Bonus mamme: ingannevole e iniquo. Ecco perché


Parte il “bonus mamme” previsto dalla legge di bilancio 2024. La misura, che si applica per tre anni fino al 2026, consiste nell’esonero contributivo fino ad un massimo di 3mila euro annui (250 euro al mese), per le lavoratrici che hanno almeno tre figli a carico e il più piccolo sotto i 18 anni. Per quest’anno, in via sperimentale, l’esonero contributivo è attribuito anche alle lavoratrici con due figli a carico e il più piccolo sotto i 10 anni. Ma per la Cgil Abruzzo Molise «l’agevolazione è solo uno specchietto per le allodole: esclude le lavoratrici precarie e cresce d’importo con l’aumentare del reddito. Un paradosso». A conti fatti, il contributo pieno previsto dal governo andrà solo alle mamme lavoratrici con redditi superiori a euro 2.692 euro mensili. Vediamo perché è così.
Partendo dal presupposto che «più che di bonus una tantum che variano di anno in anno c’è bisogno di misure strutturali di sostegno alla genitorialità», la Cgil fa i conti in tasca alle mamme per capire quanto percepiranno realmente.
«La legge di bilancio 2024 prevede l’esonero della contribuzione previdenziale che generalmente ammonta al 9,19% della retribuzione, fino a un massimo di 3.000 euro annui da riparametrare su base mensile, per le lavoratrici che hanno almeno tre figli», spiegano Carmine Ranieri, segretario generale Cgil Abruzzo Molise e Alessandra Tersigni, segretaria Politiche di genere, «l’agevolazione riguarda tutte le dipendenti del settore pubblico e privato (anche agricolo, in somministrazione e in apprendistato) con contratto a tempo indeterminato. Sono escluse, invece, le lavoratrici domestiche. Dobbiamo, innanzitutto, considerare che dal bonus sono escluse tutte le lavoratrici precarie e quelle autonome: una scelta totalmente insensata se pensiamo che proprio le lavoratrici più fragili dovrebbero ottenere la maggior tutela».
Una seconda considerazione viene espressa sullo strumento utilizzato per il calcolo del bonus «che consiste in un esonero dei contributi previdenziali. Pertanto», dicono Ranieri e Tersigni, «all’aumentare del reddito della lavoratrice aumenta anche l’importo del sostegno. Ma la misura dovrebbe operare esattamente al contrario e aiutare le mamme con redditi più bassi. La vera beffa del Governo Meloni è però rappresentata dal fatto che le mamme che decideranno di richiedere il bonus perderanno l’agevolazione accordata alla generalità dei lavoratori dipendenti relativa all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, il cosiddetto taglio del cuneo contributivo. Dunque, la scelta del bonus mamma fa perdere l’analogo taglio contributivo già percepito».
In particolare, l’esonero contributivo incide nella misura del 7% fino ad un reddito mensile massimo di 1.923 euro e del 6% fino a 2.692 euro. «Tirando le somme», spiega la Cgil, «ad usufruire in maniera piena del bonus mamme saranno soltanto le lavoratrici che percepiscono un reddito mensile superiore ad euro 2.692 al mese». Come si evince anche dalla tabella le lavoratrici madri con una retribuzione media di 700 euro avranno, a fronte di un bonus teorico di 64,33 euro, un’agevolazione reale di 15,33 euro considerando i 49 euro di esonero contributivo. E così, a salire: con 1.100 euro di retribuzione il bonus spettante è di 101,09 euro, quello reale di 24,09; con 1.600 euro spettano 147,04 euro ma se ne otterranno 35,04. Con 2mila euro di stipendio, a fronte di un bonus di 183 euro, le lavoratrici ne percepiranno 63 fino ad arrivare a 2.692 euro di stipendio: in tal caso il bonus è di 247 euro, ma in busta paga ne arriveranno 85,48. Sopra tale cifra il bonus viene percepito integralmente: 250 euro al mese.
«Per poter accedere al bonus le mamme lavoratrici devono, infatti, comunicare al datore di lavoro la volontà di avvalersi dell’esonero dei contributi previdenziali», spiega la Cgil, «dai calcoli effettuati lo sgravio dovrebbe interessare solo il 6% delle lavoratrici. Una platea volutamente ridotta, che non considera le lavoratrici con un solo figlio persino nei casi in cui questo sia affetto da disabilità. Paradossalmente del bonus mamme beneficeranno nella sua totalità le lavoratrici con stipendi medio alti, le altre solo in misura irrisoria. Più volte abbiamo espresso un giudizio critico sulla misura che, ancora una volta, conferma l’incapacità di mettere in campo un intervento ampio e strutturato nel tempo, che affronti con serietà ed efficacia i problemi del divario retributivo di genere e del calo della natalità», affermano Ranieri e Tersigni che criticano «le scelte compiute dal Governo in tema di lavoro. Scelte», dicono, «che continuano ad essere condizionate negativamente da coperture limitate e insufficienti. Una serie di provvedimenti tutti nel segno dell’attivazione della sola leva economica e tutti con caratteristiche che, lungi dall’essere strutturali, ci riportano invece indietro alla stagione dei bonus che l’assegno unico e universale per i figli aveva tentato di smantellare, nell’intento di offrire alle famiglie strumenti di carattere non temporaneo e tanto più consistenti quanto peggiore fosse la condizione economica del nucleo familiare».
Articolo di Monica Pelliccione su Il Centro del 7 febbraio 2024
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