Si sblocca il bonus mamme. A chi spetta e in cosa consiste. E perché ci lascia perplessi.

Dopo vari intoppi nell’introduzione dello sgravio per le lavoratrici madri, in ultimo il mancato arrivo di una circolare Inps, ora il documento necessario è stato emanato.
L’ente previdenziale giovedì 1 febbraio ha pubblicato la circolare per rendere operativo il cosiddetto “bonus mamme” previsto dalla legge di Bilancio, che in via sperimentale per il 2024 prevede l’esonero contributivo fino a 3mila euro per le lavoratrici madri di due figli fino al decimo anno del più piccolo. Il ritardo nell’emanazione è stato provocato dalla necessità di alcune verifiche sulla base della normativa sulla privacy, per quanto riguarda l’opportunità di valutare un rapporto più diretto con le aziende accedendo ai codici fiscali dei dipendenti.

Dopo l’approfondimento sulla gestione del trattamento dei dati e un confronto con il Ministero del Lavoro, l’istituto ha quindi lavorato per la sburocratizzazione delle procedure: per agevolare l’accesso alla misura, si legge nella circolare, le lavoratrici assunte a tempo indeterminato possono comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersi dell’esonero in argomento, rendendo noti al medesimo datore di lavoro il numero dei figli e i codici fiscali di due o tre figli. Con la comunicazione dei dati dal datore di lavoro all’INPS e i successivi controlli scatterà l’erogazione del bonus. La lavoratrice può anche comunicare direttamente all’Istituto le informazioni relative ai codici fiscali dei figli.

Il bonus era previsto già dal 1 gennaio, sebbene la norma sia stata approvata il 30 dicembre. A gennaio dunque le lavoratrici non hanno ricevuto in busta paga l’importo relativo, che arriva a un massimo di 250 euro al mese. Chi ne aveva diritto già dal primo mese dell’anno recupererà l’importo dovuto.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 

IN COSA CONSISTE IL BONUS?

Tra le misure dedicate alla famiglia stanziate dal governo per il 2024 c’è anche il cosiddetto “bonus mamme“. Si tratta, più correttamente, di uno sconto totale – fino a 3mila euro annui – sui contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri dal secondo figlio in poi.

Il bonus mamme rappresenta una decontribuzione del 9,19% dello stipendio complessivo, corrispondente alla quota di contributi che la madre lavoratrice dovrebbe pagare per il contributo IVS nel settore privato e il contributo FAP nel settore pubblico.

Lo sconto viene riconosciuto alle mamme lavoratrici con almeno due figli, che sono dipendenti pubbliche o private e che sono titolari di contratto a tempo indeterminato (anche part-time).

Dal bonus sono così escluse le madri di un solo figlio (anche se disabile), le lavoratrici domestiche, le pensionate, le lavoratrici a tempo determinato, le libere professioniste, le disoccupate e anche le collaboratrici occasionali.

La durata del beneficio varia in base al numero di figli e alla loro età: per le madri con due figli, l’agevolazione spetta fino al compimento dei 10 anni da parte del figlio più piccolo e solo per il periodo di paga dall’1 gennaio al 31 dicembre 2024.

Per le mamme con tre o più figli, invece, il beneficio vale dal 2024 al 2026 fino a quando il figlio più piccolo raggiunge i 18 anni.

Si ricorda, infine, che tra le altre misure in sostegno della famiglia per il 2024 ci sono anche il mese di congedo parentale retribuito all’80% per i genitori e un ulteriore mese utilizzabile dalla madre o dal padre entro i 6 anni di vita del figlio, retribuito al 60%. È stato inoltre incrementato il fondo per gli asili nido a 240 milioni di euro.

Fonte: tg24.sky.it


LE CRITICITÀ 

LA MANCANZA DI COPERTURE

Dare un sostegno economico alle famiglie è sicuramente una decisione positiva. Ma se, come ha detto la Meloni, lo Stato paga i contributi previdenziali alle mamme per premiare il loro “importante contributo alla società”, questo vuol dire andare ad accollare ulteriori debiti all’INPS, che finiremo per pagare tutti sotto forma di tagli alle pensioni o aumenti dell’età pensionabile.

Se si vuole dare un sostegno alle famiglie bisogna prendere i soldi dove stanno: cioè nelle tasche degli evasori, che invece il governo corteggia in tutti i modi.

L’EFFETTIVA UTILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

La domanda che dovremmo porci è se questo bonus porterà un aumento delle nascite. Anche se il governo rifiuta di ammetterlo, il motivo del calo demografico è da ricercarsi nella precarietà e negli stipendi bassi: come può una coppia pensare di avere un figlio se ha grosse difficoltà a mettere un pasto in tavola?

Il bonus sembra andare in direzione opposta rispetto a questi problemi.
Vale solo per le lavoratrici a tempo indeterminato, nonostante le più deboli sul mercato del lavoro siano ovviamente le precarie, e riguarda una piccola minoranza delle occupate che in Italia sono al momento oltre 10 milioni. Stando alla relazione tecnica della legge di Bilancio le dipendenti private stabili con tre o più figli sono solo 110 mila. Quelle con due figli di cui uno sotto i 10 anni sono 569 mila.
Le lavoratrici con redditi sotto i 35 mila euro, va ricordato, già godono dell’esonero parziale del cuneo fiscale previsto per tutti i dipendenti, e quindi beneficeranno solo in parte del bonus.

MOSSA ELETTORALE?

Lo sgravio è di un solo anno per chi ha due figli, tre anni per le mamme che ne hanno tre o più. Sicuramente una durata insufficiente a spingere una coppia a fare un figlio in più. Volendo pensare male, non possiamo fare a meno di notare che viene varato nell’anno in cui si svolgono le elezioni europee.




Quel pasticciaccio dell’Isee

Nel 2024 bisognerà richiederlo due volte?


Era già accaduto con la tassa sugli extraprofitti delle banche: dichiarazioni roboanti del Governo, poi non se n’è fatto più nulla.

Ora un nuovo caso rischia di evidenziare la differenza tra gli annunci a reti unificate e quanto Meloni e i suoi ministri riescano a mettere effettivamente in campo. Parliamo delle modifiche all’Isee, previste dalla Legge di Bilancio 2024.

La Legge 30 dicembre 2023 n.213 prevedeva infatti che da quest’anno l’Isee non dovesse più riportare l’ammontare dei titoli di Stato e dei Buoni Postali, fino ad un importo di 50mila euro: una norma che da un lato lisciava il pelo a chi, disponendo di questi risparmi, veniva escluso dai bonus che ogni tanto vengono “elargiti” dalla politica, dall’altro incoraggiava i risparmiatori a preferire titoli di Stato ad altri investimenti.

Ancora una volta sembra che la realtà sia destinata a rivelarsi differente rispetto a quanto promesso.

Con il messaggio 165 del 12/1/2024 l’INPS precisa che – almeno per ora – nulla è cambiato. Il motivo? La legge c’è, i titoli sui giornali ci sono stati, ma…

“L’entrata in vigore di questa disposizione non è immediata, essendo subordinata all’approvazione delle modifiche al regolamento sulla disciplina dell’ISEE. Resta pertanto immutata la disciplina ISEE relativa al patrimonio mobiliare”.

In parole povere: la legge ci sarebbe, ma se non cambiano le istruzioni operative l’Isee continuerà a riportare titoli di Stato e depositi postali.

Cosa succederà adesso? Difficile dirlo. La situazione potrebbe restare invariata, e quindi ci ritroveremmo di fronte all’ennesimo annuncio a vuoto. Almeno fino a quando il Governo rimedierà alla svista, ma al momento non possiamo dire quando questo accadrà.

Quindi cosa fare? Le prime scadenze incombono. Per l’Assegno Unico è necessario aggiornare l’Isee, e bisogna farlo entro la fine di febbraio. Questo significa che per il momento va richiesto. Quando (e se) il pasticciaccio dell’Isee sarà stato risolto, bisognerà effettuare una nuova richiesta.

 

 

 




Rapporto Inps, un operaio vive 5 anni meno di un dirigente, dimissioni volontarie in aumento

Un operaio ha un’aspettativa di vita di 5 anni inferiore a quella di un dirigente. A dirlo è il rapporto annuale dell’Inps, presentato mercoledì 13 settembre alla Camera dei deputati. «Un ex-lavoratore dipendente, con un reddito coniugale nella fascia più bassa della distribuzione, ha un’aspettativa di vita a 67 anni, quasi 5 anni inferiore rispetto a quella di un ex-contribuente al Fondo Inpdai», il Fondo previdenziale dei lavoratori dirigenti, o un ex contribuente volo o telefonici, «con reddito nella fascia più alta della distribuzione. Tali differenze tra le donne sono meno pronunciate, ma comunque rilevanti», spiega l’Istituto nel documento.

«La presenza di differenze così significative è problematica dal punto di vista dell’equità e anche della solidarietà in quanto l’attuale sistema previdenziale applica al montante contributivo un tasso di trasformazione indifferenziato, che presuppone speranza di vita indifferenziata», spiega il rapporto. L’aspettativa di vita varia in modo significativo da Nord a Sud: «Un residente in Campania nel primo quinto della distribuzione del reddito ha una speranza di vita di quasi 4 anni inferiore ad una residente in Trentino-Alto Adige con reddito nel quinto più alto».

Dimissioni volontarie in aumento

Nel 2022 l’input complessivo di lavoro, misurato in settimane, è risultato del 4,1% più alto di quello del 2019 mentre il monte dei redditi da lavoro e delle retribuzioni, corrispondente all’imponibile previdenziale, si è avvicinato ai 650 miliardi di euro, con un aumento dell’8% rispetto al 2019. «La temuta grande ondata di licenziamenti post pandemia – ha spiegato la commissaria dell’Inps, Micaela Geleranon si è verificata e la Naspi, così come gli altri ammortizzatori sociali, quali la malattia e la Cassa integrazione guadagni, sono tornati a svolgere un ruolo ordinario di supporto del lavoratore in periodi temporanei di inattività». Gelera segnala l’aumento delle dimissioni volontarie (+26% rispetto al 2019) ma «non è un ritiro dal mercato del lavoro – spiega – bensì un’aumentata mobilità, alla ricerca di migliori condizioni».

Occupazione al 61%

L’occupazione in Italia è al massimo storico, il 61%, evidenzia il rapporto, ma permangono alcune criticità derivanti dall’invecchiamento della popolazione, dal persistente divario territoriale tra Nord e Sud, nonché dalla divaricazione tra lavoro dipendente, in aumento, e lavoro autonomo, in diminuzione. Inoltre, i principali indicatori del mercato del lavoro italiano, seppur migliorati rispetto al passato, rimangono molto al di sotto delle medie dei paesi dell’Unione Europea o di paesi come Francia e Germania.

Pensioni: gli uomini percepiscono il 36% in più delle donne

La spesa per pensioni nel 2022 è stata di 322 miliardi, di questi il 56% è andato agli uomini, che percepiscono assegni del 36% superiori a quelli delle donne, spiega l’Inps. Questo divario è dovuto alle carriere intermittenti delle lavoratrici e alle retribuzioni che per le donne continuano a essere mediamente più basse: 1.932 euro contro 1.416 euro. Nel 2022 le nuove pensioni sono state un milione e mezzo, calo del 3,1%. L’età media di uscita delle donne è superiore a quella degli uomini: 64,7 anni contro 64,2. Nel 2012 era il contrario: 62 anni per gli uomini e 61,3 per le donne.

Gli effetti dell’inflazione su famiglie e pensionati

L’aumento dei prezzi ha inciso sul potere d’acquisto delle famiglie in modo non omogeneo, evidenzia l’Inps, e sulla base dei dati Istat l’inflazione cumulata tra il 2018 e il 2022 sperimentata dalle famiglie del primo quinto della distribuzione della spesa sfiora il 15%, cinque punti percentuali in più dell’inflazione sperimentata dalle famiglie dell’ultimo quinto. Le famiglie più colpite dall’impennata dell’inflazione nel 2022 sono quelle dei pensionati, specialmente quelle appartenenti ai due quinti di spesa più poveri, che perdono tra il 2018 e il 2022 il 10,6% del reddito reale (perdita oltre dieci volte maggiore delle famiglie con solo redditi da lavoro); fortemente colpite risultano anche le famiglie di pensionati dei quinti più ricchi, con una perdita del reddito reale pari al 7,5%.

Fonte: Corriere.it




Il riscatto della laurea in pillole

RISCATTO LAUREA
in pillole

Il riscatto del corso di laurea ti permette di trasformare i tuoi anni di studio universitario in anni contributivi previdenziali.

 

PERCHE’ CHIEDERLO ?

E’ utile ai fini previdenziali sia per raggiungere prima il numero di anni necessari per ottenere la pensione, sia per incrementarne l’ammontare.

 

CHI PUÒ RICHIEDERLO ?

Possono esercitare la facoltà di riscatto tutti coloro che hanno conseguito un titolo di studio universitario, in un periodo scoperto da contribuzione.

Possono riscattare anche gli inoccupati, ossia coloro che non abbiano ancora iniziato l’attività lavorativa e non siano iscritti ad una gestione previdenziale.
La domanda di riscatto della laurea può essere presentata anche dal genitore, soggetto che effettua il pagamento, che potrà fruire della detrazione Irpef del 19% solo se il versamento viene effettuato in favore di un soggetto inoccupato e che risulta fiscalmente a carico.


COSA SI PUÒ RISCATTARE ?

E’ possibile riscattare i periodi corrispondenti alla durata dei corsi legali di studio universitario, finalizzato al conseguimento dei diplomi universitari, dei diplomi di laurea, dei diplomi di specializzazione, di dottorati di ricerca e i diplomi rilasciati dagli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM)
Il periodo di riscatto vale al massimo per la durata legale del corso e dunque gli anni “fuori corso” non sono riscattabili.
Si può richiedere il riscatto di periodi parziali del corso di laurea se non si è interessati al riscatto totale.
Se durante il corso di studio ci sono periodi già coperti da contributi obbligatori, questi non possono essere oggetto di riscatto.


COME SI RISCATTA ?

Versando all’INPS un importo destinato ai contributi previdenziali per gli anni di studio universitario, come se fossero stati invece impiegati al lavoro.
Il versamento dell’importo può anche essere fatto a rate, fino ad un massimo di 120 rate mensili in 10 anni, senza interessi, tramite MAV.
Quando la richiesta di riscatto viene autorizzata, si deve procedere al pagamento entro i termini indicati. In caso contrario la domanda decade.

 

QUANTO COSTA ?

Il costo del riscatto della laurea dipende dalla collocazione del periodo da riscattare e dalle norme che regolano la liquidazione della pensione tramite sistema contributivo o retributivo. Nel sistema contributivo, ovvero per i periodi collocati dal 1° gennaio 1996,(o anche per i periodi antecedenti al 1996 se si accede a pensione da liquidare con il sistema contributivo come opzione donna, computo in gestione separata, totalizzazione) il costo viene calcolato applicando l’aliquota contributiva vigente alla data di presentazione della domanda, alla retribuzione dei 12 mesi precedenti la data di presentazione.
Invece il riscatto c.d. “light” costa per tutti una quota fissa che, per le domande presentate nel 2019 ammontava a 5.240 euro per ogni anno di studio.
Per le domande presentate invece negli anni successivi, l’importo cambia in base al minimale dei commercianti, con un risparmio di più del 50% sul metodo di calcolo normalmente previsto per i lavoratori occupati basato sull’aliquota previdenziale IVS.
Un grande vantaggio del riscatto della laurea è la sua deducibilità dalle tasse, che comporta un grande risparmio fiscale.

 


QUANTO CONVIENE ?

La risposta, come al solito, è: DIPENDE!
Dipende dalla TUA situazione.
Da quando hai iniziato a lavorare, da quanti anni lavori, quanto guadagni e guadagnerai, e quanta voglia di lavorare avrai in futuro. Conviene sempre se stai raggiungendo l’età pensionistica ma non hai ancora maturato almeno 20 anni di contributi oppure se vuoi anticipare di qualche anno la tua pensione.
Ricordiamo infine che i rappresentanti della FISAC-CGIL e le sedi INCA-CGIL presenti su tutto il territorio Nazionale sono a vostra disposizione per consulenze personalizzate.

 

Dipartimento Previdenza Fisac Cgil




Unicredit: accordo uscite sospese e ricambio generazionale

3 - Fisac Cgil

In data odierna le OO.SS. hanno siglato con l’Azienda un’intesa sulle uscite delle/dei 328 lavoratrici/lavoratori di rete sospesi (finestra pensionistica fino al 01/01/2029), di cui all’accordo del 1° dicembre 2022.

Le organizzazioni sindacali dopo una complessa trattativa e grazie ad un lavoro coeso ed unitario hanno ottenuto:

  • l’accoglimento di 328 domande con pensionamento di vecchiaia/anticipata INPS e l’impegno a trattare le ulteriori 610 potenziali uscite sino al 31/12/2029 (decorrenza trattamento pensionistico, c.d. finestra, 01/01/2030);
  • la garanzia di 220 nuove assunzioni da destinare alla rete, più il totale recupero degli eventuali dimissionari (c.d. “turn-over”) in contratto di apprendistato in arco di piano Unlocked fino ad un massimo di ulteriori 108 assunzioni;
  • la disponibilità ad aprire un confronto sul tema delle flessibilità (orari/permessi) per la conciliazione tra vita professionale e vita privata, oltre a diversi aspetti di Welfare.

L’acquisizione del “turn-over” per la sostituzione dei dimissionari in apprendistato rappresenta uno strumento innovativo ed unico nel settore per garantire i livelli occupazionali sanciti dagli accordi sottoscritti.

Per quanto concerne Uni.C.A. ed i nuovi piani sanitari per il biennio 2024-25, abbiamo convenuto con l’azienda di reincontrarci per valutare congiuntamente l’impatto relativo al rinnovo, per ulteriori approfondimenti.

Milano, 09 Giugno 2023

 

Segreterie di Coordinamento Gruppo Unicredit
Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – Unisin

 


ALLEGATI:




INPS: pubblicata la circolare sul mese di congedo parentale all’80%

Congedo parentale, nuove regole per il calcolo dell’indennità: il primo mese verrà retribuito all’80% anziché al 30%. Ecco le istruzioni Inps.


Con la circolare n. 45 pubblicata il 16 maggio 2023 l’Inps rende operativo l’aumento dell’indennità riconosciuta al lavoratore assente per congedo parentale sulla base di quanto disposto dall’articolo 1, comma 359, della legge n. 197 del 2022 (legge di Bilancio 2023).

Dopo mesi di attesa, quindi, i lavoratori che ricorrono al congedo parentale, tanto il padre quanto la madre, possono finalmente godere dell’aumento di stipendio in quanto l’indennità passa – ma solo per il primo mese di fruizione – dal 30% all’80%.

Ricordiamo che il congedo parentale è quello strumento, facoltativo, che consente ai lavoratori genitori di giustificare la loro assenza nel caso in cui avessero bisogno di dedicarsi ai bisogni familiari, in particolare dei figli di età inferiore ai 12 anni. Il limite è di 10 mesi complessivi, 6 mesi per ogni genitore: tuttavia, solamente 9 mesi sono retribuiti, per un massimo di 6 mesi per ogni genitore. La retribuzione è pari al 30% della retribuzione, ragion per cui nel periodo coperto da congedo parentale lo stipendio percepito si riduce notevolmente.

Ed è proprio per andare incontro alle esigenze del lavoratore, specialmente nei primi anni di vita del figlio, che il governo Meloni ha elevato l’indennità di congedo parentale dal 30% all’80% della retribuzione per la durata massima di un mese di congedo, ma solo per il periodo fino al compimento dei 6 anni del figlio.

A tal proposito, con la circolare in oggetto ne vengono fornite le istruzioni operative di cui vi parleremo in questa guida. Per maggiori informazioni sul congedo parentale, invece, vi rimandiamo a un ulteriore approfondimento.

Chi ha diritto al congedo parentale all’80%

Come spiega l’Inps, la platea dei destinatari riguarda solamente coloro indicati dall’articolo 34 del D.lgs n. 151 del 2001, quindi esclusivamente ai dipendenti. L’aumento non si applica dunque ad altre categorie di lavoratori.

Condizione essenziale per godere di questo aumento stipendio è l’aver terminato il congedo di maternità, o in alternativa di paternità, successivamente al 31 dicembre 2022.

Aumento dell’indennità ma non dei giorni

Come spiegato sopra, la novità introdotta dalla legge di Bilancio 2023 incrementa la retribuzione spettante nel primo mese di congedo parentale, ma non interviene sul limite di giorni a disposizione dei genitori.

Restano salvi, quindi, i seguenti limiti:

  • madre dipendente: 6 mesi, di cui 3 retribuiti;
  • padre dipendente: 6 mesi, di cui 3 retribuiti elevabili a 7 mesi se questo si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi. Il padre può usufruire dei giorni del congedo parentale anche nel periodo in cui la madre usufruisce del congedo di maternità;
  • genitore solo: 11 mesi, limite elevato dal decreto legge sulla conciliazione vita-lavoro in vigore dal 13 agosto 2022;
  • lavoratori iscritti alla gestione separata Inps: 3 mesi entro il 1° anno di vita del figlio;
  • lavoratrici autonome: 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino.

A questi limiti si aggiungono altri 3 mesi indennizzabili, come previsti dal D.lgs n. 105 del 2022, fruibili in alternativa tra i genitori.

Ricapitolando, nei 9 mesi complessivamente retribuiti al 30% ce ne sarà uno solo – il primo mese ovviamente – retribuito all’80%.

Come ne possono fruire i genitori

Il mese indennizzato all’80% va considerato complessivamente per entrambi i genitori. Può essere fruito in modalità ripartita tra gli stessi, oppure da un solo genitore. Si ricorda che, come previsto dall’articolo 34 del D.lgs n. 151 del 2001, non ci sono impedimenti per i genitori di fruire dei permessi nello stesso giorno e per lo stesso figlio.

Come farne domanda

La richiesta, quindi, andrà effettuata secondo i canali – telematici – tradizionali: ad esempio direttamente dal sito dell’Inps attraverso l’apposito servizio (disponibile nell’area personale MyInps), oppure tramite Contact center integrato raggiungibile chiamando il numero verde Inps. In alternativa è possibile rivolgersi all’assistenza di un patronato.

 

Fonte: Money.it




Pensione quota 103, ecco come funziona

Il tetto massimo mensile erogabile nel 2023 sarà di 2.840€ lordi. Rivalutato annualmente durerà sino al raggiungimento dell’età anagrafica di vecchiaia, cioè 67 anni. I chiarimenti in un documento dell’Inps.


Nessuna penalità occulta per chi aderisce alla «Quota 103» avendo maturato un assegno superiore a 2.840€ lordi al mese. All’età di 67 anni, infatti, il pensionato riceverà comunque l’importo della pensione piena, perequata sin dalla decorrenza come se il tetto non avesse mai trovato applicazione. E’ quanto, in sintesi, certifica l’INPS nella Circolare n. 27/2023 nella quale illustra la novella introdotta dall’articolo 1, co. 283 e 284 della legge n. 197/2022 (legge di bilancio 2023).

Pensione «Quota 103»

Si tratta sostanzialmente di un nuovo canale di accesso alla pensione riservato a tutti i lavoratori (dipendenti, anche del pubblico impiego, autonomi, parasubordinati) iscritti a forme di previdenza pubbliche obbligatorie (cioè l’Inps) in possesso di:

  • 62 anni e 41 anni di contributi al 31 dicembre 2022;
  • 62 anni e 41 anni di contributi maturati tra il 1° gennaio 2023 ed il 31 dicembre 2023.

E’ escluso solo il personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico (per i quali, come noto, si applicano requisiti pensionistici diversi).

Finestra mobile

La prestazione è assistita da un meccanismo di differimento nell’erogazione del primo rateo pensionistico (cd. «finestra mobile»). Per i dipendenti e i lavoratori autonomi del settore privato l’attesa è di 3 mesi dalla maturazione dei requisiti; per gli impiegati delle pubbliche amministrazioni l’attesa è di 6 mesi dal perfezionamento dei predetti requisiti.

Se i requisiti sono raggiunti entro il 31 dicembre 2022 la finestra mobile si apre il 1° aprile 2023 per il settore privato; il 1° agosto 2023 per il settore pubblico.  Nel settore scolastico, invece, la finestra coincide sempre con l’inizio dell’anno scolastico (1° settembre 2023). Ciò vale sia se i requisiti sono raggiunti entro il 31 dicembre 2022 o entro il 31 dicembre 2023 (la domanda di cessazione si doveva presentare entro il 28 febbraio 2023).

Tetto all’importo

Anche se il meccanismo di calcolo dell’assegno non subisce penalizzazioni l’importo della pensione «Quota 103» non può eccedere il valore di cinque volte il trattamento minimo Inps stabilito per ciascun anno sino al raggiungimento dell’età di vecchiaia. Cioè sino a 67 anni salvo ulteriori adeguamenti che potrebbero scattare nel biennio 2025-2027. E’, quindi, un tetto mobile aggiornato ogni anno con l’inflazione. Nel 2023 siccome il TM è pari a 567,94€ il tetto è di 2.839,70€ lordi mensili.

Il meccanismo opera nel seguente modo:

  • se la pensione a calcolo è inferiore a 5 volte il TM sia nell’anno di decorrenza che negli anni successivi durante i quali, come noto, la rendita viene adeguata all’inflazione il tetto non scatta mai (ed il pensionato non subisce alcuna riduzione);
  • se la pensione a calcolo è inferiore a 5 volte il TM nell’anno di decorrenza ma negli anni successivi, per effetto delle operazioni di rivalutazione, la rendita splafona le 5 volte il TM l’Inps porrà in pagamento, a decorrere dall’anno in cui la pensione supera il predetto valore, l’importo mensile lordo pari al tetto massimo erogabile;
  • se la pensione a calcolo è superiore a 5 volte il TM dall’anno di decorrenza il tetto massimo erogabile verrà applicato sin dalla decorrenza.

A decorrere dal compimento dei 67 anni l’Inps corrisponderà la pensione lorda mensile piena, maturata all’esito delle rivalutazioni applicate nel tempo, come se il tetto non avesse mai operato. Non si tratta, quindi, di una riliquidazione della pensione (con nuovi parametri e coefficienti).

Cumulo

Essendo una evoluzione della già nota «Quota 100» sono richiamate per intero le relative caratteristiche e condizioni. In particolare chi opta per «Quota 103» incorre sino al compimento del 67° anno di età nel divieto di cumulo con i redditi da lavoro dipendente o autonomo (ad eccezione di quelli di lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000€ annui) ed è soggetto ai medesimi obblighi dichiarativi.

Contribuzione utile

Ai fini del raggiungimento dei 41 anni di contributi è valida la contribuzione a qualsiasi titolo accreditata (obbligatoria, volontaria, da riscatto, figurativa), fermo restando, per i dipendenti del settore privato, il possesso di almeno 35 anni di contribuzione ad esclusione dei periodi di disoccupazione e malattia. E’ possibile, inoltre, cumulare gratuitamente tutti i periodi contributivi presenti nelle gestioni INPS (es. settore pubblico, gestione separata) con la sola eccezione delle casse professionali.

Cristallizzazione

Chi raggiunge i requisiti (62+41) entro il 31 dicembre 2023 mantiene il diritto a poter andare in pensione in un qualsiasi momento successivo (ad esempio nel 2024 o nel 2025), il diritto a pensione resta cristallizzato.

Accompagnamento alla pensione

E’ possibile finalizzare gli assegni straordinari di solidarietà alla maturazione della «Quota 103». La facoltà è subordinata alla presenza di accordi collettivi di livello aziendale o territoriale, sottoscritti con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e depositati entro 30 giorni dalla sottoscrizione, nei quali deve essere stabilito, ai fini del ricambio generazionale, il numero di lavoratori da assumere in sostituzione di coloro che accedono alla prestazione (cd. staffetta intergenerazionale).

L’Inps spiega che, in tal caso, l’assegno copre anche il periodo di finestra mobile (3 mesi) per garantire il sostegno economico senza soluzione di continuità; la contribuzione correlata, invece, è versata sino al raggiungimento dei requisiti minimi richiesti. L’assegno straordinario, pertanto, non può essere erogato oltre il 31 marzo 2024.

TFS/TFR

Per i lavoratori del pubblico impiego rimane il meccanismo di differimento dei termini di pagamento TFS/TFR. I termini non decorrono dalla cessazione del rapporto di lavoro (come di regola accade) ma dal raggiungimento del primo dei seguenti requisiti:

  • 12 mesi dal raggiungimento dall’età per la pensione di vecchiaia: 67 anni;
  • 24 mesi dal raggiungimento del diritto (teorico perché in realtà il rapporto di lavoro cessa) alla pensione anticipata: 41 anni e 10 mesi di contributi (42 anni e 10 mesi di contributi gli uomini).

Qualora nel corso dei 24 mesi, si raggiunge l’età di 67 anni, il periodo di attesa ai fini del pagamento del TFS/TFR potrebbe contrarsi a 12 mesi a partire da tale ultimo evento, qualora questo intervallo di tempo sia più favorevole rispetto al tempo di attesa residuo.

Questa dilazione resta parzialmente compensata dalla possibilità di chiedere un prestito bancario a condizioni agevolate per un importo sino a 45 mila euro (qui i dettagli).

DocumentiCircolare Inps n. 27/2023

 

Fonte: pensionioggi.it

 

 




Hai avuto un bambino quando ancora non lavoravi? Puoi farti accreditare i contributi figurativi

Il periodo di maternità obbligatoria che la legge prevede per le donne lavoratrici, per una durata di 5 mesi complessivi, vale per le donne che hanno rapporti di lavoro in corso al momento della maternità ma anche per chi vive la maternità fuori dal rapporto di lavoro. Queste lavoratrici possono richiedere gratuitamente l’accredito dei contributi figurativi, quantificabili in 22 settimane per ogni figlio.
La richiesta può essere inoltrata anche in caso di adozione.
Le 22 settimane vengono computate sia ai fini dell’anzianità contributiva, sia ai fini del calcolo del montante pensionistico complessivo.

Unico requisito richiesto, l’aver accumulato all’atto della domanda di accredito almeno 5 anni di contribuzione versata in Italia.

La richiesta può essere inoltrata per il tramite dei Patronati Inca Cgil; l’unica documentazione necessaria è un estratto dell’atto di nascita del figlio e i documenti di identità suoi e della richiedente.

 

RISCATTO PERIODO DI ASTENSIONE FACOLTATIVA

In aggiunta all’accreditamento dei contributi per l’astensione obbligatoria, è possibile anche procedere al riscatto del periodo di astensione facoltativa per maternità, qualora la stessa sia avvenuta al di fuori del rapporto di lavoro. Il riscatto può essere esercitato dalla madre o, in caso di figlio nato dopo il 18/12/1977, anche dal padre.
Resta la necessità di aver accumulato almeno 5 anni di contribuzione versata in Italia

In questo caso, tuttavia, l’operazione non è gratuita ma prevede un costo a carico del richiedente. Anche per questo consigliamo di rivolgersi ai nostri Patronati Inca Cgil per farsi effettuare un conteggio e valutare l’effettiva convenienza dell’operazione.

 

 

 




Assegno Unico 2023: non serve nuova domanda ma il rinnovo dell’ISEE

Assegno Unico 2023:
non deve essere inviata una nuova domanda ma va rinnovato l’ISEE.

 

Nel 2023 chi già percepisce dall’INPS l’ASSEGNO UNICO E UNIVERSALE PER I FIGLI A CARICO non dovrà presentare una nuova domanda. L’Istituto proseguirà automaticamente i pagamenti mensili anche dopo febbraio 2023 (data di scadenza della domanda 2022).
L’importo, a partire da marzo, sarà aggiornato in base al nuovo valore ISEE che, tramite il CAAF CGIL, dovrà essere nuovamente calcolato.
Clicca qui per scaricare il messaggio INPS con le modalità operative

Solo coloro che non percepiscono ancora l’ASSEGNO ma ne hanno diritto, dovranno recarsi al Patronato INCA CGIL per l’invio di una nuova domanda. Dovrà recarsi al Patronato INCA anche chi deve aggiornare la propria posizione (ad esempio per nascita di figli, inserimento o variazione di disabilità dei figli, modifica di frequenza scolastica per figli maggiorenni fino a 21 anni, separazione dei genitori, modifica delle modalità di pagamento, ecc.).
Clicca sulla tua regione per trovare il Patronato INCA CGIL più vicino a te in Abruzzo e Molise

Il calcolo dell’ISEE tramite il CAAF CGIL sarà invece necessario per percepire l’importo pieno dell’ASSEGNO. Se l’ISEE non verrà rinnovato entro marzo, a partire da quel mese l’INPS erogherà gli importi minimi previsti. Qualora l’ISEE venisse comunque poi calcolato entro il 30 giugno 2023, l’INPS corrisponderà anche gli arretrati spettanti a partire da marzo.

ISEE 2023: documenti necessari

Nel 2023 l’ISEE riguarderà la situazione reddituale (di tutti i componenti lo stato di famiglia) del 2021, per cui oltre le dichiarazioni dei redditi elaborate nel 2022 (o C.U. 2022) riguardanti il 2021, sono necessari saldo al 31/12/2021 e giacenza media 2021 di c/c, libretti, carte prepagate, ecc. Inoltre occorrono le targhe di auto e moto (con cilindrata superiore a 500) possedute al momento della domanda, situazione catastale dei fabbricati ed eventuali certificazioni di handicap, contratti di affitto e omologa di separazione/divorzio.

Clicca qui per scaricare il volantino completo con la documentazione per l’ISEE 2023

Per calcolare l’ISEE 2023, a partire dal 9 gennaio,
puoi fissare un appuntamento con il CAAF CGIL della tua provincia

Per contattarci clicca qui e trova l’ufficio più vicino a te.


www.caafcgilabruzzo.it                              www.incaabruzzomolise.it




Esonero contributivo del 50% per le mamme lavoratrici che rientrano al lavoro entro il 31/12/22

Le lavoratrici madri che riprendono l’attività entro la fine dell’anno, dopo l’astensione per congedo di maternità potranno godere, per un periodo massimo di un anno, di una riduzione pari al 50% della quota di contribuzione a loro carico, senza alcun effetto negativo dal punto di vista previdenziale. L’INPS, con Circolare n. 102/2022 pubblicata il 19 settembre, dà attuazione alla misura prevista in via sperimentale dalla legge di bilancio 2022. La misura riguarda il settore privato ed è valevole solo per il 2022.

L’esonero contributivo si applica anche nel caso in cui la lavoratrice decida di fruire del congedo di maternità facoltativo (congedo parentale) oppure qualora il rientro avvenga al termine del periodo di interdizione post partum. In ogni caso il rientro deve avvenire entro il 31 dicembre 2022.

La collega non ha necessità di richiedere l’esenzione, che viene riconosciuta direttamente dal datore di lavoro: il datore di lavoro dovrà inoltrare domanda all’Inps, che verificherà i requisiti autorizzando successivamente il riconoscimento dello sgravio alla lavoratrice. La riduzione del 50% della contribuzione (l’aliquota passa dal 9,19% al 4,595%) verrà quindi applicata per un anno dal datore di lavoro in busta paga, a prescindere dall’entità della retribuzione erogata.

Questa riduzione è cumulabile con l’ulteriore sgravio previdenziale del 2% previsto per i redditi fino a 2.692,00€ mensili.

 

dal sito fisacgruppointesasanpaolo.it