Il lavoro diventa una merce


Per l’insegnamento universitario corrente l’economia viene mostrata come la teoria della scelta umana tra beni scarsi, per cui sono possibili usi alternativi, e l’interazione dei beni attraverso lo scambio (la divisione del lavoro ha portato alla massima specializzazione della produzione e, di conseguenza, agli scambi delle merci prodotte tra i vari agenti economici).

Questo modo di affrontare il problema (in termini capitalistici) pone l’accento più sullo scambio che sulla produzione, e tende, quindi, ad escludere lo studio dei rapporti economici tra le classi e il processo di sviluppo dell’economia nel suo complesso. Possiamo affermare che il processo di produzione, ossia il processo lavorativo, è quel processo attraverso cui il lavoro trasforma i materiali forniti dalla natura in ricchezza: esso si presenta come il processo di trasformazione della natura per servire ai bisogni umani.

Fin dall’alba della storia gli uomini hanno prodotto non individualmente, ma insieme ad altri uomini. La società antica, la società feudale e la società borghese, sono caratterizzate da complessi rapporti di produzione ed ognuno di questi complessi caratterizza, nello stesso tempo, un particolare stadio di sviluppo nella storia dell’umanità. L’elemento che causa e determina i profondi mutamenti sociali, attraverso cui passa la storia umana, è il mutamento nelle forze produttive, cioè le variazioni negli strumenti di produzione e nelle capacità e nelle tecniche della gente che li usa. Da notare che le varie forme di società non differiscono solo per i diversi metodi di produzione in vigore, ma anche per il fatto che i rapporti tra gli uomini e tra le classi, cioè i rapporti sociali tra gli uomini, sono diversi.

I rapporti sociali entro i quali gli individui producono (i rapporti sociali di produzione) si modificano; dunque, mutano con la trasformazione e con lo sviluppo dei mezzi materiali di produzione. I rapporti di produzione costituiscono nel loro assieme ciò che riceve il nome di rapporti sociali, di società, e precisamente una società ad un grado di sviluppo storico determinato.

Il capitalismo è un sistema di produzione sociale all’interno del quale ci sono sfruttatori e sfruttati: i capitalisti e i lavoratori.
Per la classe lavoratrice lo sfruttamento è il punto di partenza nello studio dell’economia politica, per i capitalisti il punto di partenza è come mantenere la ricchezza ed il dominio ed è da questo punto di partenza che affrontano i problemi dell’economia. Ora i processi economici sono alla base di tutti gli altri processi sociali; l’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base sulla quale si costruisce una sovrastruttura giuridica e politica ed alla quale si collegano forme determinate della coscienza sociale Secondo la nota concezione materialistica della storia, il fattore che, in ultima istanza, è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale: ossia noi facciamo noi stessi, la nostra storia, ma decidono in ultima analisi le condizioni economiche, anche se le condizioni politiche esercitano una loro funzione non determinante (lettera di Engels a Bloch Joseph 21/09/1890).

Nella cosiddetta società mercantile semplice esistevano i presupposti della divisione del lavoro; in esso la divisione del lavoro era prevalentemente costituita da una divisione per prodotto, cioè, il falegname faceva il tavolo intero e non un pezzetto di tavolo, così il calzolaio con le scarpe; il mercato si era esteso, ma era ancora basato su una produzione che serviva prevalentemente in modo diretto per il consumo. Un classico esempio di questo rapporto diretto è il lavoro su ordinazione prevalente in questo tipo di società (mercantile). Infine, ed è la caratteristica maggiormente rilevante, il produttore era anche proprietario delle merci che egli portava nel mercato.

La realtà sociale è poi mutata; ad un certo momento, la società mercantile semplice si trasforma, per proprie leggi di sviluppo, in società capitalista di prevalente concorrenza. La storia economica ci ricorda che ad un certo momento si sono riscontrati molti fenomeni, come l’aumento della produzione, il sorgere della produzione di massa per il mercato, un aumento della produttività del lavoro, una maggiore divisione del lavoro e, al sorgere di nuovi strumenti di produzione, tutti questi fenomeni si sono tra di loro dialetticamente collegati; cioè essi sono espressione e causa di un nuovo sistema economico che andava sorgendo.

Tra i vari fenomeni che hanno accompagnato lo svilupparsi della società capitalistica e che sono compresi sotto il nome di rivoluzione industriale, l’introduzione della macchina ha avuto una primaria importanza. Infatti, la rivoluzione industriale fu caratterizzata da grandi scoperte nella tecnica produttiva che, al posto degli strumenti di produzione animati dall’energia motrice dell’uomo, introdussero dell’energia motrice indipendente, come l’acqua prima e il vapore dopo, che resero possibili nuovi processi lavorativi  ed un aumento colossale delle quantità prodotte: cioè, in sostanza, un aumento della produttività del lavoro.

Possiamo dire che la rivoluzione industriale fu un insieme grandioso di fatti economici tra di loro dialetticamente collegati e non un semplice fatto tecnico; vi fu senza dubbio una relazione dialettica tra sviluppo tecnico delle forze produttive e sviluppo dei rapporti economici. Anzi su questa relazione dialettica, cioè non meccanica di causa ed effetto, Carlo Marx basò la sua concezione del progresso economico e sociale. La stessa e sola scoperta della macchina a vapore non ha significato di per sé la rivoluzione industriale; tale scoperta avvenne e la rivoluzione industriale si verificò perché si svolse in un particolare ambiente economico, nacque cioè nell’ambiente che esigeva il modo di produzione capitalistico. Ricordiamo che dal 1600 in poi si sono sviluppati ed hanno prevalso i rapporti capitalistici, dove, ad esempio, vediamo l’imprenditore commerciale che spossessa dalle materie prime e  dagli oggetti di lavoro l’artigiano medievale, il quale viene estromesso dal mercato globale. Si era sviluppato il lavoro a domicilio e in certi rami la fabbrica manifatturiera, che raccoglieva insieme gruppi di lavoratori. In pratica, con la scoperta e la introduzione delle macchine si spossessa definitivamente il lavoratore anche dello strumento di lavoro, ossia del mezzo di produzione, e si rende necessario il raggruppamento dei lavoratori nelle fabbriche originando una grande differenza tra gli stessi produttori capitalistici e tra questi e gli artigiani.

Successivamente il capitalismo, cioè la divisione in classi, si consolida e diviene perfetta: il capitalista industriale diventa il protagonista dello sviluppo economico e il capitale condizione necessaria alla crescita economica. Affinché il capitalista possa impiantare le fabbriche che vuole e dove vuole e che vi sia la libertà di produzione, si rende necessario eliminare  i vincoli corporativi medioevali. Nella società mercantile semplice esisteva una differenza tra i vari produttori, queste differenze erano limitate però, perché si riferivano in prevalenza a differenza nelle qualità umane, che come è noto non sono forti. Ad esempio, se noi ci mettiamo a fare una corsa, noi correremo più o meno con la stessa velocità; al contrario, se uno si mette a correre in bicicletta e noi a piedi, la differenza diventa molto maggiore e questa differenza avrà la sua importanza nel determinare le leggi del mercato e dello sviluppo economico. Ma, il fatto economico più importante diviene la dissociazione nella produzione tra coloro che detengono i mezzi di produzione e quelli che hanno soltanto la forza lavoro. Questo è il fatto fondamentale che determina non soltanto i rapporti diretti del mercato, ma determina la dinamica economica e lo sviluppo del sistema. Esso caratterizza il sistema capitalistico di produzione: il produttore vero, il lavoratore, è stato spossessato storicamente prima dell’oggetto di lavoro, poi anche, dello strumento di lavoro e l’unico produttore diviene il capitalista. Ma se ci chiediamo chi è il produttore nella società capitalista, la risposta per noi è che il vero produttore è chi lavora, ossia chi mette in moto le macchine e questa è una premessa logica e non deve essere mai dimenticata. Produttore in senso sociale e, quindi, sempre il lavoratore, colui che mette in moto gli strumenti di produzione nell’economia capitalistica; però, dato che gli strumenti di produzione sono in mano ad un determinata categoria, che noi chiamiamo capitalisti, si genera la convinzione (e si parte dalla premessa comune in tutta l’economia accademica) che produttore sia il capitalista e gli altri siano fattori della produzione o consumatori. Dal punto di vista della logica capitalistica ciò è vero in un concetto generale, in quanto il processo produttivo si mette in moto se il capitalista, che ha i mezzi di produzione, lo mette in moto; in sostanza, il produttore nel capitalismo è chi ha i mezzi di produzione, che sono posseduti da una categoria di persone distinta dalla categoria di coloro che materialmente li adoperano, e così tanto i mezzi di produzione, che il lavoro, diventano oggetti di scambio, ossia merci; acquistano, in questo modo, carattere di relazione di scambio, non solo le relazioni tra proprietari di merci, ma anche le relazioni tra proprietari di mezzi di produzione e non proprietari dei mezzi di produzione o proletari.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti

 

Per approfondire: Il lavoro al di fuori della logica capitalistica

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