Dobbiamo ringraziare l’Azienda che ci paga lo stipendio


Spesso ci sentiamo rivolgere questa frase dai nostri superiori, magari in una delle sue varianti se possibile ancor più sgradevoli:

Questo mese non hai raggiunto gli obiettivi commerciali: eppure il 27 lo stipendio lo hai preso.

Oggi non hai venduto neanche un prodotto: lo stipendio lo hai rubato.

Eccetera, eccetera, eccetera.

Ha ragione chi ci apostrofa in questo modo? Lo stipendio è un’elargizione per la quale dobbiamo dire “Grazie”? Dobbiamo vergognarci se lo riceviamo pur non avendo raggiunto il “punteggio” che ci si aspettava da noi?

Proviamo ad esaminare la questione da diversi punti di vista.

 

Perché è una frase offensiva

Proviamo a pensare a quello che succede quando compriamo un paio di scarpe. Una volta scelto il modello che ci piace, se riteniamo che il prezzo sia adeguato poniamo in essere uno scambio: noi tiriamo fuori i soldi, il commerciante ci consegna le scarpe.
Se per le scarpe abbiamo pagato “il giusto”, nessuno deve sentirsi debitore e lo scambio si conclude con reciproca soddisfazione.

Quando si parla di prestazione lavorativa, pur con enormi differenze (il lavoro non può mai essere considerato alla stregua di una merce), siamo comunque alle prese con uno scambio. Il lavoratore offre la sua opera, producendo servizi che l’azienda vende al pubblico; in cambio riceve un compenso, che dovrebbe essere adeguato. Sul tema del giusto compenso torneremo più avanti.

Nelle imprese bancarie, in particolare, ciò che viene venduto non sono beni materiali ma servizi: anche quando vendiamo una carta di credito in realtà quello che stiamo dando al cliente non è il pezzo di plastica ma la possibilità di effettuare pagamenti. In definitiva, ciò che l’Azienda vende è il nostro lavoro.
Nel corso degli anni ci è stato fatto credere che, senza adeguate azioni commerciali e senza la spinta alle vendite, le Aziende bancarie non produrrebbero utili e quindi non potrebbero pagarci lo stipendio. Poi però è arrivato il lockdown, con la sospensione delle “indispensabili” campagne commerciali, e abbiamo scoperto che non solo le Banche riuscivano a tirare avanti lo stesso, ma producevano comunque utili, in qualche caso toccando livelli record.

Morale della favola: anche senza la spinta delle campagne commerciali il nostro lavoro produce una quantità di ricchezza di gran lunga superiore a quella che le Aziende ci retrocedono sotto forma di retribuzioni.

E torniamo alla frase che dà il titolo all’articolo.

Si ringrazia quando si riceve un regalo. Il nipotino ringrazia la nonna che gli regala i 50€ a Natale.
Lo stipendio non è un regalo. E’ un investimento che le aziende fanno sui lavoratori, ricevendo indietro guadagni molto superiori a ciò che hanno riconosciuto loro.
Quando siamo consapevoli di aver lavorato con impegno e fatto il nostro dovere fino in fondo, sappiamo cosa pensare di chi vuol farci credere che gli emolumenti siano un gentile omaggio per il quale dobbiamo essere grati: ci sta insultando!

Nel caso le Aziende ritenessero di avere a che fare con singoli soggetti negligenti e dallo scarso rendimento – legato non alla carenza di risultati ma alla mancanza di impegno – avrebbero tutte i mezzi per agire, arrivando nei casi più gravi a sanzionare gli interessati.
Proprio per questo l’insulto generalizzato rivolto a tutti, anche a coloro che davvero ce la mettono tutta ogni giorno – e sono la grande maggioranza – diventa una dimostrazione di inadeguatezza dei capi.

 

La retribuzione adeguata: cosa dicono le normative

Esaminiamo in modo più approfondito la questione. E’ giusto affermare che per meritarsi lo stipendio si debbano necessariamente raggiungere degli obiettivi commerciali?
A questa domanda risponde in maniera chiarissima l’Art. 36 della Costituzione:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Quindi il lavoratore dipendente deve essere pagato in relazione al lavoro che svolge, ma non ha obbligo di risultato (la norma non fa alcun riferimento, ad esempio, al numero di polizze vendute…).

Tradotto in termini pratici: un cassiere che in un giorno si sciroppa un numero notevole di operazioni di sportello, senza trovare il tempo per proporre prodotti, può affermare a pieno diritto di essersi guadagnato del tutto lo stipendio, pur non avendo effettuato vendite. Tra l’altro, come abbiamo visto durante il Covid, la sua operatività ordinaria frutta comunque guadagni importanti all’Azienda.

Da notare come la Costituzione sancisca un principio che dovrebbe essere scontato, ma che non lo è affatto: chi lavora deve guadagnare quanto basta per vivere e mantenere la famiglia. E’ un concetto che, soprattutto in settori diversi da quello bancario, sembra non essere così chiaro, viste le retribuzioni misere delle quali in tanti sono costretti ad accontentarsi.

Come si fa a stabilire qual è la retribuzione adeguata? Di norma viene determinata dalla contrattazione tra le parti. Nel nostro, come in tanti altri settori, sono i rappresentanti di Aziende e Lavoratori ad incontrarsi per trovare un punto di equilibrio.
Le retribuzioni di bancari, esattori e dipendenti della Banca d’Italia sono fissate da tabelle allegate ai relativi CCNL e non dipendono in alcun modo dagli obiettivi commerciali. Eventuali premi legati ai budget sono quindi da considerare come qualcosa in più, ma nessuno rischia di venir pagato di meno se non raggiunge obiettivi sempre più sfidanti (cioè, tradotto in linguaggio comprensibile, irraggiungibili).

Una piccola riflessione, in tal senso, va fatta in merito all’importanza delle Organizzazioni Sindacali: proviamo ad immaginare quanto sarebbero sproporzionati i rapporti di forza se ognuno di noi dovesse contrattare singolarmente la propria retribuzione. E’ bene ricordarsene ogni qualvolta ci viene detto che i Sindacati sono un qualcosa di vecchio e che ormai non dovrebbero più esistere.

 

Come faccio a sapere se mi pagano in modo adeguato?

La questione è estremamente controversa, ed è un problema al quale si cerca di trovare una soluzione ormai da tanto tempo.

Nella seconda metà dell’800 un filosofo ed economista tedesco fu autore di una pubblicazione che ebbe un discreto successo (*), in gran parte basata sul problematico rapporto tra lavoratori dipendenti e datori di lavoro.

La tesi dell’autore dell’opera era questa.
Chi lavora produce ricchezza, e per questo viene pagato dall’imprenditore; però la quantità di ricchezza prodotta attraverso il lavoro è maggiore di quella per la quale il lavoratore viene pagato. In alcuni casi è molto maggiore. Tutto il surplus di ricchezza viene di fatto prodotto dai dipendenti senza ricevere nulla in cambio: l’autore chiamò questa differenza sfruttamento.

Le trattative sindacali sono essenzialmente questo: la ricerca di un punto di equilibrio tra il desiderio – assolutamente legittimo – della Aziende, che puntano ad un guadagno giustificato dal capitale impiegato e messo a rischio, e i dipendenti che vogliono ricevere il legittimo riconoscimento, considerando che senza di loro quel guadagno non esisterebbe.

Proviamo a parlare con un collega prossimo al pensionamento: ci racconterà di aver vissuto un periodo nel quale il lavoro di banca era uno status symbol, nel quale le retribuzioni erano molto più alte della media e i bancari erano invidiati e ammirati. Col passare degli anni gli stipendi hanno perso molto del loro potere d’acquisto; nel frattempo i bilanci delle banche hanno fatto registrare utili anche molto significativi, con benefici che sono andati in gran parte agli Azionisti. Si può legittimamente affermare che l’equlibrio si è progressivamente spostato dai Lavoratori – ai quali le Aziende chiedono sempre di più e riconoscono sempre meno – alla proprietà.
Questo è il motivo per cui, in occasione dell’ultimo rinnovo del CCNL, l’obiettivo primario su cui puntavano i Sindacati era il recupero del potere d’acquisto: aver portato a casa un aumento medio di € 190 è un risultato significativo, da considerare solo un primo passo nella giusta direzione. Il fatto stesso che l’ABI abbia concesso l’aumento rappresenta un’implicita ammissione di quanto ci sia stato tolto in questi anni.

 

Ricapitolando 

Ora siamo in grado di rispondere con cognizione di causa a chi vuole farci credere che lo stipendio sia una specie di elemosina per la quale dobbiamo ringraziare.

Chi dice questo ci sta insultando, perché disconosce del tutto il valore nostro lavoro.
Dice una balla, perché i numeri dimostrano che chi lavora con impegno e serietà lo stipendio se lo guadagna ampiamente, anche quando non riesce a raggiungere obiettivi commerciali sempre più “sfidanti”.
Ma soprattutto capovolge una realtà nella quale, peraltro non solo nel nostro settore, la tendenza dell’economia è quella di ridurre il reddito ai lavoratori (anche scaricando interamente su di loro il costo di crisi generate da cattive gestioni) ed incrementare il loro sfruttamento da parte delle Aziende.

 

(*) P.S. Dimenticavo. Il Filosofo ed Economista tedesco si chiama Karl Marx e la pubblicazione di discreto successo è “Il Capitale”.

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