Un barista sfruttato risponde a Borghese: “Per vivere servono i soldi”


In questi giorni, dopo le dichiarazioni di Alessandro Borghese (“lavorare per imparare non significa essere pagati”) e Flavio Briatore (“i giovani preferiscono il weekend libero al lavoro”),  Emanuele Caprarelli, 32enne di Scampia, ha sentito l’esigenza di scriverci a Napoli Today al fine di raccontare la propria esperienza lavorativa come barista sottopagato e sfruttato.

“Sono Emanuele, un ragazzo di 32 anni, nato e cresciuto a Scampia. Ho perso mio padre poco dopo aver compiuto 18 anni, ma avevo una passione: quella del caffè, che poi a Napoli è una vera e propria cultura.

Pur di non delinquere, visto il quartiere problematico e viste le tante responsabilità che mi hanno praticamente rubato l’adolescenza, ho deciso di voler imparare il mestiere di barista. Lavoravo in un bar di Napoli, iniziavo alle 6.30 e se tutto andava bene finivo alle 17.00. Durante il periodo estivo iniziavo alle 6.00 e se tutto andava bene finivo alle 23.00; dovevamo alternarci per l’unica settimana di ferie concessa durante l’anno.

Ho iniziato guadagnando 120 euro a settimana, che moltiplicati per 4 settimane totalizzano 480 euro. Vivevo con mia mamma ma senza mio padre. Con i miei soldi riuscivamo a fare ben poco, una piccola pensione di reversibilità e la fortuna di una casa popolare aiutavano a poterci permettere un piatto di pasta al giorno.

Dopo quasi 8 anni, la mia paga è salita a 180 euro a settimana che moltiplicati per 4 totalizzavano 730 euro al mese. Nessun contratto, se mi ammalavo era un mio problema, le ferie erano solo 7 giorni in estate, contributi mai versati, forse solo 2 anni.

Dopo 8 anni di sangue versato per imparare, di psicologia applicata per relazionarti al pubblico, di pianti fatti di nascosto perché ero stanco ma non potevo mollare, ero arrivato a guadagnare 200 euro in più rispetto all’inizio senza nessun riconoscimento, nemmeno morale, anzi dovevo ringraziare del lavoro, se così lo vogliamo chiamare, che mi era stato concesso.

Sai cosa è successo poi? È successo che avevo un sogno, quello di aprire un bar tutto mio e ci ho provato in tutti i modi, Dio solo sa quanto volte ci ho provato, quante notti non ho dormito per i progetti, i disegni, l’arredamento.

Nel frattempo studiavo; sai, vista la disgrazia che mi ha colpito non ho avuto tempo, ma stavo recuperando e quindi finivo di lavorare, andavo a casa, mi facevo una doccia e poi andavo a scuola fino alle 22.30. Dopo tornavo a casa, mangiavo, dormivo 6 ore e poi di nuovo il giorno dopo: dalle 6.00 alle 17.00 a lavoro, dalle 18.00 alle 22.30 a scuola, così per 4 anni.

Morale della favola, dopo 12 anni, ho preso il mio bel sogno e l’ho chiuso in un cassetto, mi sono diplomato ho lasciato Napoli e ora sono un tecnico che lavora sulla fibra ottica a Bologna e tutte le volte che entro in un bar a prendere un caffè provo odio e tanto rancore verso chi mi ha spezzato il cuore non permettendomi di inseguire il mio sogno, solo mio.

Vedi caro chef (Borghese)  per poter vivere occorrono i soldi, eh sì, occorrono proprio i soldi. Occorrono soldi quando devi mangiare, perché nessuno ti regala nulla e in virtù di questo nessun giovane deve regalare il suo tempo, perché non gli tornerà mai più indietro.

Ti do un consiglio, sfrutta la tua popolarità insieme al tuo sapere per ottenere altri tipi di obiettivi.

 

Fonte: Napoli Today

 

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