L’8 marzo tra leggende e realtà


Perché la data dell’8 marzo è stata scelta per celebrare la Giornata Internazionale della Donna?

Secondo una credenza ampiamente diffusa, questa data dovrebbe ricordare l’8 marzo 1908 quando, a causa di un incendio in un’industria tessile di New York (dal nome “Cotton” cioè cotone), morirono centinaia di operaie. La storia presenta elementi da film horror: le povere operaie sarebbero state rinchiuse nello stabilimento dal proprietario, un certo Mister Johnson, che aveva così voluto punirle per aver osato protestare per le condizioni di lavoro disumane. Sembra addirittura che l’incendio non fosse casuale, ma appiccato dallo stesso padrone della fabbrica.

Una storia terribile, ma per fortuna totalmente inventata. Non esiste nessun incendio dell’8 marzo 1908, nessuna fabbrica Cotton, nessun Mr. Johnson (e complimenti per la fantasia nell’inventare i nomi….).

Un incendio ci fu invece qualche anno dopo, il 25 marzo 1911, nella fabbrica di New York Triangle Shirtwaist Company: furono 146 i morti tra uomini e donne, in maggioranza stranieri, molti anche ItalianiQui c’è il sito che commemora l’evento, che evidentemente influenzò la nascita della leggenda.

In realtà di una giornata da dedicare alla donna si era già parlato nel corso dell’Internazionale Socialista 1907, cioè prima del fantomatico incendio. La prima celebrazione avvenne il 28 febbraio 1909 negli Stati Uniti; progressivamente diversi stati europei cominciarono a dedicare una giornata alle donne, senza che ci fosse una data ufficialmente definita.
L’8 marzo 1917, in Russia, le donne di San Pietroburgo organizzarono una grande manifestazione di piazza per chiedere la fine della Grande Guerra; con loro non c’erano uomini a sfilare, perché tutti impegnati sul fronte. Questo corteo fu una delle scintille che innescarono la rivoluzione russa; per questo motivo, nel 1921 la data dell’8 marzo fu dichiarata “Giornata internazionale delle operaie“.
L’arrivo delle grandi dittature europee e la Seconda Guerra Mondiale fecero passare in secondo piano la ricorrenza, ricordata in  modo discontinuo ed occasionale finché, il 16 dicembre 1975, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò una risoluzione nella quale si invitava ogni paese a dichiarare un giorno all’anno “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale“. L’8 marzo fu scelto come data ufficiale dalla maggior parte delle nazioni.

Già che ci siamo, perché l’8 marzo si regalano mimose?

Sempre secondo la tradizione (infondata, come abbiamo visto) all’esterno della fabbrica “Cotton” crescevano dei cespugli di mimose, che così furono scelte come simbolo per ricordare la tragedia. Peccato che tale fiore si usi solo in Italia, e non negli Stati Uniti dove la tragedia immaginaria sarebbe ambientata.
E allora come nasce l’usanza di regalare mimose? La ragione è estremamente pratica, e molto poco poetica. Le mimose furono scelte in una votazione dell’UDI (Unione Donne Italiane) tenutasi nel 1946, sulla base di due motivi molto concreti: costano poco, e sono già fiorite ai primi di marzo.

Spogliata da tutte le leggende, la Giornata della Donna ha ancora senso? Assolutamente sì!
Basta leggere un po’ di numeri che fotografano la situazione del nostro Paese:

  • In Italia meno del 50% delle donne lavora, contro il 70% degli uomini (siamo il paese “avanzato” con la più bassa occupazione femminile).
  • La retribuzione media delle donne è all’incirca il 60% di quella degli uomini. Ciò è dovuto al fatto che molto più spesso degli uomini le donne lavorano con contratti a termine o con part-time non sempre volontari, e che le posizioni di vertice delle aziende sono quasi sempre appannaggio degli uomini.
  • Una donna su quattro è costretta a smettere di lavorare quando diventa mamma.
  • Le pensioni delle donne sono inferiori mediamente di circa 1/3 rispetto a quelle degli uomini. Negli ultimi 10 anni, nei Paesi UE il gap pensionistico tra uomini e donne è diminuito del 5%: in Italia siamo in controtendenza, con un aumento del 2%.

Sono numeri che dimostrano quanto sia lunga ancora la strada da percorrere, ma che discendono da un modo di pensare che non è cambiato molto negli ultimi 100 anni, e che è ancora ampiamente diffuso in larghe fasce della popolazione.
Abbiamo tutti nelle orecchie le urla della leader di uno dei più importanti partiti presenti nel nostro paese, che poco più di un anno fa arringava i suoi seguaci con le parole “Sono una donna, sono una madre, sono Italiana, sono cristiana”.
Una frase che da sola basta a descrivere un modo di vedere il mondo.
Perché in definitiva è a quello che “servono” le donne: alla riproduzione. Alla cura dei figli ed alla pulizia della casa. E da brave madri nate in Italia, a trasmettere alle future generazioni gli insegnamenti cristiani e le nostre tradizioni che tanto contribuiscono a tenere le donne in una condizione di subordinazione.
Ed è agghiacciante che a lanciare questo slogan sia stata una donna.
Un concetto che un membro dello stesso partito ha tenuto a ribadire nei giorni scorsi: “Il padre deve dare le regole, la madre accudire.”
Esiste una diffusa corrente di pensiero per la quale non è cambiato evidentemente molto dal 1934 quando Mussolini scriveva che l’occupazione femminile “… ove non è diretto impedimento distrae dalla generazione e fomenta una indipendenza e conseguenti mode fisiche-morali contrarie al parto”.
Ed è una logica conseguenza di questo modo di pensare la convinzione che la donna debba in qualche modo “appartenere” all’uomo, e la sua scelta di interrompere un rapporto sia un torto inaccettabile per l’uomo “padrone”, da punire con durezza. Una logica aberrante, ma che causa ogni anno la morte di tante donne colpevoli di voler vivere liberamente la propria esistenza:75 vittime nel solo 2020, già 12 da inizio 2021.
E anche quando non si arriva al gesto estremo, all’uccisione di una donna, sono comunque tanti gli uomini che pensano che una donna non possa avere il diritto di dire di no.
I dati ISTAT dicono che in Italia il 31,5% delle donne abbia subito una qualche forma di violenza, fisica o sessuale. Parliamo di una donna su tre: una percentuale abnorme, spaventosa.

Se c’è un augurio da rivolgere a tutte le donne è che possa arrivare un giorno in cui nessuno si ricordi più di quando si celebrava la Giornata Internazionale della Donna, un giorno in cui nessuno ricorderà il tempo in cui esistevano assurde discriminazioni tra i sessi.

Ma quel giorno è lontano, davvero lontano. Per questo ognuno di noi ha il dovere di battersi in ogni modo per renderlo un po’ più vicino.

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