I furbetti dell’inflazione: così le banche hanno quasi raddoppiato i profitti grazie ai nostri soldi
Liquidità a costo zero grazie ai nostri conti corrente e maggiori rendimenti dovuti a inflazione e aumento del costo del denaro: è boom di extraprofitti, nel settore bancario, non redistribuiti quasi mai tra i risparmiatori.
Un incendio con un estintore sempre meno efficiente. Si può riassumere così l’aumento dei prezzi che la BCE prova ormai, da oltre un anno, ad attenuare tramite l’aumento dei tassi di interesse. E l’inflazione, parola che ormai avevamo relegato ai ricordi del secolo scorso, è ormai entrata a far parte prepotentemente delle nostre vite. Ce ne rendiamo conto quando andiamo al supermercato o proviamo a sottoscrivere un mutuo o un finanziamento. O quando sospiriamo davanti al conto di un ristorante o di una bolletta, magari arretrata.
Ma per qualcuno l’aumento dei prezzi è stato finora un affare. E se a lungo si è parlato degli extra-profitti dei colossi dell’energia, l’evidenza è che gli utili delle banche, l’anno scorso, sono letteralmente volati. Come? Facendo affari con i nostri risparmi e remunerandoci infinitamente meno di quanto incassato.
I mega-profitti delle banche italiane
A fare luce sui mega-profitti delle banche italiane ci ha pensato ultimamente uno studio della Fisac-Cgil che ha preso in considerazione i sette maggiori gruppi bancari italiani nel corso del 2022. Il loro utili si sono attestati su 13,3 miliardi di euro: l’aumento rispetto al 2021 è del +60,5%. Lo studio evidenzia come questa crescita sia trainata essenzialmente dall’aumento dei margini di interesse (che comprendono i nostri finanziamenti e i nostri mutui) e dai risultati finanziari degli investimenti effettuati. Il tutto mentre i costi rimangono tutto sommato stabili.
“La congiuntura determinata da inflazione e costo del denaro ha generato per le banche forti utili. Abbiamo calcolato, solo guardando ai primi cinque grandi gruppi, che, considerando le operazioni di buyback (riacquisti di azioni proprie ndr), dopo il cambio di politica della Bce post pandemia, la remunerazione totale per gli azionisti, sia diretta che indiretta, è risulta essere pari ad oltre 10,5 miliardi di euro. Per l’intero settore parliamo di più del doppio. Si tratta di una ricchezza che va assolutamente redistribuita, a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori del sistema bancario, e messa a disposizione per gli investimenti a sostegno del sistema paese” sottolinea Susy Esposito, segretaria di Fisac Cgil.
Come si vede gran parte degli utili (circa il 24,5%) sono stati divisi poi con gli azionisti in forma di dividendi: anche in questo caso la remunerazione è stata alta (+46,5%) rispetto al 2021. Quelli che non vedono un euro (o ne vedono molto pochi) sono ovviamente i correntisti e i dipendenti. Se infatti gli utili sono previsti in crescita anche nei prossimi anni, la stessa cosa non si può dire per quello che riguarda i lavoratori del settore.
Il settore bancario è infatti uno di quelli più sottoposto a dinamiche di automazione e digitalizzazione. Tradotto: i dipendenti si sono già ridotti e, tra prepensionamenti e piani di ristrutturazione, tenderanno a assottigliarsi sempre più. E se gli utili non finiscono nelle tasche dei lavoratori e dei correntisti, finiscono indubbiamente nelle tasche dei manager: un CEO guadagna oggi in media come 86 lavoratori del settore. I due top manager di Intesa San Paolo e Unicredit guadagnano qualcosa come 7 milioni e mezzo di euro l’anno.
Ma al di là di tutto questo, la vera domanda è: perché l’inflazione ha favorito i profitti bancari? E cosa c’entrano i nostri risparmi?
Come nascono gli extraprofitti delle banche e cosa c’entra l’inflazione
Il presupposto è che la maggior parte della ricchezza degli italiani è ancora accumulata nel patrimonio immobiliare e nei conti correnti. Nei primi mesi del 2022, i soldi depositati dagli italiani nei conti correnti sfioravano i 1159 miliardi di euro. Parliamo di soldi raccolti dalle banche a costo zero che non fruttano praticamente nulla ai correntisti. E che, in un momento di rialzo dell’inflazione e dei tassi diventano uno strumento importantissimo di profitto.
“L’aumento degli utili delle banche è legato all’aumento dei tassi di interesse: da un lato i prestiti per le imprese e le famiglie sono diventati più onerosi, dall’altro lato una parte importante della raccolta bancaria non ha registrato aumenti significativi – osserva Paolo Canofari, professore Associato in Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali dell’Università Politecnica delle Marche – È inutile osservare che nessuno di fatto va a contrattare nuove condizioni sui conti deposito o conti corrente. Di fatto gran parte della raccolta è rimasta a costo zero a fronte di rendimenti crescenti. Le banche lucrerebbero di meno se gli aumenti andassero di pari passo al costo della raccolta, ma quest’ultimo è aumentato di pochissimo. Del resto i titoli bancari stanno andando da tempo molto bene: è un simbolo della loro attrattività dal punto di vista dei profitti”.
Per rendersi conto di cosa stiamo parlando è sufficiente dare uno sguardo al grafico sotto. Il tasso di interesse dei conti corrente nominali è praticamente negativo se si considerano le spese di gestione. La remunerazione dei conti deposito aumenta, ma si mantiene su cifre abbastanza basse rispetto a quelli applicati sui finanziamenti.
Come si vede chiaramente il tasso di interesse medio chiesto per i finanziamenti (come i mutui o l’acquisto di un’auto) è nettamente superiore a quello offerto come rendimento sui conti deposito. Parliamo di un prodotto finanziario dove mettere da parte somme di denaro (vincolate o meno) con margini di redditività superiore a un comune conto corrente, ma soggetto a un numero di operazioni molto più limitato. Del resto, se è evidente che le banche offrono una serie di prodotti finanziari a rendimenti maggiori, sono ancora oggi i conti correnti e i conti deposito le destinazioni principali dove gli italiani depositano i loro risparmi.
E, al di là degli investimenti più rischiosi e dei finanziamenti, le banche possono utilizzare i soldi dei correntisti in molte operazioni a rischio zero. Potrebbero, in casi limite ad esempio, depositare in maniera “safe” i propri depositi presso la banca centrale, senza rischiare nulla. Il deposit facility rate della BCE ha raggiunto, al momento, il 3,5% di interessi. Ma le opzioni sono molto variegate.
“Le banche possono acquisire anche titoli di stato, per esempio italiani, e avere nel decennale un business del 4/ 5%. Più la Bce alza i tassi più i nuovi titoli diventano redditizi. Parliamo sempre di operazioni a redditività non elevata, ma che possono comunque fruttare se lo confrontiamo con la raccolta a costo zero proveniente dai correntisti” osserva Paolo Canofari.
Il caso della Sylicon Valley Bank e chi prova a “rompere le righe”
Quindi l’inflazione e il rialzo dei tassi è sempre buono per il sistema bancario? Non sempre, come la vicenda della Silycon Valley Bank ci ha dimostrato. Una crisi legata essenzialmente al fatto che, oltre alle difficoltà di tutto il settore tecnologico del post-pandemia, la banca aveva investito in obbligazioni e titoli di stato che si sono svalutati con l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Fed.
Il punto è stato quello di non diversificare gli investimenti e in questo contesto, la consueta “prudenza”, attribuita al sistema bancario italiano potrebbe rivelarsi un punto di forza come osserva Paolo Canofari: “È sostanzialmente un problema di diversificazione degli investimenti, è chiaro che se nella ‘pancia’ hai solo titoli il rischio è più elevato. Le banche italiane non corrono, a mio avviso, questo rischio”. Ma la gallina dalle uova d’oro costituita dagli alti tassi non può durare all’infinito: “In generale l’aumento dei tassi può generare sul lungo periodo instabilità finanziaria. Non sappiamo per quanto la BCE aumenterà i tassi, ma non potrà certo all’infinito. Se un domani le imprese o i risparmiatori non riuscissero a pagare più i finanziamenti si innescherebbe una spirale recessiva che colpirebbe anche gli istituti di credito. Sul lungo termine, sia l’inflazione, sia l’aumento del costo del denaro, non conviene a nessuno” conclude Canofari.
Per il momento però conviene ancora, e come spesso accade, conviene alla fascia più ricca del Paese: “La remunerazione dei depositi non sta andando sicuramente di pari passo con l’andamento dell’inflazione – osserva Susy Esposito, segretaria generale di Fisac Cgil – d’altronde la stessa raccolta si sta restringendo, anche in ragione di questo disallineamento. La verità è che le persone stanno perdendo potere di acquisto, mentre le banche stanno generando attivi perché c’è quella parte di patrimonio di ricchezze concentrate che si difende dall’inflazione. Essendo il nostro un paese diseguale, i ricchi e i ricchissimi garantiscono utili alle banche attraverso la gestione del loro patrimonio”
E il punto è che sembra esserci una sorta di cartello tra le grandi banche italiane per la concessione di tassi di interesse, mutui e finanziamenti: una dinamica evidenziata da uno studio di Unimpresa. E a provare a sparigliare le carte ci sono le nuove banche on-line. Un segmento momentaneamente marginale, ma destinato a crescere rapidamente, anche grazie a una redistribuzione degli utili più equa e un rendimento maggiore dei tassi di interesse.
Del resto basta confrontare le migliori offerte sui conti deposito on-line per trovarci di fronte a una platea di istituti giovani che operano quasi esclusivamente nel digitale come: Illimity bank, Cherry Bank, Banca Progetto, Banca Aidexa e molti altri. In molti di questi casi i rendimenti si attestano sul 4% annuo con una remunerazione per i correntisti maggiormente adeguata ai profitti. Segno che il digitale potrebbe portare dei sostanziali cambiamenti anche in uno dei settori, da sempre, più restio alla concorrenza e al cambiamento.
Fonte: Today.it