I pagamenti in contanti in Italia


Ricordiamo che da poco tempo è entrata in vigore la Normativa che prevede la comunicazione, all’Unità di Informazione Finanziaria di Bankitalia, di tutte le movimentazioni mensili di contante che superino la soglia di 10mila euro (precedentemente era di 15mila euro), allo scopo di incentivare l’utilizzo di forme di pagamento alternative al contante – con il vantaggio di minori costi e rischi ed una maggior tracciabilità delle transazioni, leggasi antiriciclaggio -.

Questa propensione all’uso del contante è presente anche in altri Paesi europei, come la Germania e l’Austria mentre in Francia sono più diffusi i pagamenti elettronici. Quasi inesistente il denaro contante in Finlandia, Olanda e Svezia (Paese non Euro). I dati chiariscono che l’uso del denaro contante come mezzo di pagamento delle transazioni è cresciuto molto a partire dal 2018, anno del fallimento della Lehman e durante le crisi del Debito sovrano degli 2010-2013. 

La Banca Centrale Europea stima che circa il 30% della circolazione complessiva (circa 350mld di Euro su un totale di poco più di 1.188mld di Euro fisici a giugno scorso) sia detenuta a scopo di pagamento. Una  ricerca della stessa Bce di tre anni fa, ma ancora attuale, calcola che il valore medio delle transazioni in contanti sia di 14 euro rilevati nei punti vendita, dimostrando come il denaro contante primeggi nei pagamenti di tutti i giorni per importi ridotti e rimanga, invece, unità di riserva in chiave precauzionale o di portafoglio.

Intanto si affacciano sulla scena, seppur lentamente, strumenti di pagamento diversi: le emissioni in euro nette da parte della Banca d’Italia (pari al 18% dell’intera area Euro fino al 2008) hanno evidenziato notevoli flessioni a partire dal 2011 per il limite a 999,99 per i pagamenti in contante, poi rimosso nel 2016.

 

Fonte: Fisac

 

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