Sei un lavoratore somministrato? Allora devi conoscere questa norma


Sempre più spesso le aziende – anche nel settore bancario – ricorrono al lavoro precario per tamponare esigenze d’organico, non necessariamente temporanee.

In linea teorica il lavoro precario dovrebbe rappresentare un’eccezione, e comunque una transizione che consenta un successivo passaggio a forme di lavoro più stabili. In questo senso è importante conoscere il Decreto Legislativo 27 giugno 2022 n. 104, emanato in attuazione della direttiva (UE) 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea.

Quello che interessa in modo particolare alle lavoratrici ed ai lavoratori somministrati è l’articolo 10, intitolato:
Transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili.

La norma prevede che “il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro di almeno sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile.

La richiesta dev’essere inviata per iscritto. L’azienda deve rispondere entro un mese, fornendo le motivazioni dell’eventuale mancato accoglimento. Passati ulteriori sei mesi, la richiesta può essere reiterata.

Sappiamo che la realtà del mondo del lavoro porta spesso i lavoratori ad evitare di esporsi, nel timore che un loro comportamento non gradito al datore di lavoro, per quanto legittimo, possa in qualche modo compromettere le prospettive di una futura prosecuzione del rapporto. Il Decreto prevede questa resistenza e, all’articolo 14 comma 1, stabilisce che “…sono vietati trattamenti pregiudizievoli del lavoratore conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dal presente decreto…”

Questo articolo fa sì che, in caso di mancato accoglimento della richiesta, un lavoratore somministrato che non si vedesse confermare il contratto a differenza di altri suoi colleghi di lavoro, potrebbe in linea teorica inoltrare ricorso sostenendo che alla base della sua mancata conferma ci sia la richiesta di stabilizzazione inoltrata in attuazione del D.Lgs 104/2022.

Il comma 3 stabilisce infatti che i lavoratori destinatari di licenziamento o di “misure equivalenti” (quindi anche in caso di mancata conferma) “possono fare espressa richiesta al medesimo dei motivi delle misure adottate. Il datore di lavoro o il committente fornisce, per iscritto, tali motivi entro sette giorni dall’istanza.
E qui viene la parte più interessante: incombe sul datore di lavoro o sul committente l’onere di provare che i motivi addotti a fondamento del licenziamento o degli altri provvedimenti equivalenti adottati a carico del lavoratore non siano riconducibili a quelli di cui al comma 1″ (cioè che non rappresentino una ritorsione per aver esercitato i diritti previsti dal decreto)

In parole povere: la norma è stata scritta in modo tale che chiedere di passare ad una forma di lavoro più stabile può diventare una forma di pressione verso l’azienda, che potrebbe trovarsi in difficoltà in caso di mancata conferma del lavoratore al termine del periodo di somministrazione.

Una norma poco conosciuta, ma che può rivelarsi un valido aiuto per tutte le lavoratrici e i lavoratori somministrati.

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