quasi più nessuno che ricordi davvero cosa volesse dire vivere nell’Italia di allora e che cosa sia stata quella guerra. Oggi viviamo in un mondo diverso: la stragrande maggioranza della gente è nata dopo e vive in un presente carico di preoccupazioni, ha davanti a sé un futuro pieno d’incognite se non di paure ed è anche comprensibile che per tanta gente questi fatti così lontani nel tempo non vogliano più dire molto. E anzi, io credo che noi storici dovremo accettare l’idea che verrà un giorno in cui il 25 Aprile, la Resistenza in generale, sarà ricordata come oggi ricordiamo il Risorgimento: un avvenimento storico, di cui si parla nei libri. Conosciamo i nomi di quei personaggi, di quegli eroi, di quelle battaglie perché le abbiamo studiate a scuola, ma non riusciamo più a capire veramente chi fossero, a condividere la loro visione del mondo, a capire perché erano disposti a farsi ammazzare.
Succederà anche alla Resistenza e non c’è niente da fare, bisogna accettarlo.

Però il 25 Aprile, nell’Italia di oggi, non è a rischio per l’indifferenza di una moltitudine di persone che vivono in un mondo diverso e, legittimamente, pensano al futuro e non al passato. Non è questo il punto.

A me sembra che il 25 Aprile, nell’Italia di oggi, sia a rischio soprattutto perché c’é una parte del Paese che ha imparato dalle proprie famiglie che il fascismo non era poi così male, e che Mussolini in fondo ha governato bene, ha fatto tante cose buone. E che i partigiani invece erano dei poco di buono, dei delinquenti. E che tutta la retorica che si è fatta da allora in poi sulla Resistenza è esagerata, insopportabile…
Poi ci sono quelli che fanno finta di credere che la Resistenza l’abbiano fatta solo i Comunisti. Come se a Torino la Liberazione, la “Casa del fascio” presa dai Partigiani, non fosse stata ribattezzata “Palazzo Campana” in onore del Marchese Cordero di Pamparato: ufficiale di carriera, medaglia d’argento in Africa, nobile, cattolico e comandante partigiano.
Ci sono quelli che, siccome sono di destra e nazionalisti, arricciano il naso quando sentono Bella Ciao: “Una canzone comunista!”  Quando questa è una canzone che parla di un Italiano che si sveglia al mattino e trova il Paese invaso dallo straniero, e decide di andare a combattere.
Bel modo di essere Italiani, ostentare disprezzo per questa canzone!

Ma è proprio a questa gente, io credo, che il 25 aprile dovrebbe parlare. E’ a loro che dobbiamo rivolgerci per dirgli: “I vostri padri, i vostri nonni sono stati fascisti? Hanno creduto in Mussolini? E va bene. Un sacco di gente perbene è stata fascista e ha creduto in Mussolini. Questo nessuno ha paura di dirlo. Ma voi, voi davvero avreste preferito che vincessero Hitler e Mussolini? Davvero avreste voluto che le camere a gas continuassero ad ingoiare gente? Davvero preferireste vivere nell’Italia delle leggi razziali e della camicia nera invece di questa nostra Italia uscita dalla Resistenza?”

Io credo che anche queste persone che ostentano disprezzo per il 25 aprile e rifiutano di celebrarlo farebbero molta fatica a rispondere a queste domande.


 

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Perché dobbiamo continuare a festeggiare il 25 aprile?

Anche quest’anno, com’è ormai tradizione, la ricorrenza del 25 aprile porta con sé il suo carico di polemiche: è una festa divisiva, è superata, è il ricordo di qualcosa – il fascismo – che non esiste più.

Questo è un fatto curioso. In nessun altro Paese del mondo ci si sognerebbe di discutere la festa nazionale: noi invece abbiamo imparato a considerare normale, nel corso degli anni, vedere personaggi politici che occupano ruoli istituzionali anche importanti ma che non essendo “esattamente antifascisti” hanno preferito trovarsi altri impegni per sottrarsi alle celebrazioni.

Questo non potrebbero farlo se non ci fosse stato il 25 aprile: la loro libertà di criticare questa ricorrenza è nata proprio grazie al 25 aprile.

Proviamo a riflettere sul vero significato di questa data.

Nessuno di noi esiterebbe nel condannare Hitler, il Nazismo, l’orrore dei campi di sterminio, i folli progetti di conquista dell’Europa. Ma ce lo ricordiamo che siamo entrati in guerra come alleati di Hitler?
Che il regime fascista è stato complice di questo orrore? E questo è già un valido motivo per non dimenticare: oggi i nostri sovranisti accusano il Governo di essere succube della Germania, rimpiangendo quello che per loro era un periodo di grande prestigio. Ma la realtà è un’altra: il fascismo, quello sì che è stato un periodo di totale sottomissione alla Germania. Sottomessi al punto da accettare i lager, le leggi razziali, una guerra folle, gli ordini impartiti dal regime più spietato della storia.

Il 25 aprile 1945 è il momento in cui davvero l’orgoglio di un popolo riesce ad affermarsi, in cui l’Italia recupera la sua dignità. E arriva a conclusione di un periodo terribile, di quella che prima ancora che una guerra contro l’invasore straniero è stata una guerra fratricida.

La mia è una generazione che ha avuto la possibilità di sentir parlare del fascismo e della guerra da testimoni diretti: genitori e nonni ci hanno raccontato le loro esperienze, permettendoci di vedere attraverso i loro occhi e capire quanto sia stata difficile e dura la lotta che ci ha portato a liberarci dal nazifascismo. Per i ragazzi di oggi questa possibilità sta venendo meno, e presto non ci sarà più del tutto.

A loro abbiamo il dovere di ricordare, di insegnare. Di farli riflettere su quello che hanno vissuto ragazzi come loro, che nel giro di poco tempo sono passati dai banchi di scuola a dover imbracciare le armi e combattere, magari proprio contro quello che era stato il loro compagno di banco. Di raccontargli il coraggio con cui ragazzi come loro hanno lottato, sognando una libertà che in tanti non hanno mai potuto conoscere, perché sono morti prima di conquistarla.

Si dice che il fascismo sia un ricordo del passato, qualcosa che non può tornare; eppure basta guardarsi intorno per capire che non è così. Basta sentire i proclami infarciti di odio, di egoismo, di nazionalismo, di presunta supremazia di una cultura sulle altre per capire che tutto questo non è mai finito. Basta guardare cos’è successo in Ungheria per capire che ancora oggi, nel 2020, può nascere una dittatura in Europa. Per capire come la dittatura nasca sempre fingendo di ammantarsi di ideali, illudendo la popolazione di inseguire il bene comune.

Tutto questo va spiegato soprattutto alle giovani generazioni. Per questo il ricordo di ciò che è stato è indispensabile. E’ indispensabile celebrare il 25 aprile, più che mai in un paese nel quale – ancora oggi – esistono politci che chiedono pieni poteri.

Luca Copersini
Segretario Provinciale Fisac/Cgil L’Aquila

 




Cosa vuol dire “Resistenza”?

Quelle che seguono sono alcune pagine del diario segreto scritto da Peter Moen, eroe della resistenza norvegese morto nel 1944 a soli 43 anni durante il viaggio verso il campo di concentramento al quale era stato destinato.

Le memorie furono scritte di nascosto nel carcere nazista di  Oslo, sfidando i divieti (era vietatissimo leggere o scrivere) e l’oscurità della cella. Moen riuscì ad incidere le sue memorie su rotoli di carta igienica utilizzando un ferretto della tenda; i suoi “diari” furono nascosti in una griglia dell’areazione e ritrovati solo dopo la guerra. In tutto oltre mille pagine, scritte tra il 10 febbraio e il 4 settembre 1944, che in questi giorni vengono pubblicati per la prima volta in Italia con il titolo: “Møellergata 19” (il nome del carcere nazista)

Peter Moen aveva studiato matematica e di professione faceva l’impiegato assicurativo: una persona comune, uguale a tante altre, certo non una specie di supereroe. Peter era stato arrestato in quanto redattore di un giornale clandestino. Agli occhi degli oppressori nazisti, si era reso colpevole del più temuto dei crimini: raccontare i fatti. Allora, come oggi, nulla fa più paura della verità a a chi vuole controllare il popolo.

Quello riportato è un breve estratto, ma basta a capire quali pensieri potessero affollare la testa di chi si batteva per la libertà: nelle sue parole troviamo la paura, gli sforzi della mente per restare attiva e non crollare, i dubbi (ne vale la pena?), il dolore e il dispiacere per non essere abbastanza forte. E nonostante tutto c’è l’orgoglio, la convinzione di aver fatto la scelta giusta e anzi il rammarico per non aver fatto di più. La consapevolezza della morte, conseguenza inevitabile della lotta contro un nemico che in quel momento è troppo più forte.

L’Europa di oggi, il nostro Paese, esistono grazie alla generosità e alla forza d’animo di migliaia di persone come Peter, capaci di affrontare la paura, il dolore, nella certezza che fosse l’unica strada possibile. Capaci di battersi per noi, per darci una libertà che non avrebbero mai più conosciuto perché sapevano che la loro vita sarebbe finita a breve.

Come utilizziamo questa libertà?  Per esempio insultando o dimenticando chi si è sacrificato per regalarcela, come nel nostro Paese si permettono di fare alcuni ministri, indegni della Repubblica alla quale hanno giurato di essere fedeli.

Festeggiare il 25 aprile significa ricordare Peter, ma anche i tanti detenuti nelle prigioni naziste italiane (come quella di Via Tasso a Roma)  che seppero affrontare le loro peggiori paure per regalarci un futuro che a volte dimostriamo di non meritare.
Il minimo che possiamo fare è ricordarli e ringraziarli.

 

Giovedì 4 febbraio – 21° giorno

Stamattina andrò probabilmente alla V.T. (Victoria Terrasse, un edificio nel centro di Oslo, dal 1940 utilizzato dalla Gestapo come luogo di interrogatori, tortura e detenzione, ndr). È qualcosa di assolutamente mostruoso. Ho paura dei maltrattamenti. Prego Dio di aiutarmi. Lui ora è il mio unico sostegno.

Donnerwetter ha fatto una perquisizione! Non ha trovato il mio diario. Sta ordinatamente attaccato sul chiodo della carta igienica. Non ha trovato la mia penna. È un perno della tenda da oscuramento. I miei “scacchi” erano nel calzino sul gancio proprio davanti al suo naso. Perquisizione nella nuda cella di un prigioniero – anche questo è Gestapo… Ho sete e faccio pipì. Angoscia e tensione. Signore mio! Presto sarà un’abitudine avere paura. Facciamo una dura lotta. Forse me la caverò.

Un nuovo esempio della pressione psicologica qui: il postino mi mostra dallo sportello il mucchio di lettere – mi porge una lettera e dice: È per te? Naturalmente c’era un altro nome. Bisogna essere idioti per non capire lo scopo di certe cose. Spero che i miei compagni comprendano questi piccoli trucchi. Se compresi sono innocui. I piccoli uomini che hanno inventato certe cose vogliono dominare il mondo. Nonostante tutte le loro chiacchiere su Gross e Reich i tedeschi sono limitati. Per non parlare della Gestapo. Non c’è accenno a una “morale del dominatore”… Che Dio mi aiuti – e aiuti tutti gli altri. È terribile.

4 marzo – 30° giorno

“La tirannia nazista” è una realtà per noi “delinquenti” politici. Sappiamo cosa significa e proprio per questo siamo disposti a sacrificare molto nella lotta contro di essa. Io sono preparato a morire per questa causa. La morte è una conseguenza amara ma “pulita”. Quelli che io e probabilmente tutti i prigionieri dei nazisti temiamo più della morte sono i maltrattamenti. Non ci sono parole capaci di esprimere i miei sentimenti nei confronti della tortura di massa che qui viene esercitata. Mi priva di ogni fede. Io dico: come può Dio lasciare che questo accada? Il pensiero si ferma di fronte a questo problema. Alcuni forse vengono condotti sulla via della riflessione tramite la sofferenza ma i più? Si può finire rapidamente nella disperazione e nel rinnegamento. Due dei boia sono stati qui oggi.

15 marzo – 41° giorno

Il giorno della morte del tiranno (Giulio Cesare, ndr)! Ma il mondo partorisce sempre nuovi tiranni. Nelle prigioni ci sono sempre uomini che hanno alzato la voce o la mano contro ingiustizia e violenza. Vale la pena allora di fare questa lotta? Sì e ancora sì. Ogni libertà sarebbe presto soffocata senza di essa e senza le vittime che richiede. La lotta norvegese per la resistenza ha portato noi 300 qui al numero 19. Non mi pento di niente di ciò che ho fatto o scritto e mi dispiace solo di ciò che non ho fatto. Nelle prigioni dei nazisti devono esserci degli uomini. Se io non fossi qui ci saresti tu – tu che ancora sei libero. Ansimo sotto il giogo – ma non vorrei non aver fatto ciò che ho fatto… C’è quasi sempre semioscurità… La gente sta in cella di punizione. È un po’ più duro di come sto io – giaciglio più scomodo e mai una passeggiata nel cortile per l’aria. Sì – è dura – ma non ci spezzeranno…

Voglio scrivere ancora qualche parola oggi – solo per consolarmi un po’. La solitudine consuma le forze per pensare – perché il pensiero è abituato a stimoli esterni. Ora per esempio ho faticato per giorni con un integrale trigonometrico… Inoltre ho il cuore pesante. “Non si trova pace”. È difficile in queste condizioni non cedere al bisogno di pigrizia o sogni a occhi aperti. Devo impegnarmi molto per evitarlo. Non capisco bene il mio carattere. Sono debole e sentimentale – ma riesco a superare queste avversità… per ora.

19 marzo – 45° giorno

Anche io avrei voluto essere un uomo coraggioso. Non lo sono. Avrei potuto lasciare che le bestie della V.T. mi facessero a pezzi e tacere – tacere. Non ce l’ho fatta. L’angoscia e il dolore mi hanno spezzato. Nel corso di una serie di interrogatori i segreti mi sono stati tirati fuori. Mi vergogno a tal punto di questo che non ho voglia di incontrare nessuno dopo la guerra. Spesso penso: la cosa migliore sarebbe una condanna a morte. Questo contiene i miei tre desideri: il mio desiderio da Amleto viene esaudito – Ammenda per la viltà e forse avrò la fama postuma… Se questo dovesse finire con la morte vorrei che il mio diario fosse salvato… Ho cercato di essere sincero – di non abbellire per guadagnarmi una lettera dorata nella fama postuma e non diffamarmi per avere la lode della vergogna. Scrivo sotto la minaccia di un pericolo che è più grande di quanto possa permettermi di dire. Alcuni forse avranno difficoltà a capire la mia angoscia per la sofferenza e il dolore se apparentemente sono preparato a morire. Il dolore è cosciente. E la morte – Già che cos’è la morte?

 

Graffito inciso in una cella del carcere nazista di Via Tasso a Roma

 

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Il 25 Aprile spiegato a mia figlia

Mia figlia è un’adolescente, simile a tante ragazze della sua età; quell’età in cui pensi di aver capito tutto della vita e gli adulti ti sembrano noiosi e ottusi, ma li tolleri solo perché ti danno i soldi per comprare ciò che ti serve. E lo so benissimo che la pensa in questo modo, perché è esattamente quello che pensavo io quando ero un adolescente come lei……

Eppure, qualche sera fa questa giovane saccente mi ha fatto una domanda:

Papà, perché si festeggia il 25 aprile?”

E’ stato l’inizio di una bella chiacchierata.

Prima di tutto ho risposto alla sua domanda: il 25 aprile 1945 fu proclamata la rivolta di tutte le città ancora occupate dai nazifascisti, arrivando così alla liberazione dell’intero territorio nazionale nel giro di pochi giorni.

Ho provato a farle capire cosa fosse la guerra che stava finendo in quei giorni. Non c’era solo un esercito straniero da combattere: quella dalla quale l’Italia si stava liberando era anche una terribile guerra civile, in cui fascisti ed antifascisti si combattevano ferocemente. Le ho detto di pensare a ragazzi che avevano più o meno la sua età, che cercavano di uccidersi a vicenda pur essendo magari nati e vissuti nella stessa città.

Qualcuno le racconterà che dopo tanti anni le ragioni degli uni o degli altri siano ormai poco importanti e che tutti i combattenti debbano essere considerati vittime delle circostanze, ma le ho raccomandato di non credere a questa sciocchezza.

Non è la stessa cosa arruolarsi a fianco dei nazisti per spargere il terrore tra i propri connazionali o scegliere di abbandonare tutto, vivere tra i boschi e trascorrere le giornate nel terrore di una spiata che porti ad essere catturati e fucilati.
Non è la stessa cosa combattere e morire per un ideale, o farlo per stare dalla parte di chi in quel momento sembra il più forte.
Non può essere la stessa cosa essere fascisti o antifascisti.

Poi le ho raccontato la storia dei nove martiri Aquilani. Ragazzi che rifiutarono l’arruolamento da parte dei Nazisti, che nonostante la paura sognavano di poter combattere un’impossibile guerra contro un esercito potente e spietato. Furono arrestati appena fuori città e giustiziati subito dopo, senza alcuna esitazione. Eppure, ho spiegato a mia figlia che senza ragazzi come loro, senza i tanti che decisero di non rassegnarsi ma scelsero di resistere con tutti i mezzi, oggi forse lei non godrebbe della libertà che ha conosciuto.
Questo è il nostro debito verso la Resistenza.

Le ho spiegato come si fosse arrivati alla guerra civile, del fatto che l’Italia fosse entrata in guerra dalla parte sbagliata accanto alla Germania, ad Hitler, all’orrore assoluto, ma che poi aveva firmato l’armistizio con gli Alleati, di fatto trasformando gli amici in nemici.
A mia figlia ho raccontato che il nostro Paese non è stato mai capace di concludere una guerra dalla stessa parte in cui l’aveva cominciata. Era già successo nella Prima Guerra Mondiale quando dichiarammo guerra agli Austriaci con i quali eravamo alleati; succederà ancora in tempi più recenti, quando abbiamo bombardato la Libia dopo aver firmato un patto di non aggressione con Gheddafi. Non è un caso se, all’estero, il nostro Paese non viene considerato affidabilissimo.

A questo punto è arrivata la domanda più difficile: “Ma che cos’è il fascismo?”

(Come si spiega in parole semplici l’ideologia che ha trascinato il mondo in una guerra folle, e minaccia di farlo di nuovo?)

Il fascismo è un modo di pensare che nasce dalla scarsa conoscenza.
La scarsa conoscenza di altre persone, considerate diverse perché di un altro colore, di un’altra religione, di un altro orientamento sessuale o semplicemente perché non hanno le stesse idee. Una non conoscenza che si trasforma in paura, nella convinzione che quelle persone siano inferiori, anzi che non siano persone. Dall’ignoranza e dalla paura nascono l’odio, il razzismo e il nazionalismo, cioè la certezza che la propria nazione sia la migliore del mondo in virtù di una prova inconfutabile: è quella nella quale si è nati.
Alla fine queste idee assurde portano a vedere nemici dappertutto, nemici da eliminare, indegni di vivere perché più simili ad animali che ad esseri umani. Portano alla guerra.

E lei: “Ma questo non è il nazismo?”

Sì, ma fra nazismo e fascismo le differenze sono davvero poche. Se gli uni sterminavano gli Ebrei nei lager, gli altri glieli impacchettavano nei carri bestiame e glieli consegnavano.

Infine, le ho spiegato che queste idee balzane non sono mai morte: per quanto possa sembrarle assurdo, tante persone si proclamano ancora fasciste, e tante altre lo sono senza volerlo ammettere. Queste persone rappresentano ancora un pericolo: quando si rifiuta di conoscere, quando l’altro viene visto sempre e solo come un nemico ed un diverso, quando ci si lascia guidare dall’odio e dalla paura il risultato finale è sempre lo stesso: purtroppo la storia sembra non averci insegnato niente
Per questo bisogna continuare a resistere, tutti i giorni, combattendo non con le armi ma con la ragione.

Alla fine una sua esclamazione ha chiuso nel modo migliore la nostra chiacchierata:
Ma allora questi fascisti sono matti!”

Se è vero che la festa della Liberazione serve a ricordare, a tramandare alle future generazioni il ricordo di ciò che è accaduto per non farlo succedere di nuovo, credo che il modo migliore per onorare questa ricorrenza sia parlare, raccontare, spiegare.

La conoscenza è e sarà sempre il più efficace antidoto contro la paura e i pregiudizi.

 

Luca Copersini
Segretario Provinciale FISAC/CGIL L’Aquila




25 Aprile – Mai più fascismi

Guarda il trailer del film “Lettere da Berlino”

 

Il 25 aprile di ogni anno in Italia, nel ricordare la liberazione del Paese dalla dittatura fascista, si ribadisce il valore fondamentale della democrazia e si celebra l’unità di azione che seppero realizzare le donne e gli uomini che si opposero al regime.

La Festa della Liberazione è quindi momento della memoria e di monito contro rigurgiti di violenza, odio, xenofobia e razzismo, sempre pronti a uscire dal buio della storia in cui sono stati relegati dalla determinazione e dal sacrificio di persone normali, che trovarono nella coesione la forza e il coraggio di ribellarsi.

Sono gli stessi principi di riferimento alla base della nascita e dello sviluppo del movimento sindacale, che nel mondo costituisce baluardo e simbolo attivo di solidarietà, libertà, giustizia e forza, unito contro qualsiasi forma di prevaricazione, discriminazione e sfruttamento.

Per questo motivo, in un’epoca in cui crescono le organizzazioni neofasciste e, in Italia, in Europa e nel mondo, tornano parole che contrastano con basilari principi di umanità, in occasione del 25 aprile abbiamo realizzato unitariamente, tutti i settori del credito e delle assicurazioni e delle esattorie, cartoline che raccolgono l’appello nazionale MAI PIU’ FASCISMI, promosso il 3 gennaio 2018 da molte associazioni, tra le quali CGIL, CISL e UIL, e invitano a sottoscrivere l’appello stesso su Change.org.

Roma, aprile 2018

 

LE SEGRETERIE NAZIONALI CGIL, CISL E UIL