Donne al lavoro: può essere lecito il ritardo per portare i figli a scuola


Il giudice dichiara illegittime le discriminazioni in danno delle lavoratrici madri, costrette a ritardare l’ingresso per le necessità scolastiche dei figli.

Se qualche volta fai tardi al lavoro perché devi accompagnare i figli a scuola, d’ora in poi non dovrai più preoccuparti troppo dei rimproveri del capo o dei colleghi: adesso la giustizia ti viene in aiuto. Però devi essere donna e mamma, perché il nuovo principio stabilito dai giudici riguarda la parità tra i sessi e dunque il divieto di discriminazione nei confronti di chi versa in questa doppia situazione di svantaggio.

Le donne che lavorano sono svantaggiate, devono conciliare impegni ed orari con le esigenze della maternità, specialmente quando hanno figli piccoli. E tra le incombenze da svolgere c’è anche quella di portarli a scuola o all’asilo, oppure di andarli a riprendere all’uscita (talvolta anticipata, se non stanno bene e dalla scuola avvisano di venire).

Il caso che ha portato alla ribalta la questione è successo in un ufficio pubblico: si tratta della Regione Toscana, che aveva emanato un ordine di servizio che la consigliera alle Pari Opporunità ha impugnato davanti al giudice del lavoro ritenendolo discriminatorio perchè violava la parità tra lavoratori e lavoratrici.

Il giudice le ha dato ragione: il provvedimento era penalizzante per le lavoratrici madri perché non teneva conto del fatto che i loro ritardi sul lavoro potevano essere dovuti proprio alla necessità di dover accudire i loro figli, anche accompagnandoli a scuola. Il Tribunale ha ritenuto «notorio che i genitori (e a maggior ragione le lavoratrici madri) specialmente se con figli in età da scuola dell’infanzia, materna o primaria, si trovino frequentemente a dover far fronte ad impellenti e imprevedibili esigenze connesse all’accudimento della prole, le quali possono anche comportare l’improvvisa necessità di ritardare l’ingresso al lavoro o di anticiparne l’uscita».

Invece, secondo il giudice fiorentino, l’ordine di servizio emanato dalla Regione era troppo rigido e metteva in una posizione di svantaggio queste lavoratrici madri: in particolare non c’era nessuna flessibilità nel punto che imponeva ai dipendenti di giustificare per iscritto tutti i ritardi d’ingresso dalle ore 09,16 alle 09,30 e prevedeva, in caso di motivi riconosciuti non validi, l’instaurazione di un procedimento disciplinare a loro carico per il ritardo registrato.

Questo, oltre alle penalizzazioni sul recupero successivo dei tempi di lavoro non effettuato, o il computo del ritardo – se l’ingresso avveniva oltre le 09,30 – come “permesso breve”, che però in base a quelle stesse disposizioni avrebbe dovuto essere chiesto ed autorizzato in anticipo, cosa evidentemente inconciliabile con una situazione di necessità e urgenza che potrebbe insorgere improvvisamente e all’ultimo momento.

La conclusione è stata l’annullamento dell’ordine di servizio nella parte in questione: il giudice ha ordinato «la cessazione del comportamento pregiudizievole tramite la rimozione dell’efficacia giuridica o, comunque, la non applicazione delle disposizioni accertate come discriminatorie» ed ha ordinato alla Regione interessata di rimuoverne gli effetti, anche provvedendo a definire e ad attuare un apposito «piano di rimozione» entro 6 mesi, interpellando prima dell’adozione i sindacati di categoria e i consiglieri alle pari opportunità.

Il significato che si può trarre da questa pronuncia giurisprudenziale è che non si può prendersela comoda al mattino derogando all’orario di lavoro, ma se ci sono esigenze particolari – deve trattarsi di necessità improvvise e non programmabili prima – che talvolta fanno fare ritardo alla madre lavoratrice che ha dovuto portare i figli a scuola, non si può essere puniti o penalizzati dal proprio datore di lavoro per il solo fatto del ritardato ingresso, senza aver considerato queste particolari giustificazioni; altrimenti si realizzerebbe una discriminazione vietata dalla legge.

La sentenza del Teibunale del Lavoro di Firenze

 

Fonte: www.laleggepertutti.it

image_pdfScarica PDF di questo articoloimage_printStampa articolo