La RITA. Ovvero, il modo più conveniente per riscattare il fondo pensione


Il continuo ricorso agli esodi da parte delle Banche (al quale spesso fa da contraltare un numero di assunzioni molto meno significativo) fa sì che siano sempre più numerose le lavoratrici e i lavoratori che si interrogano sul da farsi per riscattare il fondo pensione accumulato nel corso di tutta la loro vita lavorativa.

Alla previdenza complementare abbiamo dedicato un manuale dettagliato che invitiamo a consultare da questo link.

Oggi vogliamo soffermarci su una possibilità che la legge offre, che può comportare grossi vantaggi fiscali per i vecchi iscritti ai fondi pensione, e che comunque consente a tutti di riprendere l’intero montante in tempi brevi, senza alcuna penalizzazione. Parliamo della R.I.T.A.

 

Che cos’è la R.I.T.A.?

La sigla RITA sta per Rendita Integrativa Temporanea Anticipata. Formalmente è un’anticipazione – totale o parziale – del montante accumulato sul Fondo Pensione. Vedremo come, nella sostanza, può essere una ottima alternativa al riscatto o alla rendita.
Dal punto di vista pratico la RITA consiste nell’erogazione rateale del capitale accumulato, con periodicità trimestrale o inferiore, a partire dalla data della richiesta fino al raggiungimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia.

 

Chi può richiedere la R.I.T.A.?

In estrema sintesi: per richiedere la RITA bisogna aver smesso di lavorare, non essere troppo lontani dal raggiungimento dell’età in cui si matura la pensione di vecchiaia (devono mancare 5 anni al massimo), ma neanche troppo vicini (è opportuno richiederla almeno un anno prima del raggiungimento di tale età).
Requisito fondamentale: al momento della richiesta bisogna essere inoccupati (ma si può avviare una nuova attività lavorativa una volta che la RITA sia stata accordata, come vedremo in seguito).
Inoltre sono richiesti dei requisiti minimi di anzianità contributiva  e di iscrizione alla previdenza complementare.

Nel dettaglio, questi sono i requisiti per richiederla:

  1. Cessazione dell’attività lavorativa
  2. Raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia (attualmente fissata a 67 anni per uomini e donne) entro i 5 anni successivi
  3. Almeno 20 anni di contribuzione nel regime obbligatorio di appartenenza
  4. Almeno 5 anni di partecipazione a forme pensionistiche complementari

L’accesso al Fondo di Sostegno al Reddito ABI ha come presupposto la cessazione del rapporto di lavoro; pertanto dà diritto a richiedere la RITA, a patto di essere entro i cinque anni dal raggiungimento dell’età della pensione di vecchiaia.

La normativa prevede inoltre che si possa richiedere la RITA, anche se si è più lontani dalla pensione, in caso di inoccupazione prolungata. La logica della norma è consentire ad una persona che non lavora, e quindi non percepisce reddito, di utilizzare dei fondi che ha accumulato in precedenza. In questo caso i requisiti sono:

  1. Cessazione dell’attività lavorativa
  2. Inoccupazione (o anche permanenza nel fondo esuberi) successiva alla cessazione dell’attività lavorativa, per un periodo superiore ai 24 mesi
  3. Raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia (attualmente 67 anni )entro 10 anni
  4. Almeno 5 anni di partecipazione a forme pensionistiche complementari

Abbiamo detto che non si può richiedere la RITA se si è troppo vicini all’ età pensionabile, e il motivo è evidente: una richiesta all’immediata vigilia del raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia rappresenterebbe un modo per aggirare le regole della previdenza complementare, in base alle quali almeno un parte del capitale dev’essere trasformato in rendita, e per i vecchi iscritti rappresenterebbe una forma di elusione fiscale (parleremo della tassazione di seguito).
Quindi entro quanto si deve inoltrare la richiesta? Il dubbio è stato chiarito con la circolare COVIP 4209 del 17/9/2020: la RITA va richiesta almeno 6 mesi prima della maturazione della pensione di vecchiaia, in modo tale che l’erogazione sia frazionata in almeno due rate trimestrali. Il suggerimento è comunque quello di richiederla almeno un anno prima, in modo da porsi al sicuro da eventuali disguidi o ritardi.

 

Esistono incompatibilità con la R.IT.A.?

La citata circolare 4209 è servita a sgomberare il campo da diversi dubbi che esistevano in merito all’interpretazione della norma. Intanto riguardo all’inoccupazione: il requisito della cessazione dell’attività o dell’inoccupazione da almeno 24 mesi deve sussistere al momento della presentazione della domanda. Quindi la domanda non può essere inoltrata se uno di questi requisiti non è presente.
Successivamente si può avviare una nuova attività lavorativa senza perdere il diritto all’erogazione.

Un ulteriore dubbio sussisteva sulla possibile coesistenza tra pensioni percepite prima del raggiungimento dell’età pensionabile (pensione anticipata, quota 100, opzione donna, ecc…) e la riscossione della RITA. In passato alcune persone si erano viste rifiutare la richiesta della RITA in base a questo dubbio, anche questo successivamente chiarito dalla circolare 4209: non esiste incompatibilità con trattamenti pensionistici, neanche al momento della richiesta.

La RITA è ovviamente compatibile con le erogazioni del Fondo di Sostegno al Reddito ABI.

 

Cosa succede al mio montante durante il periodo di erogazione rateale?

Durante il periodo di erogazione della RITA il montante residuo continua ad essere gestito dal Fondo, generando quindi ulteriori rendimenti: per questo motivo le rate da erogare verranno ricalcolate tempo per tempo, tenendo conto degli incrementi o delle diminuzioni conseguenti alla gestione finanziaria. Mentre è in corso l’erogazione il montante viene versato nel comparto più prudente del fondo, salvo diversa indicazione da parte dell’iscritto.

L’iscritto ha facoltà di sospendere l’erogazione della RITA; sulla parte del montante eventualmente non destinata alla RITA conserva la facoltà di richiedere anticipazioni e riscatti.

Durante il periodo di erogazione è possibile continuare ad effettuare versamenti contributivi che, in caso di RITA parziale, andranno ad incrementare il montante residuo, mentre in caso di RITA totale andranno a costituire un montante a sé stante. Le somme saranno investite nel medesimo comparto scelto per l’erogazione della prestazione, salvo diversa indicazione dell’iscritto.

Anche su questo punto è importante fare chiarezza. Gli accordi per l’esodo sottoscritti nel gruppo BPER prevedono la contribuzione aziendale alla previdenza complementare fino alla data di pensionamento. E queste somme andranno, come detto, a costituire un montante separato da quello su cui si è richiesta la RITA. Si può inoltre decidere di effettuare ulteriori conferimenti alla previdenza complementare su base volontaria. In questo caso bisogna ricordare che le prestazioni del Fondo di Sostegno al Reddito non costituiscono reddito imponibile: pertanto, eventuali conferimenti effettuati durante il periodo in cui se ne beneficia non godrebbero di alcun vantaggio fiscale, e quindi ci sentiamo in dovere di sconsigliarli.

Ben diverso è il caso di conferimenti effettuati da pensionati, come vedremo nel prossimo paragrafo.

In caso di decesso durante la fase di erogazione il montante sarà riscattato dagli eredi.

 

La tassazione della R.I.T.A.

La tassazione della RITA è quella prevista per i “nuovi iscritti”, e per questo è particolarmente favorevole. L’intero montante è assoggettato ad imposta sostitutiva con aliquota agevolata: l’aliquota iniziale è del 15%, e a partire dal 15° anno di anzianità contributiva si riduce dello 0,30% annuo, fino ad arrivare ad un’aliquota minima del 9%.
Si tratta di una soluzione estremamente vantaggiosa per i “vecchi iscritti”, cioè tutti coloro che risultavano iscritti ad una forma di previdenza complementare alla data del 27 aprile 1993. Per loro, a differenza di chi si è iscritto successivamente, esiste la possibilità di riscattare l’intero montante accumulato, ma la tassazione applicata è simile a quella del TFR, con un’aliquota che può arrivare a sfiorare il 30%.
A titolo di esempio, per un vecchio iscritto che alla data del 1/1/2007 aveva già maturato 15 anni di anzianità contributiva la tassazione della RITA richiesta nell’anno 2023 ammonterebbe al 10,20%; se scegliesse di riscattare l’intero montante andrebbe a subire una tassazione più che doppia.

Anche per i nuovi iscritti l’adesione alla RITA comporta un notevole vantaggio, potendo riscuotere l’intera somma accantonata in un lasso di tempo contenuto, senza essere costretti a trasformarla almeno in parte in rendita.

Qualora manchino 5 anni al raggiungimento dell’età pensionabile, ed in presenza di un montante particolarmente consistente, può essere una buona scelta ritardare di due o tre anni la richiesta, in modo da ridurre l’aliquota applicata. Questo vale sia per i nuovi che per i vecchi iscritti.

Parlando di tassazione, può essere conveniente non riscattare al 100% il montante, lasciando aperto il fondo. Questa opzione è ottenibile anche beneficiando della contribuzione aziendale durante la permanenza nel Fondo di Sostegno, che come detto genera un montante separato.
Perché diciamo questo? Perché una volta maturato il diritto alla pensione, che è un reddito soggetto a tassazione, si potranno effettuare versamenti volontari ottenendo notevoli benefici fiscali grazie alla deducibilità dei contributi.


Facciamo un esempio pratico: per ogni conferimento al fondo si avrà diritto ad un recupero fiscale pari all’aliquota marginale: un ipotetico pensionato potrà versare fino a 5.164 €. Ipotizzando una pensione lorda superiore ad € 28mila, per ogni 1.000 euro conferiti otterrà a luglio, compilando il modello 730, un rimborso di € 335. Questa somma sarà immediatamente riscattabile, potendo contare su un montante ridotto al minimo e quindi non soggetto all’obbligo di trasformazione in rendita, e l’aliquota applicata sarà calcolata con le modalità sopra riportate. Pertanto, nel caso in esame, nel 2024 la tassazione del riscatto sarà effettuata con un’aliquota del 9,90%.
Tirando le somme, per ogni 1.000 euro conferiti nel fondo otterrà un rimborso di €335 e pagherà €99 di tasse al momento di riprenderli. Un’ operazione del tutto lecita e priva di rischi.


Un’ultima considerazione. La risoluzione Agenzia delle Entrate 9/E del 16/2/2022 ribadisce la possibilità di optare per la tassazione ordinaria della RITA. In questo caso, la scelta va manifestata attraverso l’inserimento dell’apposito codice nella casella relativa ai “casi particolari” nel quadro relativo ai redditi di lavoro dipendente e assimilati.
Questa scelta può rivelarsi conveniente in alcun casi specifici: ad esempio per chi aderisse al fondo di sostegno al reddito (che non costituisce reddito imponibile) ed avesse detrazioni importanti da recuperare.
Si tratta comunque di un’opzione da ponderare attentamente caso per caso, avvalendosi eventualmente del supporto del patronato o di un commercialista. In questa sede ci limitiamo a far presente che esiste anche questa possibilità.

TFR e R.I.T.A.

Laddove siano sottoscritti accordi aziendali che lo prevedono, è possibile conferire il TFR maturato fino al 2006 al Fondo Pensione.

La scelta va effettuata prima di cessare il lavoro; il vantaggio è rappresentato dalla possibilità di beneficiare della RITA anche per queste somme, con i benefici fiscali evidenziati nel precedente paragrafo.

Per quanto riguarda la possibilità di versare al fondo la quota che mensilmente si accantona al TFR, si suggerisce la lettura di questo articolo nel quale avevamo trattato in modo esaustivo l’argomento.

Conviene versare il TFR sul Fondo Pensione?

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