Assegni privi della clausola “non trasferibile”


Negli ultimi mesi, numerosi lavoratori di banca hanno ricevuto comunicazione con la quale si contestava l’omessa segnalazione di un’operazione di versamento di un assegno d’importo superiore a 1000 euro, al quale non era stata apposta la dicitura “non trasferibile”.

Tali comunicazioni provengono dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, tramite le Ragionerie Territoriali dello Stato competenti dal territorio.

Si tratta di comunicazioni non omogenee: in qualche caso sono state notificate al solo cassiere che ha eseguito l’operazione; in altri casi sono state notificate al cassiere ed al direttore della filiale quale legale rappresentante; in altri casi ancora sono state notificate al cassiere ed alla banca.

Tutte le comunicazioni contengono sempre due indicazioni:

  • La possibilità di estinguere il procedimento con il pagamento di un’oblazione pari a un terzo del massimo oppure al doppio del minimo;
  • La possibilità di inviare entro 30 giorni una memoria difensiva, nella quale è anche possibile richiedere di esporre a voce le proprie difese.

 

Normativa sanzionatoria.

La normativa di riferimento è il cosiddetto “decreto antiriciclaggio” – o meglio, con dizione più precisa – il decreto legislativo n. 231/2007 (art. 49 commi 4 e 5; art. 51 comma 1; art. 63 comma 5), recentemente modificato col decreto legislativo n. 90/2017.

La modifica del maggio 2017 – fra l’altro – ha inasprito pesantemente le sanzioni, che per le mancate segnalazioni di assegni trasferibili d’importo superiore a 1000 euro sono ora pari a un minimo di 3.000 euro e ad un massimo di 15.000 euro.

Prima della modifica del 2017, le sanzioni per tale irregolarità (riportate nel vecchio art. 58) non erano in cifra fissa, ma in percentuale e andavano da un minimo dell’1% ed un massimo del 40% dell’importo dell’assegno.

Facciamo ora l’esempio di un assegno irregolare di 2.000 euro:

  • con le vecchie sanzioni, l’oblazione poteva avvenire con il pagamento di 40 euro (il doppio della sanzione minima, pari al 2%);
  • con le sanzioni introdotte nel 2017, l’oblazione può avvenire con il pagamento di 5000 euro (un terzo della sanzione massima, più favorevole del doppio della sanzione minima);

Questo significa – nell’esempio di cui sopra – che le sanzioni sono aumentate di oltre 100 volte rispetto all’anno passato.

 

La scelta fra oblazione e difesa.

E’ una scelta che spetta esclusivamente al lavoratore; i casi di pagamento dell’oblazione sono stati finora in numero limitato, a causa dell’importo elevato che viene richiesto, come già evidenziato pari a euro 5.000.

La presentazione della memoria difensiva è ovviamente finalizzata ad ottenere l’annullamento della sanzione o almeno una sanzione ridotta rispetto a quella prevista per l’oblazione.

Qualora si scelga di impostare una difesa, il Ministero avvia una procedura amministrativa, che si concluderà con un decreto che stabilirà la sanzione definitiva piuttosto che l’annullamento della sanzione.

Contro tale decreto sarà possibile l’impugnazione davanti al Tribunale civile.

 

Possibili linee difensive.

Occorre fare sin dall’inizio una precisazione di assoluta importanza: ogni contestazione formulata dal Ministero rappresenta un caso a sé ed ogni singolo caso ha le proprie peculiarità.

Ne consegue che le difese scritte piuttosto che orali devono essere impostate caso per caso, non può esistere un modulo standard.

Fatta questa precisazione, nei diversi casi che sono stati esaminati, si possono individuare alcuni elementi che appaiono come elementi di difesa.

Si possono formulare le seguenti difese in fatto.

  • La difesa più semplice, ma anche la prima da prospettare, è legata alle modalità con cui si sono svolti i fatti.

In diversi casi, l’assegno irregolare era inserito in un’operazione di versamento di numerosi assegni – a volte parecchie decine – effettuati da società della più diversa natura.

Il lavoratore pone sempre attenzione nel valutare la correttezza formale degli assegni presentati allo sportello, ma ovviamente l’attenzione è meno sollecitata quando il cliente è una società conosciuta e che si presenta frequentemente allo sportello per effettuare il versamento contemporaneo di molti assegni. Inoltre, in tali casi, è conseguente ritenere che ove vi fossero state irregolarità nell’assegno, lo stesso sarebbe stato bloccato in precedenza.

  • In alcuni casi, l’assegno è stato versato in un bancomat. Usualmente, dopo che il cliente ha digitato l’importo dell’assegno e se il titolo supera la cifra di 1000 euro, il bancomat ricorda al cliente stesso di verificare se vi sia la clausola “non trasferibile”.

La presenza di tutta una serie di controlli che l’apparecchiatura suggerisce al cliente in fase di versamento, ha abbassato la soglia di attenzione dell’addetto che ha poi accreditato l’assegno sul conto corrente.

  • I carnet di assegni stampati dalla generalità delle banche recano da parecchi anni – quanto meno dal 2011 – la clausola “non trasferibile” già prestampata. A distanza di anni gli assegni privi di tale clausola sono ormai estremamente rari ed anche ciò ha contribuito ad abbassare la soglia di attenzione del lavoratore.
  • In alcuni casi, l’assegno recava l’avvertenza stampata dell’obbligo della clausola “non trasferibile”. Questa dicitura è verosimilmente stata fraintesa dal correntista ed anche dal lavoratore, che hanno ritenuto che la stessa potesse essere sufficiente per adempiere agli obblighi di legge.
  • Una circostanza che è emersa in tutti i casi esaminati ed è assolutamente importante sottolineare, è che l’assegno non recava alcuna girata, era indicato solo il beneficiario, il quale a sua volta ha versato il titolo sul proprio conto corrente.

Ne consegue che il titolo non ha mai circolato, l’apposizione o meno della clausola “non trasferibile” è stata irrilevante nel caso concreto e la finalità della legge – impedire la circolazione di assegni d’importo superiore a 1000 euro – è stata rispettata.

Inoltre, si possono formulare alcune difese in diritto.

  • Il procedimento sanzionatorio è quello previsto dalla legge 689/1981, in particolare l’art. 14. In forza di tale norma, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati al massimo entro 90 giorni.

La data di versamento dell’assegno è nota ed è verosimile che la banca sulla quale era stato tratto l’assegno abbia comunicato l’irregolarità nel rispetto dei termini di legge, ossia nei termini di 30 giorni come previsto dall’art. 51 del decreto legislativo 231/2007.

Occorre accertare se da quel momento e sino al momento in cui sono state chieste informazioni alla Banca che ha accettato il versamento dell’assegno sia trascorso un termine superiore o meno ai 90 giorni concessi per la notifica dell’infrazione.

Se la notifica è avvenuta dopo tale termine, è tardiva, con la conseguente decadenza della facoltà d’imporre sanzioni.

  • Inoltre, occorre eccepire che nell’imposizione della sanzione non si è tenuto in alcun conto della tenuità del fatto oggettivo e dell’elemento soggettivo di colpa lieve.
  • Infine, si può altresì riflettere su quanto sia eccessiva la sanzione ed abnorme rispetto al fatto, tale da sollecitare una verifica della correttezza costituzionale della norma.

Nel caso in cui la comunicazione sia inviata ad un direttore di filiale, le difese in fatto sono molto più semplici.

  • E’ sufficiente evidenziare che il lavoratore svolge l’attività di direttore di filiale; l’operazione è stata effettuata da uno dei dipendenti addetti alla cassa della filiale stessa.

Ne consegue che l’interessato è del tutto estraneo all’operazione, in quanto fra le mansioni di un direttore di filiale non rientra né l’operatività di sportello – comprendente i versamenti di assegni e contanti – né la verifica delle singole operazioni eseguite allo sportello.

Per quanto ovvio, la lettera con le deduzioni difensive deve essere sempre firmata dal lavoratore interessato e non dal sindacato.

 

Questioni sindacali.

  • Spesso il lavoratore interessato e la banca sono obbligati in solido nel pagamento della sanzione.

E necessario stabilire un contatto sindacale con la banca per cercare di capire quali siano le intenzioni della stessa in ordine al pagamento dell’oblazione piuttosto che all’invio di una memoria difensiva; alla possibilità per il lavoratore di unirsi alle difese della banca; all’intenzione di avviare un procedimento disciplinare contro il lavoratore; all’intenzione di rivalersi sul lavoratore per la somma pagata a titolo di oblazione.

  • Il colloquio presso gli uffici ministeriali avviene nell’ambito di un procedimento amministrativo, non ha alcuna attinenza con il procedimento disciplinare previsto dalla legge n. 300/1970.

Ne consegue, che il sindacalista non ha diritto di presenziare al colloquio.

  • In alcuni casi, il funzionario ministeriale ha concesso al sindacalista di affiancare il lavoratore durante il colloquio. E’ necessario valutare con la massima attenzione le eventuali affermazioni del sindacalista durante il colloquio e che verranno verbalizzate. Si tratta di un colloquio con un funzionario di un’Amministrazione dello Stato, che ha una posizione assai diversa rispetto a quella di un dirigente di un’azienda privata, come sono le banche.  E le affermazioni del sindacalista entrano nell’ambito di un procedimento amministrativo.

 

Alberto Massaia e Corinna Mangogna

 

Come FISAC L’Aquila ci eravamo già occupati di questo argomento. 

https://www.fisaccgilaq.it/banche/assegni-occhio-alla-clausola.html

 

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