Benessere e povertà: il confine visto dall’alto


Il progetto fotografico Unequal Scenes mostra come l’architettura e lo sviluppo urbano siano usati come strumenti di emarginazione e segregazione in molte città del mondo.


 

ipa_ipa12521369_webMumbai, India: grattacieli milionari circondati da vasti slum (baraccopoli, bassifondi, bidonville…), con le baracche che, durante la stagione delle piogge monsoniche, sono ricoperte da teloni blu. 



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, qualche gita fuori porta, gli stessi amici, lo stesso quartiere, spesso le stesse vie. Viviamo incasellati in confini familiari delimitati da siepi, strade o pochi metri di nulla, con scarso interesse ad alzare lo sguardo su chi o cosa c’è al di là del nostro microcosmo: Johnny Miller, fotografo di Cape Town, in Sudafrica, racconta di “averlo visto” quando ha avuto l’occasione di fotografare la sua città dall’alto, con un drone in volo al di là di barriere e segregazioni – per guardare da una nuova prospettiva un problema noto, in un Paese che porta ancora i segni profondi dell’apartheid.

IL CONFINE VISIBILE. La serie Unequal Scenes, di cui vi mostriamo qui alcune foto, è un viaggio al volo sopra diversi importanti centri urbani del Sudafrica. Le disuguaglianze catturate nelle sue foto non sono però un’esclusiva del Sudafrica: condotta in modi più o meno “gentili”, l’emarginazione delle realtà più povere e disagiate è comune nei contesti urbani di molti altri Paesi. Miller ci mostra le due facce della medaglia (insieme) di Nairobi, Città del Messico, Detroit, Baltimora, Mumbai e altre città, dove l’architettura delimita in modo geometrico le aree con diversi redditi e stili di vita.

Guardate bene queste foto: c’è sempre un confine, costruito o immaginato, che sia un’autostrada o un campo da golf, un sistema di siepi o una diversa disposizione delle case. Da una parte e dall’altra, vicini che non si conoscono.

 

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La foto da cui tutto ha avuto inizio: in uno dei primi sorvoli del drone nell’area della sua abitazione, Miller ha catturato il contrasto tra Lake Michelle, la comunità residenziale sulla destra, nella Southern Cape Peninsula a 20 km dal centro di Cape Town, e la baraccopoli di Masiphumelele, abitata da 38 mila persone, senza stazioni di polizia, con soltanto una piccola clinica e il 35% della popolazione affetta da HIV o tubercolosi. Nel mezzo, una palude che è una terra di nessuno.

 

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Il Papwa Sewgolum Golf Course, sulle verdi colline attraversate dal fiume Umgeni, a Durban, Sudafrica. A pochi metri dalla sesta buca del “green” sorge una baraccopoli che spicca per disordine accanto all’erba pettinata del campo. Ironia della sorte, la struttura sportiva porta il nome di Sewsunker “Papwa” Sewgolum, un golfista sudafricano di origine indiana che divenne il primo giocatore di golf di colore a vincere un torneo provinciale in Sudafrica, nel 1963. Le foto della sua premiazione sotto la pioggia, perché per l’apartheid non gli era permesso accedere all’interno del club, fecero il giro del mondo e suscitarono un’ondata di indignazione e proteste.

 

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Le baracche fatiscenti di Kya Sands al limitare di Johannesburg. Quelle che sembrano strade, nella distesa di lamiere sulla sinistra, sono in realtà canali di drenaggio che passano tra le case e ne raccolgono i liquami di scarto. Sulla destra il quartiere benestante di Bloubosrand, con alberi, vialetti e piscine.

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Nairobi e, nelle parole del Miller, una delle città più affascinanti per il suo dinamismo e per i contrasti che, benché presenti, sono spesso nascosti e meno definiti. Qui si trovano alcune delle baraccopoli più affollate del mondo ma allo stesso tempo, infrastrutture che, se da un lato dividono e creano le basi per future segregazioni territoriali, dall’altro alimentano la crescita economica e lo sviluppo delle comunicazioni nella città. Qui il contrasto tra abitazioni ricche e povere nel sobborgo di Loresho/Kawangare.

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Le case dei lavoratori di Città del Messico, da alcuni paragonati a enormi slum, somigliano più a giganteschi quartieri operai estesi a perdita d’occhio, che ospitano milioni di persone. Nella foto, un ricco quartiere residenziale accanto al sobborgo povero di Ixtapaluca (a sinistra). La striscia rosa tra le case grigie, nel quartiere popolare, indica la presenza di un mercato.

 

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A Santa Fe, Messico, lo spazio abitativo è un tale lusso che le agenzie immobiliari hanno iniziato a sottrarlo alle vicine baraccopoli.

 

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Anche quando non fotografa disuguaglianze sociali evidenti, il drone di Miller mostra accostamenti surreali che fanno riflettere. Sulla destra la baraccopoli di Vusimuzi, 8500 capanne senza elettricità alla periferia di Johannesburg, e sulla sinistra il gigantesco cimitero di Mooinfontein. Tombe e baracche fianco a fianco, «come se i rispettivi fantasmi si facessero visita a vicenda» commenta Miller.

 

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