Popolare di Bari, arrivano gli arresti


La Procura di Bari avrebbe azzerato i vertici della Banca Popolare di Bari già sette mesi fa. È il luglio scorso quando il procuratore aggiunto, Roberto Rossi, e i pm Federico Perrone Capano e Savina Toscani, depositano la richiesta di misure cautelari per Marco e Gianluca Jacobini, ex presidente e direttore, l’ex amministratore delegato Vincenzo De Bustis ed Elia Circelli, responsabile della Funzione Bilancio. Ben sei mesi prima che la Banca d’Italia, a dicembre 2019, procedesse al commissariamento. L’inchiesta riguarda l’acquisizione di Banca Tercas, gli aumenti di capitale del biennio 2014-2015, bilanci “aggiustati” per “mantenere intatto il potere di gestione della banca a spese degli azionisti”. Falsati i dati degli avviamenti di Tercas e Cassa di Risparmio di Orvieto per circa 360 milioni. E ancora: 41 milioni da pagare all’Inps non segnalati in bilancio, false imposte anticipate sulle perdite fiscali per 96 milioni nel 2015, prospetti sballati sulla solidità delle azioni.

E proprio nei giorni del commissariamento, sulla scrivania del gip, giunge un’integrazione all’accusa: i due Jacobini spostano soldi dalla banca per ben 5,6 milioni di euro trasferendoli su conti personali – e intestati alle loro mogli – in altre banche. Se n’è accorta l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, che segnala ben 5 operazioni sospette intraprese a partire dal 12 dicembre 2019 “nell’imminenza” del “commissariamento”: dimostrano “l’intenzione di sottrarre i profitti illeciti a eventuali operazioni di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria”. Per Marco Jacobini emergono “profili di responsabilità in ordine a condotte di auto riciclaggio”. In sostanza, chiosa il gip, la “struttura della banca è ancora sottoposta al controllo di fatto della famiglia Jacobini” e c’è il rischio che “tale potere illecito” ne “impedisca il risanamento” con “devastanti effetti sull’economia meridionale”. Le accuse spaziano dal falso in bilancio al falso in prospetto e all’ostacolo alla vigilanza.

Anche i loro compensi paiono al gip insostenibili: “L’importo percepito da Marco Jacobini, pari a 3 milioni, appare, a prima vista, smisurato con riferimento alle funzioni svolte all’interno della Banca e se rapportato alla situazione di grave dissesto patrimoniale della banca”. D’altronde Marco Jacobini “governava la Banca con lo sguardo”, racconta un dipendente, e “vi era un potere assoluto del duo Marco e Gianluca” che aveva deciso “l’intera rete dei capi distretto come esercizio di potere di fatto”. Questo è accaduto per un decennio e, come abbiamo detto, nei fatti la Procura e la Guardia di Finanza, ci sono arrivati ben prima di Bankitalia. Di certo, Consob con le relazioni firmate da Giuseppe Maria Berruti aveva già multato la Bpb inviando gli atti in procura. E con il tempo la situazione s’è deteriorata al punto da spingere la procura a chiedere il loro arresto, disposto ieri dal Gip: Marco e Ganluca Jacobini sono ai domiciliari. Il concetto di regole pare piuttosto relativo, nel leggere le 409 pagine firmate dal Gip, visto che “i rapporti con il più grande cliente della banca (gruppo Fusillo, di recente dichiarato fallito) con un impressionante esposizione debitoria di centinaia di milioni veniva gestito da Gianluca Jacobini privo dei poteri che lo legittimavano al contatto con il cliente”. Marco Jacobini partecipava “al comitato crediti (senza che ci fosse verbalizzazione) pur non avendone alcun titolo” e “le verbalizzazioni… erano falsificate per non far emergere la presenza della famiglia”. Il gip su alcuni punti concorda con le accuse, su altri, come l’ostacolo alla vigilanza, ritiene che l’impianto indiziario non sia sufficiente, ma il quadro emerso resta devastante. L’accusa registra “la piena consapevolezza di tutti i dirigenti della BPB della falsificazione del bilancio al fine di soddisfare i desideri della famiglia Jacobini”. Il professor Gianvito Giannelli (non indagato, ndr) – compagno dell’attuale procuratore di Larino Isabella Ginefra, a lungo pm a Bari – è un “legale apparentemente indipendente”. In realtà è “consulente interno della Banca sulle questioni giuridiche”, in “conflitto di interessi” per il “monopolio delle pratiche legali” in Bpb e per i “rapporti di parentela con Marco Jacobini”.

Nel novembre 2018 viene intercettato Elia Cicelli mentre chiama Luigi Jacobini e “lo informa di avergli girato il conto economico”: “Il risultato – gli dice – è quello che ci aspettavamo”. L’accusa ritiene che “il risultato del conto economico” sia “stato già predeterminato in modo che … sia di segno positivo”. Alla Popolare di Bari si risponde alla “logica della piaggeria”, dice in un’altra intercettazione Cicelli, analizzando la situazione della banca.

Lo schema secondo l’accusa era il seguente. In primo luogo “il ruolo assolutamente preponderante di Marco e Gianluca Jacobini nella gestione e nel controllo dell’istituto di credito”. Poi c’era Circelli “nella redazione dei bilanci societari e la continua interlocuzione con il Presidente del Cda”. E infine l’ex ad Vincenzo De Bustis Figarola, per il quale il gip dispone l’interdizione e parla di “elevatissima propensione a delinquere”, “notevole spregiudicatezza nella programmazione ed esecuzione di delitti” e “preoccupante serialità” che hanno compromesso “interessi” che fanno capo a “società”, “soci”, “futuri soci” e “creditori”. Da ieri ha il “divieto temporaneo di esercitare la professione di dirigente di istituti bancari”.

 

Articolo di Antonio Massari su “Il Fatto Quotidiano” dell’1/2/2020

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