Tassa sugli extraprofitti, alle banche la scelta se pagarla oppure no


La retromarcia del governo. L’escamotage: gli istituti potranno versare oppure stanziare una riserva nel proprio patrimonio


Un accordo nella maggioranza “svuota” la tassa sugli extraprofitti delle banche. Grazie un emendamento al decreto Asset che dovrebbe essere depositato nelle prossime ore, gli istituti di credito potranno scegliere se pagare al Fisco un’aliquota del 40% sulla differenza tra il margine di interesse realizzato nel bilancio 2023 (ancora da chiudere) rispetto al 2021, oppure se accantonare a bilancio due volte e mezza l’importo della tassa in una riserva che andrà a rafforzare il loro patrimonio.

Nessuno, nemmeno il governo, indica quale sarà la variazione dell’incasso per l’Erario, ma secondo alcuni sarà assai lontano dai 3,2 miliardi ipotizzati dalla vecchia norma.
L’8 agosto la tassa aveva fatto rumoreggiare i giornali (debitori delle banche). I titoli parlavano di “stangata” (copyright del Messaggero) o “autogol del governo” (Corriere della Sera). Si teorizzava la possibile fuga dai titoli di Stato italiani e altre catastrofi. Ma Meloni sembrava inflessibile: nell’appuntamento social “Gli appunti di Giorgia”, il 9 agosto la premier aveva attaccato il sistema bancario: “Stiamo registrando utili record. Abbiamo deciso di intervenire introducendo una tassazione del 40% sulla differenza ingiusta del margine di interesse. Le risorse che arriveranno andranno a finanziare misure a sostegno di famiglie e imprese in difficoltà per l’alto costo del denaro”. Poi Forza Italia aveva sollevato molti distinguo ed erano piovute critiche da Associazione bancaria (Abi) e Bce. Le azioni delle banche, dopo un primo tonfo, avevano però recuperato, segno che nemmeno la Borsa credeva in una mazzata.

Ora, in base alle ipotesi contenute nell’emendamento, proprio Corriere e Messaggero annunciano la retromarcia. L’aliquota resta al 40% ma solo sulla quota del margine di interessi 2023 che supererà di almeno il 10% quello del 2021. Il margine 2022 viene tolto dal conto. Da questo punto di vista, in apparenza, tutto bene: la tassa sarà pagata sulla base di quanto le banche hanno guadagnato in più rispetto a due anni fa. Dalla base di calcolo saranno esclusi i titoli di Stato, ma l’aliquota sarà alzata sulle altre voci di bilancio (i prestiti ai privati) per tenere invariata la base imponibile. Ma qui arriva l’escamotage: la tassa non è obbligatoria, le banche potranno pagarla o accantonarla a riserva. Sarà dovuta solo se la riserva in seguito dovesse essere distribuita agli azionisti. Ci sono poi altre possibilità: una banca potrebbe scegliere di dirottare a riserva per la tassa per gli extraprofitti parte dei fondi già stanziati in passato per altre voci, ad esempio gli utili non distribuiti, ammortizzando così il colpo. L’unico divieto è di trasferire la tassa sui costi per i clienti: vigilerà l’Antitrust. Il governo vuole usare i proventi per rifinanziare gli aiuti ai mutui prima casa, il taglio della pressione fiscale e il fondo di garanzia del Mediocredito Centrale sui prestiti alle Pmi.

L’emendamento favorirebbe soprattutto le banche medio-piccole, Popolari e istituti di credito cooperativo, e quelle come Mediolanum che fanno pochi prestiti ai privati, più colpite dalla versione precedente. Ora gli istituti hanno tre mesi per decidere se pagare o rafforzare i bilanci. Le riserve non mancano: a fine giugno, ad esempio, Banca Mediolanum (cara alla famiglia Berlusconi che ne possiede il 30%) ne aveva per 2 miliardi, UniCredit per 38,35. Valori in crescita grazie al boom del margine di interesse, la forbice che i rialzi del costo del denaro decisi dalla Bce hanno allargato tra gli incassi sui prestiti e i tassi, quasi nulli, pagati ai clienti. Mediolanum a fine 2022 aveva un margine d’interesse di 407 milioni (+50% sul 2021), UniCredit di 10,7 miliardi (9 l’anno prima). L’anno scorso le prime cinque banche italiane hanno incassato margini di interesse per 45,52 miliardi (+18,5%), a metà di quest’anno già per 40. Secondo il sindacato di settore Fabi, nel 2022, le banche italiane hanno realizzato utili per 25,4 miliardi (+55% sul 2021), quest’anno potrebbero salire a 32.

A frenare la decisione di versare a riserva la somma prevista dalla tassa sugli extraprofitti c’è solo la questione del pagamento dei dividendi. La banca meno impattata di tutte dalla tassa, UniCredit, pochi giorni fa aveva annunciato che quest’anno distribuirà agli azionisti “almeno 6,5 miliardi” su 7,25 di utili attesi. Ma altre potrebbero dover rivedere i loro piani. In ogni caso, del vessillo “tassa sugli extraprofitti” a Meloni restano da sventolare solo gli stracci.

 

Articolo di Nicola Borzi su Il Fatto Quotidiano del 24/9/2023

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