Rapporto Inps, un operaio vive 5 anni meno di un dirigente, dimissioni volontarie in aumento


Un operaio ha un’aspettativa di vita di 5 anni inferiore a quella di un dirigente. A dirlo è il rapporto annuale dell’Inps, presentato mercoledì 13 settembre alla Camera dei deputati. «Un ex-lavoratore dipendente, con un reddito coniugale nella fascia più bassa della distribuzione, ha un’aspettativa di vita a 67 anni, quasi 5 anni inferiore rispetto a quella di un ex-contribuente al Fondo Inpdai», il Fondo previdenziale dei lavoratori dirigenti, o un ex contribuente volo o telefonici, «con reddito nella fascia più alta della distribuzione. Tali differenze tra le donne sono meno pronunciate, ma comunque rilevanti», spiega l’Istituto nel documento.

«La presenza di differenze così significative è problematica dal punto di vista dell’equità e anche della solidarietà in quanto l’attuale sistema previdenziale applica al montante contributivo un tasso di trasformazione indifferenziato, che presuppone speranza di vita indifferenziata», spiega il rapporto. L’aspettativa di vita varia in modo significativo da Nord a Sud: «Un residente in Campania nel primo quinto della distribuzione del reddito ha una speranza di vita di quasi 4 anni inferiore ad una residente in Trentino-Alto Adige con reddito nel quinto più alto».

Dimissioni volontarie in aumento

Nel 2022 l’input complessivo di lavoro, misurato in settimane, è risultato del 4,1% più alto di quello del 2019 mentre il monte dei redditi da lavoro e delle retribuzioni, corrispondente all’imponibile previdenziale, si è avvicinato ai 650 miliardi di euro, con un aumento dell’8% rispetto al 2019. «La temuta grande ondata di licenziamenti post pandemia – ha spiegato la commissaria dell’Inps, Micaela Geleranon si è verificata e la Naspi, così come gli altri ammortizzatori sociali, quali la malattia e la Cassa integrazione guadagni, sono tornati a svolgere un ruolo ordinario di supporto del lavoratore in periodi temporanei di inattività». Gelera segnala l’aumento delle dimissioni volontarie (+26% rispetto al 2019) ma «non è un ritiro dal mercato del lavoro – spiega – bensì un’aumentata mobilità, alla ricerca di migliori condizioni».

Occupazione al 61%

L’occupazione in Italia è al massimo storico, il 61%, evidenzia il rapporto, ma permangono alcune criticità derivanti dall’invecchiamento della popolazione, dal persistente divario territoriale tra Nord e Sud, nonché dalla divaricazione tra lavoro dipendente, in aumento, e lavoro autonomo, in diminuzione. Inoltre, i principali indicatori del mercato del lavoro italiano, seppur migliorati rispetto al passato, rimangono molto al di sotto delle medie dei paesi dell’Unione Europea o di paesi come Francia e Germania.

Pensioni: gli uomini percepiscono il 36% in più delle donne

La spesa per pensioni nel 2022 è stata di 322 miliardi, di questi il 56% è andato agli uomini, che percepiscono assegni del 36% superiori a quelli delle donne, spiega l’Inps. Questo divario è dovuto alle carriere intermittenti delle lavoratrici e alle retribuzioni che per le donne continuano a essere mediamente più basse: 1.932 euro contro 1.416 euro. Nel 2022 le nuove pensioni sono state un milione e mezzo, calo del 3,1%. L’età media di uscita delle donne è superiore a quella degli uomini: 64,7 anni contro 64,2. Nel 2012 era il contrario: 62 anni per gli uomini e 61,3 per le donne.

Gli effetti dell’inflazione su famiglie e pensionati

L’aumento dei prezzi ha inciso sul potere d’acquisto delle famiglie in modo non omogeneo, evidenzia l’Inps, e sulla base dei dati Istat l’inflazione cumulata tra il 2018 e il 2022 sperimentata dalle famiglie del primo quinto della distribuzione della spesa sfiora il 15%, cinque punti percentuali in più dell’inflazione sperimentata dalle famiglie dell’ultimo quinto. Le famiglie più colpite dall’impennata dell’inflazione nel 2022 sono quelle dei pensionati, specialmente quelle appartenenti ai due quinti di spesa più poveri, che perdono tra il 2018 e il 2022 il 10,6% del reddito reale (perdita oltre dieci volte maggiore delle famiglie con solo redditi da lavoro); fortemente colpite risultano anche le famiglie di pensionati dei quinti più ricchi, con una perdita del reddito reale pari al 7,5%.

Fonte: Corriere.it

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