Esiste un “rischio Grecia” per l’Italia?


Domenica 26 agosto il “Fatto Quotidiano” ha pubblicato il grafico che riportiamo. Un grafico che deve preoccuparci e non poco.

Ad essere rappresentata è la relazione tra il rating dei paesi dell’Area Euro ed il tasso che gli stessi pagano sui titoli di stato a 10 anni.

Prima di addentrarci nell’esame del grafico, facciamo un po’ di chiarezza sui concetti di rating e di spread, a beneficio di chi ha meno esperienza in materia di temi economici.

 

IL RATING

Possiamo considerare il rating come l’equivalente di un voto scolastico, espresso in lettere anziché in numeri. Ad assegnare questi voti procedono delle agenzie specializzate come Moody’s, Standard & Poors, Fitch ecc…

Cosa misura il rating? E’ una valutazione che sintetizza la capacità di uno Stato di ripagare i suoi debiti. Più viene ritenuto affidabile lo Sato, migliore sarà il “voto”.

Come si leggono questi “voti”? Facciamo riferimento alla classificazione utilizzata da Standard & Poors e Fitch: quella di Moody’s è leggermente differente.
La valutazione migliore possibile è AAA: in Europa la sola Germania viene ritenuta meritevole della tripla A, tanto da essere presa come punto di riferimento. A scendere c’è AA (Francia e Regno Unito), poi la A (Irlanda). Si passa poi a BBB, scendendo a BB e così via fino ad arrivare alla valutazione D, che indica le nazioni ormai in stato d’insolvenza che non ripagheranno i loro debiti (non a caso la D è anche l’iniziale di default).

Il rating attualmente attribuito all’Italia è BBB: come vedremo rappresenta un valore soglia.

 

L’ANDAMENTO DEI TASSI E LO SPREAD

Immaginate di avere due amici che vi chiedono un piccolo prestito.
Il primo ha un buon lavoro, uno stipendio fisso ed è molto oculato nel mettere soldi da parte. Ha bisogno di sostenere una spesa imprevista alla quale non può al momento far fronte avendo vincolato i suoi risparmi.
Il secondo lavora in modo saltuario, ma appena guadagna qualcosa lo spende subito. Ha bisogno di soldi perché non riesce a pagare le bollette.

Vi sentireste più tranquilli a prestare soldi al primo amico o al secondo? La risposta appare fin troppo facile.
Cosa può fare il secondo amico, quello meno affidabile, per convincervi? Magari, oltre a promettere che metterà la testa a posto, potrebbe offrirvi qualcosa per ripagarvi del prestito. Potrebbe ad esempio promettere di regalarvi quell’oggetto da collezione che ha in casa, sul quale da tempo avete messo gli occhi.
La situazione cambia; potreste anche decidere che valga la pena di correre il rischio di non vedersi restituire i soldi, a questo punto ripagato dalla prospettiva dal “premio” che l’amico ci sta promettendo.

Il mondo della finanza funziona in modo non molto diverso.
Gli Stati emettono titoli del debito pubblico per finanziarsi, pagando ovviamente degli interessi agli investitori.
Se l’emittente si chiama Germania, con affidabilità quasi assoluta, il tasso d’interesse sarà molto basso dal momento che i titoli saranno sicuramente sottoscritti. Se invece l’emittente è un altro Stato, con affidabilità inferiore a quella tedesca, per convincere gl’investitori a sopportare il maggior rischio dovrà “premiarli” pagando loro un tasso più alto.
Normalmente peggiore sarà il rating (cioè “il voto” all’affidabilità dell’emittente), più alto sarà il tasso da pagare agli investitori.
La differenza di tasso che una nazione paga rispetto alla Germania è il cosidetto spread, e rappresenta il “premio” per ripagare il maggior rischio rispetto al Paese più affidabile.

Come fa ad aumentare o diminuire lo spread?
Si è parlato spesso di complotti, di poteri forti, di oscure manovre… la verità è molto più semplice.
In estrema sintesi: chi investe in titoli di stato lo fa con lo scopo di guadagnare, o al limite di minimizzare le perdite se le cose vanno male. Questo vale per il piccolo investitore, e vale a maggior ragione per gli Investitori Istituzionali
Se un grande investitore ha acquistato titoli di uno Stato che, per un motivo o per un altro, smette di ispirargli fiducia, cercherà di sbarazzarsene appena possibile. Anzi, cercherà di farlo prima degli altri.
Quando si diffonde il sentore che le condizioni economiche di uno Stato possano peggiorare, parte un’ondata di vendite sui titoli di quello Stato. Ovviamente, se ci sono tanti venditori avranno un solo modo per liberarsi di quello che ritengono un prodotto avariato: ridurre il prezzo.
Perché qualcuno dovrebbe acquistare questi titoli?
Perché acquistandoli con lo “sconto”, nel caso in cui l’operazione andasse a buon fine e si concludesse con il regolare rimborso, avrebbe ottenuto un buon guadagno, tale da giustificare il maggior rischio.
Ecco come il rendimento di quei titoli cresce, costringendo l’emittente ad adeguarsi ed alzare i tassi delle successive emissioni per non ritrovarsi a vendere titoli che nessuno vuole.

Possiamo quindi passare ad esaminare il grafico pubblicato riportato all’inizio.
L’asse X riporta le classi di rating. L’asse Y il tasso sui titoli di stato pagato dai Paesi dell’Eurozona.
Viene tracciata una linea mediana tra i vari tassi che dimostra che, come sarebbe lecito aspettarsi, ciò che paga ogni singolo Stato è sostanzialmente coerente con la sua classe di rating.
Un solo valore risulta totalmente fuori scala: quello dell’Italia.

In sintesi: o stiamo pagando un tasso troppo alto, o abbiamo un rating troppo generoso.
Perché sta succedendo questo?

Nei soli mesi di maggio e giugno la quantità di titoli di Stato italiano in mano ad investitori stranieri è diminuita di 72 miliardi; nel corso dell’estate l’ondata di vendite si è rafforzata.
Evidentemente i mercati hanno la sensazione che le prospettive per il nostro Paese siano decisamente fosche. Questo non dipende dall’andamento attuale della nostra economia (il PIL 2018 sarà comunque in crescita) quanto dalle incertezze legate ai programmi ed alle divisioni del nuovo Governo.
I mercati ritengono possibile il “rischio Grecia” per l’Italia.

 

COSA POTREBBE SUCCEDERE?

L’anomalo disallineamento tra tassi pagati e rating dell’Italia è ovviamente sotto la lente d’ingrandimento delle Agenzie di rating. Tutte stanno aspettando l’autunno e la legge di bilancio per vedere quali provvedimenti saranno adottati dal Governo.
Se la manovra si rivelerà convincente, lo spread scenderà e l’attuale rating sarà confermato; in caso contrario ci aspetta un declassamento che, come vedremo, può avere conseguenze disastrose.
Intanto, in attesa delle mosse del Governo, quasi tutte le Agenzie ci hanno assegnato un outlook (cioè la previsione a medio-lungo termine) negativo.
In sintesi: siamo valutati BBB con tendenza al peggioramento.

Perché sarebbe tanto devastante un declassamento del nostro rating?
Come detto, il valore BBB rappresenta una soglia minima per considerare un titolo meritevole di essere acquistato.
Se la valutazione dell’emittente scende a BB, tutte le sue emissioni diventano junk bonds (titoli spazzatura),  cioè titoli ad alto rendimento ma con forti rischi per l’investitore.

Non possono detenere junk bonds i fondi pensione o i fondi d’investimento a basso rischio, quindi un’eventuale declassamento a BB dei titoli di stato Italiani comporterebbe l’immediata vendita di un’enorme quantitativo degli stessi, con conseguente forte aumento dei tassi d’interesse.
Non dimentichiamoci che gli interessi che lo Stato paga sono comunque soldi da tirare fuori: soldi da reperire con maggiori tasse, o tagliando i servizi ai cittadini.

Ma non sarebbe questa la conseguenza peggiore.

 

Come si finanziano le banche?

Per prestare soldi alle aziende o alle famiglie che ne fanno richiesta, le banche attingono prima di tutto alle somme depositate dai clienti, rispettando una serie di limiti che la normativa impone loro. Ma questo non basta.
Per avere ulteriore liquidità si rivolgono allora alla BCE, che fornisce le somma richieste chiedendo che le anticipazioni vengano garantite da titoli di stato.

E qui sta il vero guaio: la BCE non può accettare come garanzia titoli con rating BB o inferiore.
Per farla breve: se il rating dei nostri titoli di Stato scendesse a livello di junk bond, le banche italiane sarebbero nell’impossibilità di finanziarsi. A quel punto dovrebbero tagliare improvvisamente le linee di credito alle imprese, con effetti terribili sull’economia del Paese, o dovrebbe finanziarsi chiedendo soldi alla linea di emergenza della BCE (Emergency Liquidity Assistance).
Fare cioè quello che è stata costretta a fare la Grecia.

Sappiamo cos’è successo in quel Paese: in cambio dei finanziamenti concessi agli Ellenici, la BCE ha imposto sacrifici durissimi per essere sicura che i prestiti fossero restituiti.
In otto anni ci sono stati tagli drastici all’occupazione, stipendi decurtati in modo drammatico, pensioni ridotte anche al disotto della soglia di sussistenza.

Come si scongiura tutto questo?
Presentando una legge di bilancio seria e ben fatta, che convinca l’Unione Europea e soprattutto i mercati sull’affidabilità del nostro Governo. In quel caso invece di peggiorare il rating sarebbe lo spread a tornare su livelli più bassi.

Questo è lo scenario. A questo punto dobbiamo porci qualche domanda.

Possiamo davvero pensare ad una manovra finanziaria che contenga da un lato una serie di aumenti di spesa (revisione legge Fornero, reddito di cittadinanza) e dall’altra una riduzione delle entrate (flat tax, sterilizzazione dell’aumento IVA)?
Possiamo permetterci una manovra in linea con le premesse elettorali di chi è attualmente al governo?

Tra tanti dubbi, c’è una sola certezza: volendo scegliere un momento per sfidare l’Europa, minacciando di non versare più le quote di nostra competenza o preannunciando lo sforamento dei limiti di deficit previsti dagli accordi vigenti, non se ne poteva scegliere uno più sbagliato di questo.

 

 

 

 

 

 

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