Banche e assicurazioni: la morale non conta più?


L’articolo che segue è stato pubblicato sul sito del Fatto Quotidiano. Rappresenta il punto di vista di Vincenzo imperatore, giornalista e saggista che collabora con diversi organi d’informazione.
La lettura è utile per renderci conto di come dall’esterno noi e le nostre aziende possiamo essere percepiti (ed il discorso può essere esteso anche alle assicurazioni); lascia tuttavia molto perplessi il pulpito da cui arriva la predica.

Vincenzo Imperatore è stato per 22 anni un manager del Credito Italiano prima, di Unicredit poi. Come afferma lui stesso in questa intervista, ha incarnato per anni quanto di peggio il management degli istituti di credito possa rappresentare, aizzando quotidianamente i suoi collaboratori a fare soldi in tutti i modi, spingendoli a rifilare spazzatura ai clienti“. Poi, dopo anni di ricchissimi stipendi e premi oltre a benefit di varia natura, l’improvvisa conversione sulla via di Damasco e la pubblicazione di libri denuncia dai titoli estremamente espliciti: “Io so e ho le prove”, “io vi accuso”, “Sacco bancario”.
Volumi in cui molto spesso attacca pesantemente gli stessi collaboratori che fino a poco tempo prima aveva spinto in tutti i modi (non necessariamente corretti…) ad ottenere risultati che  assicurassero a lui i ricchi bonus annuali.
Oggi Vincenzo Imperatore si guadagna da vivere facendo consulenza a beneficio delle imprese, alle quali insegna come difendersi dalle banche: attività presumibilmente ben retribuita, tanto da lasciare qualche dubbio sulla genuinità della sua “conversione”, che in realtà potrebbe rappresentare un modo per fare più soldi di prima con molta meno pressione.

Al suo articolo ha risposto in modo molto forte la Fisac dell’Emilia Romagna.

Fatta questa lunga ma doverosa premessa, consigliamo comunque la lettura dell’articolo, perché rappresenta un valido spunto su cui riflettere, oltre a dimostrare che i timori delle OO.SS. in materia di pressioni commerciali sono tutt’altro che infondati; timori che hanno portato alla firma dell’ accordo sulle pressioni commerciali con l’ABI, un accordo formalmente recepito dalla maggiori aziende creditizie ma di fatto quasi completamente disatteso.

Due le domande che la lettura ci ha suscitato.

La prima: se questa è l’immagine che stanno trasmettendo all’esterno, le nostre aziende sono convinte di voler proseguire su questa strada?

La seconda: l’articolo dipinge un quadro impietoso dei dipendenti del credito, con una generalizzazione che non si può chiaramente accettare. Ma possiamo, in tutta sincerità, affermare che comportamenti come quelli riportati siano totalmente estranei al nostro vissuto quotidiano?

 

BANCHE, LA MORALE NON CONTA PIU’. L’ESSENZIALE E’ FREGARE IL CLIENTE (E SALVARE LA FACCIA)

Siamo in clima natalizio e può sembrare demagogico. Ma forse un appello alla sensibilità in questi giorni può avere un effetto diverso. Ci provo!

Osservo i comportamenti di banchieri e bancari da oltre un quarto di secolo e, al netto di casi straordinari e che comunque rappresentano una minoranza, i banchieri e i bancari agiscono sulla base di una cognizione molto originale delle leggi e della moralità. I banchieri – le vicende degli ultimi anni lo hanno solo confermato – hanno manifestato comportamenti immorali; ma i bancari sono sostanzialmente amorali. Una cosa completamente diversa. Una persona immorale conosce una morale ma non la rispetta, mentre l’amorale non ha proprio una morale o ha una visione molto personalizzata della morale.

I bancari si domandano sempre se ciò che stanno facendo è legale e, se lo è, non c’è ulteriore discussione. Per una decisione amorale concetti come giusto o ingiusto, buono o malvagio semplicemente non entrano nel processo di valutazione. Per fare un esempio, Gianni Zonin è immorale perché ha rotto deliberatamente le regole e ha sfidato la legge continuamente.

Invece la domanda che si pongono sempre i bancari è: come è possibile, all’interno di quelle regole, fregare il sistema e quindi il cliente?
Prima del 2008 i bancari non si sono mai domandati se i prodotti tossici fossero buoni per i clienti o per l’economia o persino per le loro banche che avrebbero potuto licenziarli in un lampo. La domanda del bancario si basa solo sulla verifica del fatto che qualcosa sia proibito o permesso. E, se lo è, il solo problema rimasto riguarda il rischio di reputazione.

“Salvare la faccia” è un’altra espressione che i bancari usano: essere bravi e decenti cittadini a casa è ok, ma al lavoro vendere prodotti molto profittevoli a qualcuno che chiaramente non è in grado di sapere che cosa stia comprando non è un problema. Il più grande complimento che si può avere nel mondo bancario è quello di definire qualcuno “allineato e professional“. Significa che non ti lasci influenzare dalle emozioni, per non parlare dei valori morali che sono lasciati totalmente a casa. La parola “etica” arriva solo in combinazione con “lavoro”, con riferimento all’assoluta obbedienza al proprio capo.

Ma se c’è una cosa che più di ogni altra rivela l’amoralità dei bancari è il loro linguaggio. Utilizzano termini che sembrano costruiti per mettere da parte qualsiasi possibilità di una discussione etica. Quando parlano della vendita di prodotti per aggirare le leggi fiscali ed aiutare le grandi imprese e le persone fisiche ricche a evadere le tasse, i bancari usano espressioni come “anonimato nei confronti del fisco”. I casi dimostrati di frode o abuso diventano “errori di vendita” e approfittarsi delle incoerenze tra i sistemi di regolazione è “un arbitraggio tra regole”.
Se lavori per una banca non ti domandi se una proposta è giusta o sbagliata. Guardi se ti fa fare profitti e se è in regola con la legge. Il linguaggio della banca è inteso a superare gli ostacoli dell’ufficio legale, della compliance, del risk management, dei revisori interni ed esterni e delle autorità di vigilanza. Una volta che si mette un segno a queste caselle e sono considerate assolte non c’è più nulla che ti possa fermare.

Le banche hanno immense strutture con decine di migliaia di persone nei controlli interni, come l’ispettorato e la compliance. A parte le inevitabili mele marce e quelli beccati negli scandali degli ultimi anni, la maggior parte dei bancari sembra preoccupata solo di non varcare le regole. E così il cliché del banchiere cattivo e immorale non tiene più. Occorre intervenire prima che sia troppo tardi, perché la crisi può avere causato una diffusa richiesta da parte dei cittadini di una maggiore consapevolezza. Ma la maggior parte delle mie quotidiane osservazioni confermano che nelle banche siamo al punto di prima. Ma l’ora X si avvicina!

 

Fonte: www.ilfattoquotidiano.it

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