La storia di Lara


Lara R. ha 45 anni, è una donna minuta dai capelli lunghi fino ai fianchi che la fanno sembrare un ritratto rinascimentale e l’aria determinata.

La frase in questione «Ieri sera ero a casa che facevo l’amore con mia moglie e ho pensato a te» l’ha pronunciata il suo superiore ed è stata l ‘inizio di un crescendo di abusi arrivato fino alla violenza fisica.

Le richieste sessuali

«Le proposte sessuali sono partite nel 2009 – ricorda nell’ ufficio fiorentino della sua avvocata, Marina Capponiquando lavoravo lì già da tre anni come impiegata amministrativa. Fin dall’ inizio aveva con me un atteggiamento impositivo, pretendeva che facessi cose che non c’entravano niente con il mio lavoro, come accompagnare fuori il suo cane o lavargli gli occhiali . Poi è passato alle richieste di sesso».
L’uomo sembrava darle per scontate.  «Quella prima volta gli dissi che non mi interessavano i suoi pensieri e lui si stupì “:
“Come, non ti senti lusingata?”. Qualche minuto dopo aggiunse: “Mi piacerebbe che tu diventassi la mia amante”.

Commenti che col passare del tempo, nonostante le rimostranze di Lara, sono di ventati sempre più volgari : «Almeno una volta dammela», «Non la tenere sotto sale», «Ce l’hai murata con il cemento».

L’escalation delle molestie

«Poi è passato dalle parole ai fatti : se mi giravo fischiava e mi metteva un dito tra le natiche.
“Scherzo” si giustificava. Una volta mi sono chi nata a prendere dei faldoni e me lo sono trovato davanti alla faccia che mimava un atto sessuale».
Lara faceva fatica a parlarne, sia con i colleghi che fuori : «Raccontavo qual cosa ma non tutto, avevo paura che non mi credessero».
Intanto piangeva ogni mattina quando sentiva la sveglia. Il culmine è arrivato con un’aggressione per avere «finalmente» un bacio: «Mi ha spinto così forte contro il muro
da rompere la pinza che avevo in testa e me lo ha dato a forza. “Vedi che alla fine ti ho baciato?” ha detto dopo».
Lara è andata avanti ancora qualche settimana, poi è crollata: «Mi sono svegliata una mattina con un formicolio in tutto il corpo, le orecchie che fischiavano e  la tachicardia». È stato allora che, accompagnata dal padre, è andata al sindacato, la Cgil , che l ‘ha subito messa in contatto con l’avvocata.

Il licenziamento (poi impugnato)

“Entrò nello studio che non riusciva nemmeno a camminare, la tenevano il sindacalista da una parte e suo padre dall’altra” racconta la legale, Marina Capponi. “La prima cosa che ho fatto è stata mandarla a Pisa, dove c’è un centro di medicina del lavoro all’avanguardia“. Lì i medici le hanno diagnosticato un di sturbo da stress collegato al lavoro e hanno fatto – all’insaputa di Lara e della sua avvocata – un esposto alla magistratura per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro perché l’azienda, non proteggendola dagli abusi , non ha sufficientemente tutelato la sua salute.
Lara e la sua avvocata, invece, hanno mandato una lettera al  titolare della ditta per segnalare le molestie.  «La loro reazione è stata licenziarmi , senza parlare con noi » racconta Lara.
Dall’impugnazione del  licenziamento è nato il processo in sede civile. Nel 2012 il giudice del lavoro le ha dato ragione e ha condannato il suo datore di lavoro a pagare circa 70mila euro, sentenza poi confermata anche in appello. L’estate scorsa si è concluso il secondo procedimento, stavolta penale, e il suo molestatore è stato con dannato a 2 anni e 8 mesi per violenza sessuale attenuata.
«La mia soddisfazione più grande è stato vederlo in aula, senza parole e viola in volto» racconta  Lara.

Che fare contro le molestie sessuali sul lavoro di un collega?

La risposta è stata fornita, a più riprese, dalla Cassazione.
Tentare di limitare la libertà altrui (ad esempi o con un abbraccio o con le mani sulla vita o sul collo) e, nello stesso tempo, sfiorarne le zone
erogene (come le labbra, il collo, le natiche, le cosce, il seno e, non in ultimo, le parti intime) integra il reato di violenza sessuale.
Tutto ciò che raggiunge la sfera sessuale e le impone di subir e un atto non voluto è reato: «consumato» o «tentato» a seconda che l’obbiettivo sia stato raggiunto o meno (si pensi , in questo secondo caso, alla donna che riesce a di vincolarsi con uno schiaffo sferrato al molestatore).

In tutti questi casi puoi sempre denunciare il tuo collega responsabile delle molestie sessuali .
Se questi non è riuscito nel suo intento, possono sempre ricorrere gli estremi della tentata violenza sessuale: la sanzione non sarà grave come nella prima ipotesi ,ma potrai pur sempre avviare un processo penale contro il colpevole e chiedergli, per di più, il risarcimento del danno (tramite la costituzione di parte civile).
Per suffragare la tua denuncia, potrai portare davanti al giudice, come testimoni , gli altri colleghi di lavoro o i clienti che hann o assistito alla scena. Ma se anche questi dovessero negarti il supporto o i fatti si sono consumati a porte chiuse, la tua stessa di chiarazione sarà ugualmente sufficiente. Di fatti, nel processo penale, la vittima può essere testimone di sé stessa (lo stesso non è invece previsto per l’imputato). In buona sostanza il giudice può fondare una sentenza di colpevolezza già solo con le dichiarazioni della parte lesa, se non contraddet te da altri elementi.

Il Codice civile impone al datore di lavoro l’obbligo di tutelare la salute psicofisica dei dipendenti, disponendo un luogo di lavoro salubre e lontano da qualsiasi rischio o pericolo; ragion per cui il datore di lavoro è responsabile sia per le proprie mancanze che per quelle commesse dagli altri dipendenti. Su di lui ricadono le colpe di tutta la struttura aziendale quando il pregiudizio si riversa sulla salute di uno dei lavoratori .
La Cassazione ha chiarito che il dipendente, vittima di molestie sessuali da parte dei colleghi sul luogo di lavoro, può chiedere il risarcimento al datore sul presupposto che questi sia rimasto colpevolmente inerte nella prevenzione e rimozione del “fattaccio”.
In buon a sostanza, se il datore viene messo al corrente del tentativo di avances, deve fare di tutto per tutelare il proprio lavoratore.

Ma cosa succede nel mondo bancario?

Consapevolezza e responsabilità nell’uso della comunicazione dovrebbero essere il primo passo per combattere le molestie nel luogo di lavoro.
Le parole possono ferire, offendere, umiliare. Tanto più se provengono da persone con ruoli di potere. Sono sempre più frequenti i casi di allusioni, ammiccamenti e proposte insistenti segnalati d nostre colleghe.
La violenza verbale o psicologica non è meno grave di quella fisica, che spesso ne è la diretta conseguenza.
La cultura patriarcale, insieme ad una inadeguata distribuzione di potere tra i generi alimentano e perpetuano discriminazioni, molestie e violenza. Spesso diventa difficile individuarle e farle emergere: chi le subisce fatica a denunciarle, chi le agisce si autoassolve declassandole a scherzo o galanteria ed i colleghi difficilmente solidarizzano con la vittima.
Spesso chi dimostra di non gradire battute volgari viene definita una bigotta, frigida o noiosa. Le vittime arrivano al punto di assuefarsi a certe situazioni.

La consapevolezza di questo fenomeno deve aumentare.
Ogni forma di molestia, verbale o fisica,è intollerabile.
“Pensavo fosse colpa mia” , è la frase che fa più rumore quando ci sentiamo raccontare episodi di molestie sui luoghi di lavoro. E le vittime ci segnalano un senso di solitudine.

Questo non deve più accadere. Il sindacato è al vostro fianco.

 

Fonte: Banconote aprile 2019 – organo di informazione della Fisac/Cgil Brescia

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