Uno degli argomenti che hanno portato la coalizione attualmente al governo a raccogliere voti determinanti per vincere le elezioni è lo sbandierato impegno al superamento della Legge Fornero. Fra le promesse quella di permettere a tutti di andare in pensione al raggiungimento dei 41 anni di contributi.
Cos’è rimasto in realtà di quelle promesse? A sentire i TG sono stati fatti grandi cambiamenti nel comparto previdenziale. E questo purtroppo è vero. Solo che siamo andati in direzione opposta a quanto era stato promesso.
Esaminiamo nel dettaglio come i provvedimenti adottati stiano cambiando in peggio le prospettive di chi è già in pensione e di chi aspira ad andarci in un futuro più o meno lontano.
QUOTA 103
Si tratta di un’opzione per andare in pensione in anticipo rispetto alla Legge Fornero, a patto di aver raggiunto i 62 anni di età e i 41 di contributi (quindi la somma dei due dati dà appunto 103). E’ l’evoluzione della quota 100, istituita nel 2019 proprio con la pretesa di superare la Legge Fornero. La norma si è poi evoluta in quota 102 e successivamente in quota 103. L’agevolazione scadeva il 31/12/2023, ma il governo l’ha prorogata estendendola al 2024.
Quindi una buona notizia? Lo sarebbe se non fosse che non si è trattato di una proroga, ma di un qualcosa di decisamente penalizzante rispetto alla preesistente quota 103. E questo il governo non si è preso la premura di spiegarlo.
In che modo è peggiorata?
- Modalità di calcolo: dal 2024 il calcolo della pensione per chi aderirà a “Quota 103” sarà fatto interamente con il metodo contributivo, perdendo quindi la quota retributiva, decisamente più favorevole, relativa ai contributi versati fino al 1995. Questo comporta una riduzione della pensione mensile che può arrivare fino al 30-35% dell’importo complessivo.
- Allungamento delle finestre d’uscita: le finestre mobili sono un escamotage introdotto per tardare il pagamento della pensione rispetto al momento dell’effettiva maturazione del diritto. Se fino al 2023 erano di 3 mesi per i lavoratori privati e di 6 mesi per i lavoratori pubblici, adesso i periodi diventano di 6 mesi per i privati e 9 mesi per i pubblici. Un bancario che vuole accedere a quota 103 (ammesso che gli convenga) dovrà pertanto lavorare almeno per 41 anni e 6 mesi ed aver raggiunto almeno l’età di 62 anni e 6 mesi: in pratica una Quota 104 mascherata da Quota 103.
- L’importo massimo della pensione: per chi aderirà a quota 103 è previsto che l’assegno pensionistico mensile non possa essere superiore a 4 volte il trattamento minimo (per il 2024 pari a 2.270 euro lordo). E questo per un bancario equiparrebbe a veder vanificati anni di versamenti contributivi.
OPZIONE DONNA
E’ un’opzione per il pensionamento anticipato riservata alle donne che al 31/12/2023 abbiano totalizzato almeno 35 anni di contributi e 61 di età. Il conteggio viene effettuato interamente con il metodo contributivo: questo comporta, considerando l’età anticipata rispetto alle opzioni della Legge Fornero, una penalizzazione molto pesante per le lavoratrici che dovessero farvi ricorso.
In effetti i limiti di età e di anzianità contributiva indicati sono da maggiorare in modo significativo per effetto delle finestre: 12 mesi per le lavoratrici dipendenti, 18 per le autonome.
In che modo è peggiorata?
- Limitazione requisiti: il governo ha limitato l’accesso a Opzione Donna a casistiche molto specifiche, escludendo tutte le lavoratrici che non presentano i requisiti richiesti:
- caregiver
- invalide dal 74%
- licenziate o dipendenti aziende con tavolo di crisi aperto
Il requisito anagrafico viene scontato di un anno per ciascun figlio con un massimo di due anni.
Entro il 31.12.2023, le lavoratrici caregivers e invalide almeno al 74%, possono accedere al trattamento pensionistico con la maturazione di 35 anni di contribuzione e l’età anagrafica di:
- 61 anni se senza figli
- 60 anni se con 1 figlio
- 59 anni se con 2 o più figli
Le lavoratrici licenziate o dipendenti da aziende in crisi, devono aver perfezionato 35 anni di contribuzione e 59 anni di età, indipendentemente dal numero dei figli.
La Cgil calcola che, a seguito delle penalizzazioni nel calcolo e dei requisiti previsti, nel 2024 saranno solo 250 le donne che riusciranno ad utilizzare questa opzione. Che quindi è stata sostanzialmente abrogata, nonostante sia formalmente prorogata.
APE SOCIALE
L’Ape sociale è una forma di anticipo pensionistico. Consiste in un’indennità che spetta fino al conseguimento dei requisiti di età e di contribuzione necessari alla pensione di vecchiaia, destinata ad alcune categorie di lavoratrici e lavoratori che si trovano in particolari condizioni.
- invalidi 74%, caregiver, disoccupati con almeno 30 anni di contribuzione
- lavoratori addetti a mansioni gravose con almeno 36 anni di contribuzione
- lavoratori edili e ceramisti con almeno 32 anni di contribuzione
Per le donne un anno in meno di contribuzione per ogni figlio, con riduzione massima di 2 anni.
In che modo è peggiorata?
- Innalzamento età minima: l’età minima per acedere all’Ape Sociale viene elevato da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.
PENSIONE ANTICIPATA
E’ forse il simbolo delle promesse mancate da parte della Lega e di Salvini, che prometteva il superamento della Legge Fornero attraverso l’introduzione di “Quota 41” per tutti. In realtà le soglie previste dalla Legge Fornero non sono state modificate, saranno anzi peggiorate a partire dal prossimo anno.
In che modo è peggiorata?
- Ripristino adeguamento all’aspettativa di vita: la norma prevede che i requisiti di anzianità contributiva attualmente prevista, pari a 41 anni e 10 mesi per le donne e un anno in più per gli uomini, debbano annualmente essere aggiornati adeguandoli all’aumento della vita media calcolato dall’ISTAT. Il governo Conte 1 sospese questo meccanismo fino al 31/12/2026. Il governo Meloni ha previsto che l’adeguamento torni ad essere calcolato a partire dal 2025. Tradotto in termini pratici, già dall’anno prossimo dobbiamo aspettarci un allungamento dei termini per la pensione anticipata.
ASSUNTI A PARTIRE DAL 1/1/1996
Parliamo di persone che lavorano ormai da oltre 25 anni, quindi non si può più riferirsi a loro come “giovani”. Sono quelli che nel nostro sistema pensionistico sono i più penalizzati, con la pensione calcolata interamente col metodo contributivo.
I requisiti anagrafici per ottenere la pensione sono i seguenti:
- Pensione di vecchiaia: 67 anni di età con 20 mesi di contributi. E’ possibile accedervi solo se si è maturata una pensione pari almeno all’assegno sociale (€ 534,41 nel 2024).
- Limite massimo per restare al lavoro: 71 anni di età con almeno 5 anni di contribuzione.
- Pensione anticipata: 64 anni di età con almeno 20 anni di contribuzione. E’ possibile accedervi solo se si è maturata una pensione pari a 3 volte l’assegno sociale (per il 2024 € 1.603,23)
In che modo è peggiorata?
- Aumento soglia contributiva minima: nel 2023 si poteva accedere alla pensione anticipata con un importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Nel 2024 tale soglia è stata portata a 3 volte l’assegno sociale. Considerando che per chi non ha avuto versamenti continuativi e contratti full time per tutta la sua vita lavorativa l’importo di € 1.603,23 lordi non è così semplice da raggiungere, si tratta per tante persone di un aumento mascherato dell’ età pensionabile. La soglia resta a 2,8 volte l’assegno minimo per le donne con un figlio, scende a 2,6 volte per le mamme di due o più figli.
- Adeguamento all’aspettativa di vita: anche per le pensioni calcolate con il metodo contributivo si introduce l’adeguamento all’aspettativa di vita per il requisito dei 20 anni di contribuzione.
Per comprendere le storture di questo meccanismo, che sarebbe stato importante correggere, facciamo un esempio.
Un dirigente d’azienda, con retribuzione mensile di € 5.000, lavorando solo 20 anni arriverà all’età di 64 anni a maturare una pensione di € 1.650 mensili. Essendo superiore alla soglia di € 1.603,23 potrà scegliere di andare in pensione.
Una persona addetta alle pulizie, che lavora per 40 anni con contratto part-time, a 67 anni avrà maturato una pensione di € 360 mensili. Non avendo raggiunto la soglia minima, dovrà lavorare fino ai 71 anni. Se dovesse morire prima di tale età, i suoi contributi saranno perduti: di fatto avrà fatto solidarietà a favore del manager che prendeva € 5.000.
PENSIONE DIPENDENTI PUBBLICI
Vengono riviste le modalità di calcolo della quota retributiva, relativamente alle pensioni anticipate di tutti coloro che alla data del 31/12/1995 avevano una contribuzione inferiore ai 15 anni. La misura si applica a coloro che effettuano i versamenti nelle seguenti gestioni:
- CPDEL, enti locali,
- CPS, sanitari,
- CPI, insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate,
- CPUG, ufficiali giudiziari.
Le nuove modalità di calcolo non si applicano a chi va in pensione per il raggiungimento del limite di età previsto dalla legge o dai regolamenti degli enti di appartenenza. Non si applicano a chi ha maturato i requisiti per la pensione anticipata al 31/12/2023, anche se sceglie di uscire più tardi.
In che modo è peggiorata?
- Revisione tabelle: le nuove modalità di calcolo comportano tagli che possono arrivare fino al 20% dell’assegno pensionistico: si stima che un medico che ha iniziato a lavorare nel 1992 e percepisce uno stipendio lordo di € 50.000 possa arrivare a perdere fino a € 850 al mese.
- Allungamento (di fatto) dei requisiti pensionistici: la norma prevede, solo per gli infermieri, la possibilità di ritardare l’uscita dal lavoro per avere uno “sconto” sul taglio. Per ogni mese di posticipo rispetto alla possibile uscita con pensionamento anticipato, la decurtazione verrà ridotta di 1/36°. Restando 3 anni in più al lavoro si azzerano i tagli.
In definitiva, chi aveva promesso quota 41 per tutti, di fatto ha portato una specifica categoria alla quota 46.
Sebbene questa novità riguardi al momento il solo settore pubblico, l’ipotesi che in un prossimo futuro il governo possa pensare ad estendere il provvedimento anche ai lavoratori privati è tutt’altro che remota.
Già adesso ci vengono segnalati casi di bancari o bancarie con precedente contribuzione presso la P.A., che scoprono alla vigilia del pensionamento che la loro pensione subirà una decurtazione inattesa.
Consigliamo a chi si trovasse in questa situazione di rivolgersi ad un patronato Inca per verificare l’ammontare della loro pensione prima di accedere ad esodi incentivati.
INDICIZZAZIONE PENSIONI IN ESSERE
All’inizio dell’anno gli organi di stampa istituzionali hanno salutato con grande enfasi l’aumento delle pensioni per tutti, presentandolo come una generosa concessione del governo. In realtà, soprattutto in periodi di alta inflazione, è indispensabile che l’ammontare delle pensioni si adegui per evitare di ridurre la capacità di spesa dei pensionati.
Un adeguamento inferiore al tasso di inflazione equivale a sfilare i soldi dalle tasche delle persone che vivono di pensione.
E questo è esattamente ciò che il governo ha fatto.
In che modo è peggiorata?
- Adeguamenti inferiori al costo della vita: l’adeguamento all’inflazione è stato mantenuto solo per i livelli più bassi (fino a € 2.271,76). Per i redditi più alti l’ammontare viene progressivamente decurtato. Per una pensione lorda superiore a € 2.839 (soglia che più o meno riguarda i lavoratori che escono dal settore bancario) l’adeguamento si riduce al 53% dell’effettivo aumento del costo della vita: come dire che ogni anno avranno qualche problema in più a riempire il carrello della spesa.
La seguente tabella riepiloga le percentuali di effettivo recupero del costo della vita
Questo è il provvedimento più pesante tra quelli adottati dal governo: si tratta di un taglio sulle pensioni di oltre 3,5 miliardi per il solo 2024, interamente a spese dei pensionati, passato totalmente sotto silenzio da parte degli organi di stampa. Si calcola che in 10 anni il risparmio per le casse dello Stato sarà superiore ai 60 miliardi.
Lo ripetiamo: sono soldi che non arriveranno ai pensionati attuali e a quelli che usciranno nel frattempo.
PER CONCLUDERE
Abbiamo un governo privo di visione, che mentre toglie i sussidi ai più poveri va avanti a base di regali per guadagnare voti: taglio tasse alle partite IVA, sconti agli evasori, bonus a pioggia sgravi contributivi a volontà, anche per gli agricoltori e per chiunque possa rivelarsi utile per guadagnare consensi.
Abbiamo parlato di regali, ma in realtà questi favori hanno un costo, e lo paghiamo tutti noi. Ecco perché hanno bisogno di togliere 3 miliardi e mezzo ai pensionati: per premiare chi non paga o per permettere agli imprenditori di pagare la flat tax al 15%. In questo il governo Meloni non si è distaccato dalla pessima tradizione che la politica porta avanti da anni: considerare le pensioni una sorta di bancomat al quale attingere.
Si tratta di un modello economico e sociale che la CGIL rifiuta con forza, e contro il quale siamo più volte scesi in piazza, purtroppo con scarsissimo seguito nel settore bancario.
Speriamo che questi numeri servano a capire quale sia la posta in gioco, e a favorire un risveglio delle coscienze.