Ma alla fine, che cos’è questo MES?


In questi giorni è sicuramente l’argomento più caldo sulla scena politica. Lo scorso 7 dicembre c’è stata l’iniziativa della Lega che ha raccolto le firme contro il MES: un mostro di cui tutti parlano, ma del quale nessuno sa dire davvero cosa sia.

Secondo Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) è un meccanismo che serve a salvare le banche tedesche a spese dei cittadini italiani.
Matteo Salvini lo definisce un fondo privato che mette nelle mani di sette burocrati europei, due tedeschi, due francesi, un olandese, un belga e un irlandese il destino dei paesi dell’Eurozona.
Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista lo definiscono un pericolo per i risparmi dei nostri connazionali.

In tanti cavalcano la paura, presentando il MES come un meccanismo da burocrati che peggiorerà le nostre vite e limiterà la nostra libertà.
Ma cosa c’è di vero in tutto questo?

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o ESM se riferito al nome in inglese) è un’organizzazione intergovernativa dei paesi dell’Area Euro, nata per aiutare i paesi che si trovano in difficoltà economica.
E’ un’istituzione basata sulla solidarietà: tutti si tassano in proporzione alle loro possibilità per evitare che gli stati più deboli diventino insolventi. Ma è anche un sistema indispensabile per difendere l’euro, visto che il fallimento di un Paese può avere ripercussioni da tutti gli altri.

Il MES, nella sua formulazione attuale, esiste dal 2012. Cioè da sette anni.
E questa forse è una notizia che risulterà sorprendente per molti. E tanto per rinfrescare la memoria, la sua istituzione fu negoziata durante il governo Berlusconi-Lega ed entrò in vigore durante il Governo Monti sostenuto, tra gli altri, dalla Meloni.

L’attuale dotazione del MES è di circa 80 miliardi. A costituirla sono stati tutti i Paesi dell’Eurozona in proporzione al loro peso economico. Questo fa sì che la Germania sia il primo contributore, sfiorando il 27% del capitale, oltre ad essere lo Stato che ha le minori probabilità di usufruire degli aiuti.
Il MES può emettere titoli garantiti dagli Stati dell’Eurozona, arrivando a raccogliere liquidità fino a 700 miliardi di euro, da utilizzare per effettuare prestiti alle nazioni che ne facciano richiesta.

Per le regole attuali, cioè quelle in vigore dal 2012 delle quali finora nessuno sembrava essersi accorto, gli Stati che chiedono l’aiuto del MES devono sottostare ai controlli di un comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale (la cosidetta Troika) e mettere in campo una serie di riforme imposte dal comitato.
Il piano di riforme prevede di solito misure molto impopolari come tagli alla spesa pubblica, – in particolare alle pensioni – privatizzazioni, liberalizzazioni e maggiore flessibilità delle leggi sul lavoro, puntando al risanamento dei conti.
La logica è: “Se mi chiedo dei soldi io te li presto, ma siccome voglio essere sicuro di riaverli indietro devi fare tutto quello che dico io”.
Può essere un criterio più o meno discutibile, ma sono regole che esistono da 7 anni e sono state già applicate in occasione degli aiuti a Cipro, Portogallo, Irlanda e Grecia (la nazione che ne è uscita più pesantemente segnata).

Dalla sua creazione il MES ha ricevuto grossi apprezzamenti, essendosi rivelato uno strumento adatto ad affrontare le crisi, vista la sua capacità di prestare denaro a Stati che altrimenti non avrebbero potuto ottenere prestiti.
Ma le critiche non sono mancate.
C’è chi accusa il fondo di pretendere sacrifici troppi pesanti in cambio degli aiuti, deprimendo così le economie degli Stati che dovrebbe sostenere. Ma c’è anche l’accusa opposta, cioè di sostenere chi non lo merita, concedendo denaro con troppa facilità ed incoraggiando così Stati meno seri a spendere oltre i propri mezzi. Come si può facilmente intuire, la prima critica arriva dalle Nazioni più a rischio, la seconda arriva da quelle più solide, che sono anche quelle che contribuiscono in modo più consistente.

 

Cosa prevede la riforma

A questo punto dovrebbe essere chiara l’esistenza di due diverse correnti che chiedono riforme del MES: da una parte quella dei Paesi più indebitati che vogliono alleggerire il peso degli adempimenti richiesti a chi si avvale degli aiuti, dall’altra quella dei Paesi ricchi del Nord Europa, che chiedono un inasprimento.
La riforma, discussa a partire dal 2018, cerca di conciliare entrambe le richieste.

La richiesta dei Paesi meno solidi, finalizzata a consentire la concessione di prestiti agli stati che ne avessero bisogno senza obbligarli a riforme pesanti ed impopolari è stata accolta.
Peccato che sia stata accolta anche l’altra richiesta, quella degli stati più ricchi del Nord, che di fatto la rende inutile. Per ottenere credito sarà infatti sufficiente una lettera d’intenti, ma solo a patto di rispettare i parametri di Maastricht. Considerando che 10 stati su 19 membri dell’eurozona non rispettano questi parametri, e che tra questi figura anche l’Italia, per quanto ci riguarda la situazione resterà invariata rispetto alle attuali normative.

Un risultato concreto ottenuto dai paesi più indebitati (Italia in primis) è il meccanismo del backstop.
Di cosa si tratta? Di un fondo comune costituito tra le banche europee, capace di agire autonomamente quando una banca di un Paese dell’eurozona è in crisi, evitando di utilizzare risorse pubbliche per il salvataggio.
Salvini e la Meloni sostengono che il MES porterà via soldi agli Italiani per salvare le banche tedesche: la verità è che i Tedeschi sono stati i più fieri oppositori di questa riforma, sostenendo che fossero le banche di Paesi in difficoltà come l’Italia ad aver bisogno di questi soldi, e che la Germania si sarebbe trovata a finanziare salvataggi in questi Paesi.
Il MES contribuirà a finanziare il Fondo di risoluzione, potendo stanziare fino a 55 miliardi; le banche diventeranno così più sicure.

Un risultato ottenuto dai “rigoristi” del Nord Europa rappresenta invece un effettivo peggioramento dell’accordo, se considerato dal nostro punto di vista, tanto da spingere sia il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, sia il presidente dell’ABI Antonio Patuanelli ad esprimere preoccupazione.
La nuova norma è finalizzata a rendere più facile la “ristrutturazione” del debito pubblico di un Paese che chiede sostegno al MES. Per effetto di questa modifica, i privati che hanno sottoscritto titoli del debito pubblico (quindi di fatto hanno prestato dei soldi allo Stato), potrebbero, nel momento in cui scatterà il pacchetto di aiuti alla Nazione in difficoltà, vedersi rimborsati i titoli sottoscritti solo parzialmente e non per l’intero valore nominale.

Stiamo parlando delle Clausole di Attivazione Collettiva (CACS), della quali Salvini ha dimostrato di non sapere assolutamente nulla, pur utilizzandole come spauracchio per terrorizzare i suo elettori.

Le istituzioni Europee hanno rassicurato i Paesi membri spiegando che la ristrutturazione del debito non sarà automatica e che la riforma nasce per proteggere i governi in caso di default. Il meccanismo prevede la possibilità di ridurre il capitale da rimborsare o gli interessi, oppure posticipare i pagamenti dovuti rispetto alle scadenze.
Le vecchie clausole presupponevano un accordo tra uno Stato alle prese con la ristrutturazione del suo debito e la maggioranza degli investitori. Poiché gli Stati emettono debito in tante emissioni, era finora necessaria una doppia maggioranza: a livello di debito complessivo e in ogni singola emissione.
La riforma del Mes richiede la sola maggioranza a livello complessivo, cioè la single limb. Tutto questo crea una condizione di rischio per i privati.
Come spiegato in precedenza, per accedere agli aiuti del MES bisogna essere in regola con determinati parametri. Gli Stati non in regola potranno beneficiare degli aiuti a patto di impegnarsi ad attuare riforme impopolari per risanare il bilancio. La possibilità di ristrutturare il debito, scaricando sui risparmiatori privati parte del peso, rende più facile l’accesso agli aiuti ma meno sicuro l’investimento in titoli di stato.
Anche senza arrivare ad un provvedimento del genere, la sola esistenza di questa norma potrebbe scoraggiare gli investitori a sottoscrivere titoli dei Paesi più indebitati, costringendoli ad aumentare i tassi per continuare a finanziarsi.

Il MES è un circolo privato?

Questo trattato mette 124 miliardi di Euro degli Italiani nella mani di sette burocrati europei: due tedeschi, due francesi, un olandese un belga e un irlandese che possono discrezionalmente decidere chi aiutare e non aiutare con quei soldi.          MATTEO SALVINI

Cosa c’è di vero in questa affermazione? Niente.

Intanto le somme versate dall’Italia al MES si limitano a poco più di 14 miliardi, pari al 17% del fondo. I 124 miliardi rappresentano il capitale sottoscritto ma non versato. Se davvero si rendesse necessario per l’Italia versare i residui 110 miliardi, questo vorrebbe dire che la Germania ne verserà 160, la Francia 120 e così via.

Chi comanda nel MES?
Il MES è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 19 Ministri delle finanze dell’area dell’euro. Il Consiglio assume all’unanimità tutte le principali decisioni (incluse quelle relative alla concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i paesi che la ricevono).
Le decisioni meno importanti richiedono comunque una maggioranza pari all’85% del numero di quote sottoscritte.
Considerando che l’Italia detiene il 17% delle quote, ha di fatto potere di veto: questo vuol dire che il MES non potrà mai prendere una decisione che non sia condivisa anche dal Governo Italiano.

Già, ma il Governo conosce le proprie decisioni? A questo punto si dovrebbe rispondere che non è sempre così, o almeno non lo è per tutti i Governi, considerando che le attuali modifiche sono state concordate nel 2018 dal Governo Conte 1 e dai vice premier Salvini e Di Maio.

Cioè gli stessi che adesso alzano barricate e raccolgono firme chiedendo di non ratificare le modifiche concordate dal loro Governo.

 

 

 

 

 

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