È di questi giorni la notizia che nella riviera romagnola i lavoratori stagionali del settore alberghiero chiedono di lavorare in nero, avendo fatto richiesta per percepire il reddito di cittadinanza. Secondo l’Istat è di circa 2 milioni il numero di coloro i quali, pur svolgendo un lavoro irregolare, potrebbero avere accesso alla misura: vale a dire quasi la metà degli aventi diritto. Stando ai dati raccolti da Unimpresa qualche mese fa, la norma che ha introdotto il reddito di cittadinanza è ad alto rischio di manipolazione e può prestarsi alla proliferazione del lavoro nero.
Un soggetto con un reddito mensile inferiore ai mille euro accetta volentieri il licenziamento da parte del datore di lavoro, in quanto potrebbe percepire il reddito di cittadinanza più un salario in nero, più contenuto rispetto a quello regolare. Le condizioni sono favorevoli anche per i datori di lavoro, poiché risparmierebbero notevolmente in termini di costo del lavoro ricevendo le stesse prestazioni. Molte persone potrebbero decidere di mantenere il lavoro nero approfittando del limite dei sistemi di controllo o delle difficoltà dei centri per l’impiego.
Non bisogna sottovalutare inoltre il grado di occupabilità dei percettori del reddito di cittadinanza. Le imprese, infatti, richiedono personale altamente qualificato, mentre la platea a cui fa riferimento la misura riguarda personale dequalificato, che quando lavora ha delle paghe bassissime e un livello di istruzione che spesso non va oltre la scuola dell’obbligo. A ciò si aggiunge una scarsissima conoscenza informatica e dunque va formato profondamente per poter essere inserito nel mercato del lavoro.
Con la diffusione del lavoro nero a rimetterci non è solo l’erario, ma le imprese che subiscono concorrenza sleale. I lavoratori in nero non sono sottoposti a contributi previdenziali, assicurativi e oneri fiscali. Ciò consente alle imprese in cui operano di beneficiare di un costo del lavoro ridotto e quindi di praticare un prezzo finale del prodotto, o servizio, molto più contenuto. Prestazioni che le imprese che operano nel rispetto della legge non sono in grado di offrire. Esiste dunque il rischio reale di assistere a un’esplosione del lavoro nero, nonostante i correttivi posti dal governo con l’assunzione di centinaia di ispettori: considerando dunque la platea, sarà un compito arduo. Si spera quindi che a fungere da deterrente siano le maxi sanzioni previste, che possono arrivare fino a sei anni di reclusione per coloro i quali cercheranno di ingannare lo Stato.