L’azienda può ridurre lo stipendio ai lavoratori?


Riceviamo periodicamente segnalazioni dai lavoratori, che riferiscono di discorsi minacciosi da parte dei rispettivi “capi”, secondo i quali sarebbero imminenti significativi tagli alle buste paga per introdurre una parte di retribuzione variabile legata ai risultati.

Cosa può esserci di vero in un simile annuncio?

Per rispondere alla domanda esaminiamo le regole che disciplinano la materia.

I DIRITTI ACQUISITI SONO INDISPONIBILI

Non tutte le norme che regolamentano il rapporto di lavoro possono essere oggetto di trattativa. In particolare, i diritti acquisiti e consolidati, di norma coincidenti con fondamentali valori umani e sociali garantiti dalla Costituzione, sono indisponibili: questo significa che non possono essere oggetto di trattativa in quanto né le aziende, né le organizzazioni sindacali possono rimetterli in discussione, trattandosi di qualcosa che si trova ad un livello superiore alle parti e della quale non possono disporre.

Tra i diritti indisponibili c’è quello relativo ai livelli retributivi, tutelati peraltro dall’Art. 36 della Costituzione:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

I contratti collettivi prevedono tabelle che stabiliscono i livelli retributivi minimi per ciascun inquadramento (ad esempio, questa è quella relativa al contratto ABI)


I livelli indicati in tabella costituiranno la base da cui partire in occasione dei futuri rinnovi contrattuali: possono al limite restare invariati, ma non possono diminuire.

Eventuali variazioni alla struttura retributiva possono valere solo per chi comincerà a lavorare dalla stipula del contratto in poi, non avendo ancora diritti precedentemente acquisiti.
Un esempio è rappresentato dall’art. 46 del CCNL ABI del 2015, che prevede per i nuovi assunti una deroga ai livelli retributivi per quattro anni, ma lascia ovviamente immutata la retribuzione dei lavoratori in servizio alla data di stipula.

L’unico caso in cui un accordo può derogare in peggio rispetto ai livelli retributivi si ha nel caso di gravi crisi aziendali. In situazioni in cui l’esistenza stessa dell’azienda è posta in serio pericolo, si possono eccezionalmente rimettere in discussione anche diritti indisponibili, al solo scopo di salvare i posti di lavoro.
Un accordo del genere, per essere valido, deve necessariamente essere approvato da ogni singolo lavoratore tramite conciliazione individuale con l’azienda.
Purtroppo abbiamo già esperienza di accordi fatti in aziende bancarie nelle quali il taglio delle retribuzioni si è rivelata l’unica strada percorribile per scongiurare la liquidazione.

Possono invece essere oggetto di revisione i trattamenti “ad personam“, qualora siano frutto di accordi tra Azienda e lavoratori. Un successivo accordo tra le medesime parti può modificare o eliminare l’ad personam.

LA RETRIBUZIONE E’ LEGATA ALLE MANSIONI SVOLTE

Il concetto per cui la retribuzione non può essere ridotta viene ribadito dal Codice Civile:
l’art. 2103 stabilisce che anche in caso di demansionamento il lavoratore ha il diritto al mantenimento della retribuzione percepita.
L’art. 2113 prevede che il lavoratore non possa in alcun modo derogare a disposizioni irrinunciabili della legge o dei contratti collettivi.
Per essere chiari: se un’azienda “convincesse” un lavoratore a firmare un accordo nel quale accetti di ridursi la retribuzione a parità di mansioni, quell’accordo sarebbe nullo.

Diverso invece è il caso in cui tra azienda e lavoratore venga sottoscritto un accordo che preveda la variazione di mansioni: in quel caso la riduzione di retribuzione può essere legittima se giustificata dallo svolgimento di mansioni inferiori.
Dell’argomento ci eravamo già occupati in un precedente post, al quale rimandiamo per approfondimenti

https://www.fisaccgilaq.it/normativa/come-e-quando-si-puo-essere-demansionati.html

LA RETRIBUZIONE VARIABILE

Prima di tutto ribadiamo un concetto: tutte le forme di retribuzione variabile (premi di risultato, sistemi incentivanti, MBO….) non possono mai essere sostitutive degli importi tabellari, ma possono solo aggiungersi ad essi.

Non possiamo escludere che in sede di rinnovo del CCNL ABI, in scadenza alla fine del 2018, le Aziende cerchino di inserire nuove forme di contratti misti (con una parte di retribuzione fissa ed una legata ai risultati), sulla scia di quanto avvenuto con l’ accordo stipulato il 21-12-2017 nel Gruppo Intesa; se anche questa modalità retributiva dovesse venire introdotta nel prossimo contratto, varrebbe comunque solo per gli assunti dopo la data di stipula.

Nelle aziende esistono varie forme di accordi che disciplinano la parte variabile della retribuzione, essendo una materia di norma demandata ai contratti di secondo livello.
Esistono tuttavia dei paletti volti ad evitare che i premi siano legati al raggiungimento di obiettivi individuali.
Sia il CCNL ABI (art. 51) che il CCNL Federcasse (art. 50) stabiliscono che i premi debbano essere assegnati “per gruppi omogenei di posizioni lavorative”. 
Il concetto è stato ribadito nell’ Accordo Nazionale sulle politiche Commerciali sottoscritto l’8 febbraio 2017 presso l’ABI che all’art. 8 prevede l’assegnazione di obiettivi volti a valorizzare il lavoro di squadra.

 

POSSIAMO ORA RISPONDERE ALLA DOMANDA INIZIALE: la riduzione dello stipendio e la sua sostituzione con una quota variabile legata a risultati individuali, non sono possibili in quanto comporterebbero la violazione di contratti, leggi e principi generali del diritto.

Chi minaccia i lavoratori affermando possibili variazioni in tal senso pone in essere una forma particolarmente scorretta di pressioni commerciali illegittime, che mira a spaventarli e privarli delle loro certezze.

Ancora una volta ribadiamo l’invito ai lavoratori a segnalare tutti i comportamenti scorretti ai propri rappresentanti sindacali, affinché si attivino per farli cessare immediatamente.

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