Katherine Johnson, la donna che ci portò sulla luna


Era testarda Katherine Johnson, ribelle, ma anche appassionata di spazio e di numeri. Una donna dalle mille sfaccettature, intelligente come poche, che riuscì nell’impresa più grande: portare l’uomo sulla Luna. Si è spenta lo scorso 24 febbraio all’età di 101 anni, con grande dignità e la consapevolezza di aver lasciato un segno indelebile nella storia dell’umanità.

Negli anni Cinquanta era stata assunta dalla Nasa e da subito si era fatta notare per la sua spiccata intelligenza. Poco dopo era stata scelta per calcolare le traiettorie nella missione Freedom 7, guidata da Alan Shepard. Il successo non aveva fermato Katherine Johnson, che negli anni aveva collezionato tanti altri traguardi, fra cui il titolo come prima donna a pubblicare un testo di matematica astronomica.

Fino alla missione orbitale di John Glenn, dove Katherine realizzò un sistema di comunicazione in grado di collegare le stazioni con Cape Canaveral, le Bermuda e Washington, una sorta di rete in grado di controllare la traiettoria seguita dalla capsula. Leggenda vuole che prima di partire l’astronauta chiese alla Johnson di ripetere i calcoli con la sua calcolatrice, nonostante fossero già stati fatti da un gruppo di ingegneri.

Se lei dice Ok allora vado”, disse Glenn, pronto a fidarsi solo della matematica. E aveva ragione. Negli anni successivi Katherine avrebbe partecipato con successo a diverse altre missioni, dando sempre un contributo decisivo, dagli studi sulle sonde pronte per scoprire Marte al viaggio dell’Apollo 11 nel 1969 con il celebre sbarco sulla Luna.

Pochi lo sanno, ma la missione Apollo 11 stava per fallire. A risolvere la situazione fu proprio Margaret Hamilton. Pochi attimi prima dello sbarco sulla Luna infatti il radar venne attivato per errore, mandando il computer in sovraccarico. La situazione stava per precipitare, ma la matematica aveva già pensato a questa evenienza.
Mentre scriveva il software infatti aveva sviluppato un algoritmo che consentiva al programma di accorgersi di un sovraccarico e segnalarlo. Il problema dunque venne risolto in breve tempo e gli astronauti riuscirono ad arrivare sul satellite.
Se il computer non avesse individuato il problema – scrisse nel 1971 – e non lo avesse risolto, dubito che la missione Apollo 11 sarebbe giunta a buon fine”. Dieci anni dopo Margaret lasciò il MIT e la Nasa, creando una sua compagnia, la Hamilton Technologies e coniando il termine “software engineering”.

Una conquista enorme, fatta in un periodo in cui lo sviluppo dei programmi veniva affidato quasi sempre alle donne, perché considerato secondario. In realtà il lavoro della Hamilton risultò fondamentale per costruire un pezzo di Storia dell’umanità.

Nel 1986 aveva deciso di lasciare la Nasa, ma era ormai diventata una leggenda. A raccontare la sua storia straordinaria un libro e un film, Hidden Figures (Il diritto di contare). Nel 2015 l’allora presidente Barack Obama le aveva reso omaggio consegnandole la Presidential Medal of Freedom, considerata la più alta onorificenza civile americana, mentre la Mattel aveva creato una Barbie con le sue sembianze per ispirare le future generazioni.

Fonte: www.dilei.it

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