Banca d’Italia: un diamante non è per sempre.


A proposito di “Report” e della vigilanza


 

Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore

B. Brecht

 

Moltissimi colleghi avranno visto o sentito parlare della puntata di “Report” del 13 dicembre u.s., in cui il programma è tornato sulla nota vicenda della vendita dei diamanti da parte di alcune delle principali banche italiane, episodio ormai da tempo in mano alla magistratura oltre che dei media.

Non abbiamo ovviamente nessun elemento, oltre a quanto uscito sui media, per poter esprimere un’opinione nello specifico né vogliamo certo sostituirci alle istituzioni pubbliche impegnate a fare luce. Tuttavia riteniamo opportuno fare alcuni commenti sul quadro complessivo che emerge dalla vicenda.

Per decenni hanno prevalso la deregolamentazione e la vigilanza “market friendly”, politiche che si sono rivelate catastrofiche nella crisi del 2008. È emerso che gli interessi del profitto non producono effetti positivi per la collettività, a meno che lo Stato non sia in grado di garantirlo. Purtroppo, negli ultimi decenni lo Stato ha garantito tutt’altro: concentrazione della ricchezza da una parte, aumento della povertà dall’altra, ristagno delle retribuzioni per la gran parte dei lavoratori, smantellamento dei servizi pubblici, tutte cose pagate a carissimo prezzo durante la pandemia. Questa impostazione generale della politica e del ruolo delle istituzioni pubbliche va dunque cambiato profondamente, altrimenti si riuscirà a incidere solo sui dettagli delle cose.

Nel campo finanziario, dopo il 2008 si è tornati a regole più incisive ma quella dei diamanti, come molte altre vicende, dimostrano che queste regole evidentemente non bastano. C’è un aspetto che colpisce particolarmente: il tema del gigantismo bancario. Le banche “too big to fail” sono state un elemento decisivo della crisi finanziaria ma in questi anni, se mai, la situazione è fortemente peggiorata, dato che le banche sono molto più grandi di 10 anni fa e, nel caso italiano, siamo di fronte a nuove ondate di fusioni e acquisizioni che aumenteranno fortemente la concentrazione del settore. Oltre ad altri problemi noti da tempo, le banche giganti provocano una profonda distorsione del tessuto democratico di un Paese. Quando una banca misura i suoi attivi in trilioni, solo un ingenuo può credere che sarà chiamata a rispettare le regole come tutte le altre. Nel calcio professionistico si parla di “sudditanza” degli arbitri nei confronti delle grandi squadre. La sudditanza delle istituzioni pubbliche nei confronti dei colossi finanziari è purtroppo un fenomeno sin troppo evidente. A chiunque abbia esperienza di vigilanza, guardando la puntata di “Report”, sarà passato per la mente che se quei comportamenti fossero stati messi in atto da una piccola BCC, si sarebbero rapidamente presi i provvedimenti necessari per farli cessare.

Va da sé che quando si parla di banche giganti occorre valutare il riflesso generale delle azioni di vigilanza, ma rimane il problema che emerge in questa come in molte vicende precedenti: la vigilanza appare forte con i deboli e molto meno forte, non vogliamo dire debole, con i forti e potenti. Questo è un retaggio della stagione della vigilanza “market friendly” che occorrerebbe davvero abbandonare. Le grandi banche vanno semmai richiamate a comportamenti ancora più rigorosi nei confronti della clientela, pena il venir meno del senso stesso dell’azione pubblica nel credito come in ogni altro aspetto della vita economica. È importante che i vertici dell’Istituto e della vigilanza riflettano, al di là delle specificità della vicenda, sulla forma mentis con cui guardiamo al sistema bancario. Fu detto autorevolmente che la Banca non ha mai creduto alla vigilanza dal tocco leggero, ed è un nostro grande merito, ma è appunto opportuno riflettere su come questo tocco viene regolato in base ai nostri interlocutori.

Un altro aspetto che emerge in modo eclatante dalla vicenda è che nonostante regole su regole, richiami su richiami, sul tema delle pressioni commerciali nelle banche ancora non ci siamo. In questo caso, in maniera comica oltre che tragica, le reti di vendita venivano premiate per aver venduto diamanti, con diamanti! Anche in questo caso è necessaria una riflessione generale sul tema dei profitti. L’attività bancaria deve ovviamente svolgersi in condizioni di economicità, ma la ricerca spasmodica del profitto e dei dividendi è disastrosa per i comportamenti degli operatori. Pensiamo alla vicenda della non distribuzione dei dividendi da parte delle banche durante le prime fasi della pandemia da Covid-19, una misura che era davvero il minimo della decenza di fronte ai trilioni che governi e banche centrali stavano mettendo in campo per tamponare il tracollo economico. Eppure, persino in quell’occasione, la misura fu accolta malissimo e uscirono articoli sui giornali che facevano sembrare che poco ci mancasse che i dirigenti delle banche sarebbero stati fucilati. Davvero è opportuno un cambio profondo di paradigma. I profitti devono essere un mezzo dell’attività bancaria, non il suo scopo ultimo, altrimenti i mutui subprime, la vendita di diamanti e i mille altri scandali finanziari continueranno ad accumularsi e la vigilanza continuerà a rincorrere un mercato che va sempre più veloce.

Infine, c’è un tema che riguarda i rapporti tra i colleghi e il vincolo gerarchico. La Banca, come qualunque istituzione che adempie una funzione pubblica, si basa sul principio della responsabilità gerarchica delle proprie azioni e sull’accountability delle proprie decisioni. Tuttavia, la cieca obbedienza non ha sempre servito bene l’Istituto. Basti ricordare la nota vicenda Popolare di Lodi/governatore Fazio/vigilanza, in cui le strutture della vigilanza si opposero alle scelte del governatore salvando l’Istituto da una deriva pericolosissima. La Banca ha bisogno di pesi e contrappesi al suo impianto gerarchico, mentre le scelte organizzative e gestionali vanno in direzione opposta. Ne citiamo due per tutte. La prima è quella di far seccare la rete delle filiali come rami secchi di un albero pronto per la potatura. L’Italia è un Paese estremamente diversificato nel tessuto produttivo e sociale, e in molti altri aspetti. Con la progressiva morte delle terminazioni nervose che legavano la Banca al territorio, tutto si concentra nell’Amministrazione Centrale, che riflette necessariamente un solo punto di vista, che è fortemente influenzato dalla capitale intesa come luogo del potere per eccellenza. L’unicità del punto di vista è poi esaltata dalla riforma delle carriere dei direttivi che, aumentando la discrezionalità ed emarginando gli scatti automatici, mette il futuro di carriera e retributivo del collega in mano ai suoi capi. Questo certo non aiuta la costruzione di pensiero critico ma piuttosto il conformismo. Ovviamente, colleghi con la schiena dritta e colleghi più propensi a smussare gli angoli ci sono sempre stati e ci saranno ancora, ma la riforma non aiuta i primi.

Per concludere, è probabile che a seguito della trasmissione si produca un profluvio di critiche all’operato della Banca come in occasione di altri episodi analoghi. Sarebbe facile alzare le spalle osservando il pressapochismo con cui sui media vengono trattate queste vicende, con accuse al limite del calunnioso e spesso poca sostanza, ma sarebbe altrettanto superficiale concentrarsi sul dito e non guardare la Luna. La funzione della vigilanza bancaria in Italia ha sempre costituito un elemento di forza dell’Istituto e dell’azione pubblica in genere perché, in fondo, non è mai caduta preda del pensiero unico della “disciplina di mercato”; si può fare ancora meglio nell’epoca in cui certe illusioni stanno venendo meno.

 

Roma, 15 dicembre 2021

 

La Segreteria Nazionale

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