Un Governo miope di fronte alla disoccupazione strutturale


Se ci chiediamo perché la produzione del 2023 è molto più alta di quella realizzata nel 1923 possiamo con facilità rispondere sostenendo che oggi noi possiamo produrre molto di più, perché abbiamo a nostra disposizione più capitale reale, più persone, più fonti di energia e, soprattutto, una tecnologia avanzata ed una divisione del lavoro settoriale ed internazionale evoluta. Negli ultimi cento anni, non vi è stato solo un accrescimento quantitativo dei fattori di produzione, ma principalmente un miglioramento qualitativo. Non vi è dubbio che oggi abbiamo a nostra disposizione beni capitali molto sofisticati, perché il progresso tecnologico si è in parte concretizzato nella creazione di nuove specie di beni, sia di consumo, che di produzione (pensiamo, ad esempio, ai robot ed alle intelligenze artificiali).

Ora la capacità produttiva di un paese dipende in generale dalla quantità e dalla qualità dei fattori di produzione, dal grado di divisione del lavoro, dal livello della conoscenza tecnologica e della sua applicazione. La quantità di lavoro disponibile è influenzata dalla crescita della popolazione ed esso rappresenta un fattore di offerta nella misura in cui concorre a determinare la capacità produttiva.  Purtroppo, nel processo di crescita non conta solo la quantità, ma anche la qualità del lavoro; questo significa che l’evoluzione della istruzione e della formazione professionale può essere considerata, dal punto di vista economico, come un grande investimento in capitale umano, e questa è la politica da seguire per costituire uno dei metodi più efficaci per assicurare la crescita del reddito nazionale nel lungo periodo. E’ evidente che il progresso tecnico si riferisce alle modificazioni che hanno luogo nell’utilizzazione dei fattori di produzione (ossia il lavoro ed il capitale) che permettono di ottenere una maggiore produzione oraria per addetto; occorre, però, aggiungere che il progresso tecnico genera miglioramenti qualitativi oltre che quantitativi, come risulta evidente se consideriamo il grande numero di prodotti nuovi che sono stati creati.

Ora, quanto abbiamo appena messo in chiaro, ci consente di giungere ad una definizione più ampia di progresso tecnico intendendo per esso tutte le innovazioni che portano ad una modificazione dei modi e dei tempi di produzione. Da qui deriva la necessità di esaminare con particolare attenzione i rapporti che intercorrono tra il progresso tecnico e il livello di occupazione. Ricordiamo con interesse che nel quadro teorico sviluppato da Carlo Marx il progresso tecnico avrebbe prodotto una elevata disoccupazione, ossia la progressiva sostituzione di capitale (più produttivo grazie allo sviluppo tecnologico) al lavoro e avrebbe, secondo Marx, provocato il licenziamento di un numero sempre maggiore di lavoratori. A questo proposito, anche per comprendere meglio quanto accade oggi intorno a noi, bisogna imparare a saper distinguere tra questo tipo di disoccupazione (quella attuale che a noi interessa) e la disoccupazione ciclica, per capirci quella di cui amava parlare l’economista John Maynard Keynes. Ora, nel caso della disoccupazione ciclica l’insufficienza della domanda aggregata provoca sicuramente la sotto occupazione dei fattori produttivi (lavoro e capitale), ma, nel caso che si verifica nei nostri giorni con la presenza di un capitale tecnologicamente avanzato, la disoccupazione è causata dal licenziamento della manodopera dovuto proprio al progresso tecnico (si tratta, in termini economici, di una modificazione che ha luogo dal lato dell’offerta e che produce disoccupazione). Questa disoccupazione, che possiamo chiamare tecnologica, è un caso particolare di disoccupazione strutturale, che si manifesta violentemente nel nostro paese. La previsione di Marx secondo la quale il capitalismo, sotto la influenza del progresso tecnico, avrebbe comportato una diffusa disoccupazione non si era completamente realizzata nei secoli passati, in quanto il progresso tecnico, pur realizzando la riduzione della manodopera (e in altri casi la riduzione del capitale), con la produzione di nuovi beni capitali era riuscito, in una economia non globalizzata, ad assorbire una maggiore domanda di lavoro nel processo produttivo.  Ma oggi esplodono nuovi problemi (occupazionali) che derivano dalla riconversione e dalla presenza di una disoccupazione strutturale, in particolare in alcune regioni del mondo (come nel Mezzogiorno di Italia).

Comprendiamo che spesso fare una distinzione tra gli aspetti congiunturali e quelli strutturali non è facile, infatti non sempre è possibile tracciare un confine effettivo ma un buon Governo, per essere tale, dovrebbe prendere piena consapevolezza di questa sventura sociale che ha colpito il nostro paese, per prendere gli opportuni provvedimenti. In sostanza, in politica economica è necessario saper riconoscere gli aspetti congiunturali e strutturali per attuare i provvedimenti più efficaci. Un buon Governo, ripetiamo,  deve distinguere il tipo di disoccupazione con cui abbiamo a che fare oggi e non parlare di disoccupazione keynesiana che, ribadiamo, ha origine da una insufficienza della domanda aggregata.  Per dirla tecnicamente:  nel caso di cui noi ci dobbiamo interessare, l’accumulazione non è un evento capace di occupare tutti i lavoratori, perché tutto ciò che avviene non è causato da una domanda fluttuante, ma, deriva da un disequilibrio dal lato dell’offerta, con una disoccupazione che non è di tipo congiunturale, ma di tipo strutturale. Questo significa che in generale l’adozione di una politica del lavoro capace di attenuare le ripercussioni negative del progresso tecnico sull’occupazione richiede una visione di lungo periodo, particolarmente attenta alla evoluzione strutturale del sistema economico e la creazione di capitale associata all’industrializzazione attraverso le partecipazioni statali (aziende di Stato). E’ questa la giusta soluzione per ristabilire l’equilibrio sul mercato del lavoro e per assorbire le grandi quantità di lavoro inoccupato presenti nel paese. Siamo convinti che il male della disoccupazione congiunturale possa essere curato con vecchie ricette, come quelle che prevedevano un aumento della spesa pubblica con esecuzione di lavori pubblici (spesso improduttivi) da parte dell’amministrazione pubblica, per rimettere in circuito fattori di produzione stagnanti ma, nello stesso tempo siamo consapevoli che per affrontare il problema della disoccupazione strutturale occorre richiedere  una politica più orientata, che non miri tanto all’aumento delle spese ma, piuttosto alla eliminazione delle strozzature del sistema produttivo attraverso una politica selettiva di reindustrializzazione con aziende pubbliche.

In conclusione, non possiamo esimerci dal far presente che l’andamento della produzione nazionale, ossia l’aumento del PIL, non si riflette necessariamente in un aumento o in una diminuzione del benessere degli individui; noi siamo convinti che il benessere dipenda dal livello di soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi. Per esprimerci in maniera più chiara utilizziamo un banale esempio: se prendiamo in esame la scelta sempre più diffusa di aumentare la produzione lavorando il sabato e la domenica, in questo caso possiamo sostenere che l’incremento produttivo così realizzato costituisce solo un incremento nella produzione economica ma, per la nostra valutazione, avremo una crescita inferiore rispetto alla scelta di avere due giorni di vacanza in più, in quanto per noi il lavorare il sabato e la domenica riduce il benessere dei lavoratori e, quindi, della collettività. Questo per dire che, anche se in generale la produzione nazionale pro-capite è assunta come unico criterio per misurare la crescita, non bisogna attribuire a questo criterio un valore assoluto. A maggiore conferma, si considerino le ripercussioni negative sull’ambiente derivante dall’incremento delle produzioni; nell’ottica del benessere è infatti necessario esaminare anche le diseconomie esterne connesse all’incremento della produzione, come l’inquinamento dei fiumi, dovuto agli scarichi industriali, l’inquinamento atmosferico, il rumore e  la distruzione della natura in genere.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti 

 

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