Italia senza futuro: il declino demografico è inarrestabile


Alessandro Rosina è uno dei più apprezzati demografi italiani. Insegna alla Cattolica di Milano e non si capacita di come esista una percezione alterata di quel che stia divenendo l’Italia. Già oggi un Paese della terza età e domani un mega villaggio vacanza dove soggiornare d’estate
Tra 15 anni mancherà il 30% di forza lavoro: ci serve l’immigrazione”


Forse non ci siamo capiti ed è venuta l’ora di spiegarlo bene. L’Italia si è già fatta assai più piccina, e ci aspetta un declino demografico irreversibile. Non possiamo fare altro che imitare la Germania.

Professor Rosina, la Germania cosa ha fatto?

Ha attratto da ogni altro luogo il capitale umano per sopperire al deficit di natalità fino a giungere ultimamente al saldo demografico positivo di + 500mila.

Qui da noi, professore, il nuovo governo ha tra i primi impegni quello di bloccare i migranti. Siamo troppi, stiamo già stretti tra di noi, non possiamo riceverne altri. Questa la considerazione da cui si parte.

Senza di loro non c’è futuro, senza di loro la crisi occupazionale sarà gravissima. Tra quindici anni mancherà il trenta per cento della forza lavoro. Lo sa qualcuno?

Ma possibile che la classe dirigente non abbia in mano i numeri di questa catastrofe demografica?

Intuisco che al governo c’è la generazione dei boomers, coloro che sono stati al centro della produzione nazionale e che non hanno mai conosciuto i vuoti odierni. La crisi economica del 2009 ha poi terremotato la società che, per paura, ha sbarrato porte e finestre. Però la realtà è opposta a come si immagina.

Spieghiamola questa realtà.

Primo grande guaio: per tenere il livello della crescita demografica stabile e – diciamo così – autosufficiente avremmo dovuto garantire nel tempo un rapporto di due nati per ogni donna. Invece il rapporto tra figli e genitori è fermo ormai da anni a 1,25. Poco più di uno per coppia. In questo modo il declino tracciato è risultato inarrestabile. Secondo guaio: gli over 65 negli anni settanta erano sette milioni, oggi sono già quattordici milioni. Nel 2050 saranno diciannove milioni. Questo il Paese dei vecchi.

E il Paese dei giovani?

Terzo grande guaio: gli under 35 erano circa trenta milioni a fine anni settanta, ora sono meno di venti milioni e tra ventotto anni la cifra sarà di sedici milioni.

Questo significa?

Il senso catastrofico del rimpicciolimento indica il quarto grandissimo guaio: tra poco più di un decennio senza una immissione robusta di forza lavoro dall’esterno il livello di occupazione si ridurrà fino al trenta per cento. Significa che la produzione, e dunque la ricchezza nazionale, subirebbe un arretramento formidabile. L’unica possibilità per salvarci è appunto quella di integrare braccia e menti, acquisirle dall’estero.

Altro che bloccare i barconi!

Temo che la politica non riesca a gestire l’integrazione e pensa di risolvere il problema chiudendo gli accessi. Ma così muore l’economia italiana.

Lei ha denunciato l’ipocrisia di una classe dirigente anziana che si lagna dicendo che questo non è un Paese per giovani.

Non devono essere gli anziani a piangere falsamente per i giovani che mancano, a mostrare ipocritamente le lacrimucce e decidere quale futuro far avere ai giovani (che per inciso rappresentano nella popolazione la percentuale più bassa rispetto al resto d’Europa) ma devono accettare finalmente di lasciare nelle mani delle giovani generazioni le leve del potere. Stop.

Oggi è un fuggi fuggi di ragazzi.

Noi perdiamo i bravissimi, i talentuosi e anche i meno bravi ma con una gran voglia di fare. Restano qui invece i Neet.

I Neet?

Acronimo (not in education, employement or training) che individua chi, tra gli under 35, ha smesso di studiare ma non ha iniziato a lavorare. In Italia sono circa tre milioni.

Giovani sfaccendati?

Giovani che non trovano una connessione tra scuole e lavoro. Risultano in difficoltà, restano ai margini dell’attività lavorativa.

È una vera sciagura democratica questa, non solo demografica.

È un dramma, e il fatto che non se ne valuti appieno la dimensione della crisi fa cascare le braccia.

Coloro che dovrebbero allertarsi non badano al futuro, si preoccupano dell’oggi. In fondo sono dei mediocri.

È una tragedia.

 

Intervista di Antonello Caporale sul Fatto Quotidiano del 31/10/2022

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