Il Job’s Act ha fatto diminuire le nascite in Italia


Nascono pochi bambini in Italia. E ne nascono ancora meno da quando è arrivato il Jobs Act. Per dirla meglio: da quando – nel 2015 – è stato cancellato l’articolo 18, e gli imprenditori possono più facilmente licenziare una dipendente.
Lo dicono i numeri.

A valutare come la riforma renziana del mercato del lavoro abbia influito sulla natalità è uno studio condotto da Maria De Paola e Vincenzo Scoppa, ordinari di Economia presso l’Università della Calabria, insieme con Roberto Nisticò, ricercatore di Economia Politica all’Università di Napoli Federico II e all’Institute of Labor Economics (Iza) di Bonn. Il Jobs Act è entrato in vigore il 7 marzo 2015 ed è efficace solo sui rapporti di lavoro avviati dopo quel giorno.

La principale novità consiste nell’aver abolito la norma dello Statuto del lavoratori che prevedeva il diritto a essere reintegrato per chi fosse stato licenziato senza giusta causa da un datore con almeno 15 dipendenti (sotto questa soglia, invece, l’articolo 18 non si applicava già prima del Jobs Act). La riforma ha sostituito questa tutela forte con un indennizzo in denaro.

Mandare a casa un addetto è diventato molto meno costoso pure per le aziende più grandi, insomma, e i nuovi lavoratori – nel frattempo assunti con il contratto ora chiamato “a tutele crescenti” – si sentono meno sicuri di chi è stato reclutato prima del 7 marzo 2015. Questo ha influito sulle scelte di maternità delle donne: gli studiosi hanno suddiviso il campione tra lavoratrici assunte prima e dopo il Jobs Act e poi hanno distinto quelle impiegate in imprese sotto i 15 addetti – alle quali le nuove norme non hanno cambiato nulla – e quelle sopra quella soglia, direttamente colpite dalla legge.

Tra quelle entrate prima della riforma, risultava aver preso il congedo di maternità il 3,4% nelle aziende più piccole e il 4,2% in quelle più grandi. Tra i due gruppi c’era una differenza netta: le più protette erano più propense ad avere figli. Tra quelle arrivate dopo, invece, non c’è alcuna differenza: entrambi i gruppi registrano un 2 per cento. Insomma, una volta allineate (al ribasso) le tutele, si è allineata anche la scarsa propensione a diventare madri.
Gli autori dello studio hanno anche chiarito che non tutte sono state colpite allo stesso modo dalla riforma. Visto che negli stessi anni sono stati incentivati i contratti a tempo indeterminato, per chi è stato stabilizzato potrebbe esserci stata una conseguenza inversa (cioè si sono decise a fare figli). Ma in generale i numeri parlano di un effetto negativo.
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