Contrordine: l’open space riduce produttività e relazioni tra colleghi


Il rumore del telefono che vibra sulla scrivania, ininterrottamente. La musica che esce dalle cuffiette perché il volume è così alto da sembrare filodiffusione. E tutte quelle merendine, caramelle, vaschette, lattine aperte e chiuse e aperte e chiuse. Disturbanti. Soprattutto quando servirebbe la giusta concentrazione. Tipo dalle 9 alle 11 del lunedì. Peccato che l’ambiente di lavoro sia un open space. E in quelle due ore il ronzio di sottofondo trasforma l’ufficio nel bazar di Marrakesh. Normale quindi che la prima reazione sia una corsa verso la propria postazione. Al sicuro. Magari con il cellulare in vibrazione, cuffie per la musica, cracker. Tutto a discapito delle relazioni con i colleghi che affollano lo stesso posto. A dirlo, in modo più scientifico, ci ha pensato la Harvard Business School: l’open space ci spinge a conversare molto di meno (-73%) e a scriversi più messaggi ed e-mail (+67%).

Risultati ben lontani dalle aspettative iniziali, quindi. L’open space avrebbe dovuto favorire la collaborazione e la condivisione fra colleghi, ma nella vita da colletto bianco della società dei servizi risulta un moltiplicatore di stress. Come quello acustico. Tipo il collega che chiama tre volte lo stesso cliente per farsi grasse risate. Secondo uno studio del 2016 della Cornell University, il livello sonoro degli open space riduce la produttività del 66%.
Per non parlare della facilità di distrazione, con le pause caffè al fondo della lista. Prima ci sono le chiacchiere in corridoio, in bagno, al boccione dell’acqua. Il tutto per una perdita delle aziende che Basex ha stimato in 588 miliardi di dollari nei soli Stati Uniti. Una somma comprensiva dei soldi spesi in errori da scarsa attenzione appena si torna alla propria postazione.

In generale, quindi, l’open space sembra un cattivo investimento per far rendere al massimo i dipendenti. Tanto più se, come sostiene uno studio della Oxford Economics, commissionata da Plantronics, accade spesso che sia proprio il rumore degli open space a spingere le persone a fare una pausa: per il 75% una passeggiata all’aria aperta è d’aiuto per ritrovare la concentrazione, mentre il 32% utilizza cuffie e supporti audio per concentrarsi. Tra i 500 dirigenti intervistati dalla ricerca, solo il 40% è capace di comprendere la stretta correlazione tra rumore, distrazione del dipendente e scarsa produttività. C’è molta strada da fare.

Le alternative al classico open space in cui lo spazio è diviso a isolotti di tre-quattro persone con la stampante in comune (un must, insieme al server aziendale) non mancano e spingono sulla flessibilità (niente postazioni fisse, orari variabili, smart working, ecc) e la modularità dei luoghi (la sala mensa, la macchinetta del caffè, la saletta per gli incontri, le “cabine” per telefonare, ecc) in cui ci sia la possibilità di ricavarsi un pezzo di privacy.

 

Fonte: www.morningfuture.com (blog di The Adecco Group)

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