Assegno Unico 2023: non serve nuova domanda ma il rinnovo dell’ISEE

Assegno Unico 2023:
non deve essere inviata una nuova domanda ma va rinnovato l’ISEE.

 

Nel 2023 chi già percepisce dall’INPS l’ASSEGNO UNICO E UNIVERSALE PER I FIGLI A CARICO non dovrà presentare una nuova domanda. L’Istituto proseguirà automaticamente i pagamenti mensili anche dopo febbraio 2023 (data di scadenza della domanda 2022).
L’importo, a partire da marzo, sarà aggiornato in base al nuovo valore ISEE che, tramite il CAAF CGIL, dovrà essere nuovamente calcolato.
Clicca qui per scaricare il messaggio INPS con le modalità operative

Solo coloro che non percepiscono ancora l’ASSEGNO ma ne hanno diritto, dovranno recarsi al Patronato INCA CGIL per l’invio di una nuova domanda. Dovrà recarsi al Patronato INCA anche chi deve aggiornare la propria posizione (ad esempio per nascita di figli, inserimento o variazione di disabilità dei figli, modifica di frequenza scolastica per figli maggiorenni fino a 21 anni, separazione dei genitori, modifica delle modalità di pagamento, ecc.).
Clicca sulla tua regione per trovare il Patronato INCA CGIL più vicino a te in Abruzzo e Molise

Il calcolo dell’ISEE tramite il CAAF CGIL sarà invece necessario per percepire l’importo pieno dell’ASSEGNO. Se l’ISEE non verrà rinnovato entro marzo, a partire da quel mese l’INPS erogherà gli importi minimi previsti. Qualora l’ISEE venisse comunque poi calcolato entro il 30 giugno 2023, l’INPS corrisponderà anche gli arretrati spettanti a partire da marzo.

ISEE 2023: documenti necessari

Nel 2023 l’ISEE riguarderà la situazione reddituale (di tutti i componenti lo stato di famiglia) del 2021, per cui oltre le dichiarazioni dei redditi elaborate nel 2022 (o C.U. 2022) riguardanti il 2021, sono necessari saldo al 31/12/2021 e giacenza media 2021 di c/c, libretti, carte prepagate, ecc. Inoltre occorrono le targhe di auto e moto (con cilindrata superiore a 500) possedute al momento della domanda, situazione catastale dei fabbricati ed eventuali certificazioni di handicap, contratti di affitto e omologa di separazione/divorzio.

Clicca qui per scaricare il volantino completo con la documentazione per l’ISEE 2023

Per calcolare l’ISEE 2023, a partire dal 9 gennaio,
puoi fissare un appuntamento con il CAAF CGIL della tua provincia

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www.caafcgilabruzzo.it                              www.incaabruzzomolise.it




Fringe Benefits: sale a 3.000 la soglia non tassabile

Sale la soglia entro cui le aziende possono riconoscere premi e bonus ai dipendenti senza pagare le tasse sulle somme erogate. Da 600 a 3.000 euro con il nuovo decreto Aiuti.


Il governo Meloni ha introdotto un bonus busta paga del valore annuo massimo di 3.000 euro. Lo fa col nuovo decreto Aiuti approvato in serata dal Consiglio dei ministri, con il quale viene innalzata la soglia, precedentemente di 600 euro, entro cui i datori di lavoro possono riconoscere ai propri dipendenti determinati beni e servizi senza doversi far carico delle tasse.

Del nuovo bonus da 3.000 euro (annui), infatti, non se ne farà carico lo Stato, bensì le aziende. Saranno i datori di lavoro, qualora lo volessero, a riconoscerlo, contribuendo così a sostenere il reddito dei loro dipendenti specialmente adesso che l’inflazione ha comportato una perdita notevole del potere d’acquisto degli stipendi.

Non sarà l’unica misura che garantirà un aumento di stipendio, visto che per il 2023 il governo ha in mente di attuare un nuovo taglio del cuneo fiscale (ma prima dovrà rifinanziare quello introdotto dal governo Draghi) così da garantire un aumento dello stipendio netto a parità di lordo.

Serve aumentare gli stipendi

Il problema è chiaro: l’inflazione, sommata al fatto che gli stipendi nel frattempo restano fermi al palo, sta erodendo il potere d’acquisto degli italiani. Serve, quindi, individuare un modo per aumentare le retribuzioni, ma non si può pretendere che tutto il peso dell’incremento gravi sulle aziende, anch’esse penalizzate dal rincaro dei costi dell’energia e dall’inflazione che ne è conseguita.

  • da una parte incentivando le aziende ad aumentare gli stipendi riconoscendo loro la possibilità di erogare bonus e premi esentasse;
  • dall’altra si interverrà sull’imposizione fiscale che grava sulle retribuzioni, con l’obiettivo di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale rispetto allo sgravio del 2% introdotto dal governo Draghi per l’anno corrente. In questo caso lo stipendio netto aumenterà, ma senza costi ulteriori per l’azienda visto che il lordo sarà lo stesso di sempre.

A tal proposito il nuovo decreto Aiuti fissa a 3.000 euro la soglia entro cui le aziende possono erogare bonus e premi in favore dei dipendenti senza dover pagare le tasse sull’importo corrisposto.

Il bonus 3.000 euro non è obbligatorio

Ovviamente non si tratta di un obbligo per l’azienda, la quale può anche scegliere di non fruire di tale possibilità. Inoltre, l’importo riconosciuto potrebbe anche essere più basso: 3.000 euro, infatti, è il limite annuo entro cui tale premio non sarebbe tassato.

Il vantaggio per l’azienda è chiaro: da una parte si punta al benessere del dipendente limitando la perdita del potere d’acquisto della retribuzione senza necessariamente dover procedere a un vero e proprio aumento strutturale di stipendio, e dall’altra si è certi dell’esborso richiesto visto che non bisognerà calcolare anche le imposte dovute sull’aumento.

Insomma, se un datore di lavoro vuole riconoscere un premio di 1.000 euro potrà farlo senza preoccuparsi di quanto gli costerà di aumento delle tasse, in quanto tale bonus sarebbe totalmente esentasse.

Il vantaggio sarebbe anche per il dipendente, che oltre a godere di un aumento ne beneficerebbe per intero, visto che entro il limite di 3.000 euro il bonus non rientrerebbe nell’imponibile.

Fonte: money.it




Salute e sicurezza: quali sono gli obblighi del Titolare di Filiale o del Responsabile dell’Ufficio?

Nei giorni scorsi sono stati finalmente accesi i riscaldamenti in molte filiali ed uffici.

L’accensione è avvenuta – in diversi casi – con colpevole ritardo. Ferme restando le indiscutibili esigenze di risparmio energetico, è bene ricordare che in Italia esistono comuni montani, per i quali l’accensione era concessa senza limitazioni di date, ed altri comunque freddi, dove l’accensione era consentita fin dal 22 ottobre.

Da diversi colleghi avevamo ricevuto segnalazioni di disagio dovute a temperature assolutamente inadatte a chi doveva trascorrere l’intera giornata in quei locali; eppure, nel momento in cui ci offrivamo di porre la questione e chiedere un intervento immediato, ci venivano opposte forti riserve causate da una sorta di timore reverenziale che nel caso specifico non ha ragione di esistere.

Per questo riteniamo necessario fornire alcuni importanti chiarimenti.

QUALI SONO GLI OBBLIGHI DEL PREPOSTO IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA?

Volendo riassumere in parole semplici gli obblighi che il Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs 81/08) pone a carico dei Preposti (che nelle aziende bancarie coincidono con i Titolari di Filiale ed i Responsabili degli Uffici), potremmo dire che la loro principale funzione è quella di rilevare qualsiasi situazione di pericolo e segnalarla tempestivamente al Datore di Lavoro. Non si tratta di una raccomandazione, ma di un preciso obbligo di legge, che prevede sanzioni anche pesanti in caso di inosservanza.

I reati contravvenzionali previsti dal T.U. prevedono:

  • l’arresto da uno a tre mesi
  • multe che possono variare, a seconda della violazione, da € 300 a € 2.000.

A questo si aggiunge il rischio concreto di essere considerato corresponsabile in caso di incidenti dovuti a pericoli non segnalati. Chiaramente l’obbligo di segnalazione riguarda situazioni di cui il Preposto sia venuto a conoscenza: non gli si potranno attribuire colpe per situazioni di cui non poteva ragionevolmente accorgersi.

Nella maggior parte dei casi, l’aver effettuato una segnalazione scritta esonera il Preposto da ogni responsabilità, lasciando ai competenti organi aziendali il compito di intervenire per rimuovere eventuali pericoli.
A titolo esemplificativo, se in filiale fossero presenti cavi elettrici logori o scoperti, tali da poter causare un corto circuito, il Titolare non dovrà nella maniera più assoluta improvvisarsi elettricista, ed avrà il preciso dovere di impedire che lo faccia uno dei suoi collaboratori. Dovrà invece segnalare per iscritto la situazione di pericolo all’RSPP. Questo lo libererà totalmente da responsabilità legate a quella specifica situazione di pericolo.

Tra gli altri doveri del Preposto  c’è quello di vigilare affinché i suoi collaboratori evitino comportamenti non idonei (è il caso, ad esempio, dell’osservanza del divieto di fumare negli ambienti di lavoro).

Il Preposto, inoltre, ha l‘obbligo di interrompere l’attività lavorativa sua e dei suoi collaboratori in presenza di situazioni di pericolo immediato: immaginiamo ad esempio un locale invaso da una forte puzza di gas.

Gli obblighi di segnalazione, e nei casi più gravi di interruzione dell’attività, riguardano anche le situazioni di inidoneità come temperature troppo basse o troppo alte. Anche in questi casi, la segnalazione all’azienda non rappresenta una facoltà né un dispetto all’azienda, ma un adempimento da svolgere necessariamente ai sensi della normativa vigente.

Il nostro consiglio, davanti a problematiche del genere, è di non affrontarle da soli ma farlo con l’appoggio di un RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) o di un rappresentante Sindacale RSA. In tal modo, oltre a coinvolgere soggetti che hanno come ruolo specifico quello di fare da tramite tra lavoratori e azienda, si delega a loro il compito di trasmettere la segnalazione.
L’intervento dell’RLS o dell’RSA può essere richiesto anche oralmente, ma è consigliabile farlo per email in modo da lasciare traccia dell’attività svolta. Ovviamente all’RLS o all’RSA può rivolgersi qualsiasi collega, indipendentemente dal suo incarico in azienda e dall’essere iscritto o meno ad un sindacato. Tutti i rappresentanti sindacali Fisac/Cgil sono a disposizione anche per questo tipo di situazioni.

Se tuttavia si preferisse inoltrare la segnalazione senza avvalersi di tramiti, si può fare utilizzando il modello allegato

Facsimile segnalazione di pericolo

 

SEGNALARE I PERICOLI DISTURBA L’AZIENDA?

Le banche rappresentano per fortuna un ambiente di lavoro molto meno insidioso rispetto ad una fabbrica o uno stabilimento artigianale, ma non vuol dire che non ci siano pericoli.

Pensiamo ad un armadio fissato male al muro, che cade addosso ad un impiegato o ad un cliente.
Un incidente del genere comporterebbe conseguenze importanti dal punto di vista patrimoniale, visto che l’Azienda si troverebbe costretta a risarcire i danni, e potrebbe comportarne sul piano penale, qualora si accerti che l’incidente è stato dovuto ad un comportamento negligente.
Davvero qualcuno pensa che segnalare tempestivamente il possibile pericolo, dando modo all’azienda di venirne a conoscenza e di intervenire prima di un eventuale incidente, rappresenti un “disturbo”?

Lo stesso discorso può essere esteso anche a pericoli meno immediati, ma comunque presenti. Un lavoratore che operi a lungo in un ambiente con temperature non adeguate potrebbe alla lunga ammalarsi e chiedere i danni all’azienda in caso di postumi invalidanti.
Stessa considerazione vale per un ambiente di lavoro con illuminazione non idonea, che alla lunga potrebbe causare danni alla vista di un dipendente, portandolo anche in questo caso a richiedere i danni.

In ognuna di queste situazioni, un Preposto inadempiente rispetto al suo dovere di segnalazione potrebbe essere considerato corresponsabile, venendo chiamato in causa anche ai fini di un eventuale risarcimento.

Per questo ribadiamo l’importanza di segnalare prontamente ogni situazione di disagio o di pericolo, ricordando che in questo modo non si fa un dispetto all’azienda; al contrario, la segnalazione tempestiva di una situazione di disagio o di pericolo è il modo migliore per tutelare i lavoratori e l’azienda stessa.

 

Fonte: Fisac Bper




Esonero contributivo del 50% per le mamme lavoratrici che rientrano al lavoro entro il 31/12/22

Le lavoratrici madri che riprendono l’attività entro la fine dell’anno, dopo l’astensione per congedo di maternità potranno godere, per un periodo massimo di un anno, di una riduzione pari al 50% della quota di contribuzione a loro carico, senza alcun effetto negativo dal punto di vista previdenziale. L’INPS, con Circolare n. 102/2022 pubblicata il 19 settembre, dà attuazione alla misura prevista in via sperimentale dalla legge di bilancio 2022. La misura riguarda il settore privato ed è valevole solo per il 2022.

L’esonero contributivo si applica anche nel caso in cui la lavoratrice decida di fruire del congedo di maternità facoltativo (congedo parentale) oppure qualora il rientro avvenga al termine del periodo di interdizione post partum. In ogni caso il rientro deve avvenire entro il 31 dicembre 2022.

La collega non ha necessità di richiedere l’esenzione, che viene riconosciuta direttamente dal datore di lavoro: il datore di lavoro dovrà inoltrare domanda all’Inps, che verificherà i requisiti autorizzando successivamente il riconoscimento dello sgravio alla lavoratrice. La riduzione del 50% della contribuzione (l’aliquota passa dal 9,19% al 4,595%) verrà quindi applicata per un anno dal datore di lavoro in busta paga, a prescindere dall’entità della retribuzione erogata.

Questa riduzione è cumulabile con l’ulteriore sgravio previdenziale del 2% previsto per i redditi fino a 2.692,00€ mensili.

 

dal sito fisacgruppointesasanpaolo.it




La Cassazione allunga i termini di esigibilità dei crediti da lavoro

Prescrizione dei crediti da lavoro, la Cassazione stabilisce un importantissimo principio


Con sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 la Cassazione ha stabilito un importantissimo principio di diritto relativo alla data da cui far decorrere la prescrizione per i crediti di lavoro. Quella che potrebbe erroneamente sembrare una astratta questione tecnico-giuridica ha invece una portata applicativa molto concreta per il portafoglio dei lavoratori e delle lavoratrici.

Cosa si intende con il termine prescrizione?

La prescrizione (in ambito civile) è l’istituto per cui un diritto non può più essere esercitato in conseguenza (e a causa) dell’inerzia del titolare. Per i crediti retributivi tale termine è di 5 anni, per cui se qualcuno durante tutto un quinquennio non ha mai rivendicato, che so, delle differenze retributive per aver svolto mansioni di livello superiore o del lavoro straordinario non pagato, non può più farlo.

E perché è previsto questo limite?

Il motivo dell’esistenza di questo istituto risiede non nel sadismo del legislatore, bensì nell’esigenza di certezza del diritto: si ritiene che nessuno possa essere esposto in eterno alla possibilità che qualcuno gli muova delle richieste economiche.

E da quando decorrono i 5 anni per rivendicare i crediti di lavoro?

Ed ecco che arriviamo al punto della nuova sentenza: ora i lavoratori dipendenti da aziende private con più di 15 dipendenti potranno rivendicare i crediti retributivi entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

E quindi, dove starebbe l’innovazione della sentenza della Cassazione?

Generalmente nel diritto civile, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui un diritto può essere fatto valere. Nel diritto del lavoro però occorre tenere conto della disparità tra datore di lavoro – che detiene i mezzi di produzione – e il lavoratore, sottoposto al potere del primo. Alla luce di questo squilibrio tra le parti, già nel ’66 la Corte Costituzionale aveva stabilito l’incostituzionalità della norma del codice civile, evidenziando che la situazione di soggezione psicologica potrebbe indurre il lavoratore a non esercitare i suoi diritti per timore di subire un licenziamento.
La stessa Corte però, anni dopo, a seguito dell’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori del 1970 con la previsione della tutela reintegratoria in presenza di licenziamenti illegittimi da parte di datori con più di 15 dipendenti , aveva ritenuto che tale “stabilità” non giustificasse più la posticipazione nella data di decorrenza della prescrizione: veniva pertanto ripristinato il vecchio regime di decorrenza.

E allora perché oggi la Corte di Cassazione ha stabilito una cosa diversa?

Nel 2012 la riforma Fornero e nel 2015 il Job Act di Renzi hanno stabilito che in tanti casi in cui i licenziamenti vengono dichiarati illegittimi si può ottenere dal giudice solo un indennizzo economico. È stato perciò evidenziato che il mutato panorama della legislazione a tutela dei lavoratori degli ultimi dieci anni non garantisce più la stabilità reale del rapporto di lavoro, proprio perché le ridotte possibilità di reintegrazione potrebbe indurre i dipendenti a non mettersi contro il proprio datore fintanto che lavorano per lui.
Il tema era così importante e controverso che la Corte di Cassazione nel gennaio 2022 aveva organizzato una giornata di studi, invitando, oltre ai magistrati, autorevoli docenti universitari affinché le diverse posizioni si confrontassero in un franco dibattito, proprio in vista dell’udienza in cui la Corte stessa avrebbe dovuto pronunciarsi.

E cosa dice questa nuova sentenza?

La Cassazione il 6 settembre ha accolto la tesi più favorevole ai lavoratori, stabilendo che per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge Fornero (luglio 2012), il termine di prescrizione decorra dalla cessazione del rapporto di lavoro. Con queste conseguenze: se fino al 5 settembre 2022, (prima della sentenza) la mensilità non pagata di ad es. di luglio 2012 per una diffusa opinione doveva essere richiesta entro il luglio 2017, ora invece potrà essere richiesta entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

E fino a quando si può andare indietro?

Come abbiamo detto, fintantoché il rapporto di lavoro resta in vita, si possono rivendicare tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge Fornero: quindi fino al luglio 2007.

Fonte: Ilfattoquotidiano.it




Smart working prorogato fino al 31 dicembre per fragili e per chi ha figli under 14

Ad annunciarlo è stato, su Twitter, il ministro del Lavoro Andrea Orlando. La proroga è contenuta nell’emendamento al Dl aiuti bis. La possibilità di ricorrere al lavoro agile era scaduta il 31 luglio e non era stata rinnovata per problemi di copertura. Confermate anche le procedure semplificate di comunicazione.


È stato prorogato fino a fine anno lo smart working per i lavoratori fragili e per i genitori di figli con meno di 14 anni. Ad annunciarlo è stato, su Twitter, il ministro del Lavoro Andrea Orlando. La proroga è contenuta nell’emendamento al Dl aiuti bis approvato dalle Commissioni riunite Bilancio e Finanze del Senato e passato all’esame dell’Aula di Palazzo Madama. Il testo contiene una serie di misure per aiutare famiglie e imprese a sostenere il caro energia.

“Prorogato fino al 31 dicembre lo smart working per i fragili e per i genitori di figli con meno di 14 anni”, ha scritto su Twitter il ministro Orlando. “In diverse occasioni, negli scorsi mesi, avevo proposto la proroga e mi ero impegnato affinché fosse approvata: promessa mantenuta”, ha aggiunto. La misura, ha spiegato, “rappresenta un intervento fondamentale per tutelare le persone più fragili, i genitori con figli piccoli e continuare a garantire migliore conciliazione del tempo vita-lavoro grazie alla modalità agile”.

Sia per i lavoratori fragili sia per i genitori con figli under 14, la possibilità di smart working era scaduta il 31 luglio e non era stata rinnovata per problemi di copertura. Ora l’emendamento sposta il termine al 31 dicembre 2022. Agli oneri derivanti da questa modifica – si legge nell’emendamento – si corrisponde con 18,66 milioni per il 2022, che verranno coperti per 8 milioni attraverso il Fondo sociale per l’occupazione del ministero del Lavoro, e 10,66 milioni con riduzione del Fondo per le politiche attive del lavoro.

L’emendamento conferma anche le procedure semplificate di comunicazione. Le due categorie, lavoratori fragili o con figli under 14, dal primo agosto erano quindi prive della tutela di legge per il ricorso allo smart working. In molte aziende questi lavoratori sono dovuti tornare in presenza. Oppure si sono dovuti attenere alle modalità previste dagli accordi aziendali sul lavoro agile che le imprese hanno firmato con le rappresentanze sindacali.

Nel periodo in cui non c’è stata la copertura, alcune aziende hanno quindi rimediato con degli accordi firmati con le rappresentanze sindacaliAltre hanno fatto riferimento al decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022 (articolo 4 lettera b): “I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi” per il lavoro in modalità agile sono tenuti “a riconoscere priorità alle richieste” di “lavoratori con figli fino a 12 anni, o senza limite di età in condizioni di disabilità”, e dei lavoratori “con disabilità in situazione di gravità accertata” o caregivers.

Le norme che regolano lo smart working, anche con la nuova proroga, sono le stesse che erano in vigore fino al 31 luglio. La possibilità di usufruire del lavoro da remoto deve essere compatibile con le caratteristiche della prestazione professionale. Per quanto riguarda i genitori di figli under 14, poi, in famiglia non deve esserci già un genitore che non lavora o che percepisce uno o più ammortizzatori sociali, come ad esempio la cassa integrazione. Per le persone fragili, i medici competenti devono accertare che siano maggiormente esposti a rischio di contagio.

 

Fonte: Sky Tg24




Quanti familiari possono usufruire della legge 104?

Finora l’agevolazione per assistere un parente con handicap grave era riservata ad un solo lavoratore. Ma c’è una novità: il caregiver sostituto.


Hai sicuramente sentito parlare della legge 104, cioè della normativa che consente di prendere dei permessi al lavoro per assistere una persona affetta da handicap grave. Quello che forse non avrai ben chiaro è quanti familiari possono usufruire della legge 104 nel caso capitasse un caso di handicap grave in famiglia. Cioè: i permessi li può chiedere solo un parente? Oppure se un familiare li ottiene dal datore di lavoro gli altri membri del nucleo sono esclusi da questo beneficio?

Dipende dal modo in cui i permessi vengono chiesti, o meglio: in qualità di che cosa vengono chiesti. Non di referente unico, che finora era il solo a poter beneficiare della 104, ma di caregiver sostituto, cioè di colui che si affianca al referente unico.

In pratica, è possibile optare per la cosiddetta «assistenza saltuaria per la legge 104». Si tratta di una soluzione che consente ad un dipendente di non essere l’unico ad occuparsi di un parente portatore di handicap grave ma di condividere questo compito con un’altra persona. A determinate condizioni. Questo già ci dà una risposta alla domanda quanti familiari possono usufruire della legge 104.

Vediamo come funziona.

Indice

  1. Legge 104: chi può usufruire dei permessi?
  2. Legge 104: quanti familiari per lo stesso disabile?
  3. Legge 104: l’assistenza saltuaria
  4. Legge 104: i permessi sono cumulativi?
  5. Legge 104: che succede se l’avente diritto si ammala?

 

Legge 104: chi può usufruire dei permessi?

La legge 104/92 consente di usufruire di permessi per assistere un familiare con handicap grave. Possono farne richiesta:

  • il coniuge/partner dell’unione civile/convivente di fatto della persona disabile;
  • i parenti ed i congiunti dei parenti entro il secondo grado;
  • il convivente di fatto;
  • i parenti di terzo grado se il genitore o il coniuge della persona con handicap hanno più di 65 anni oppure siano invalidi, deceduti o mancanti.

Legge 104: quanti familiari per lo stesso disabile?

In passato, il diritto di assistere un parente con grave disabilità non poteva essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente: solo un familiare, scelto come referente unico, poteva usufruire della legge 104. L’unica eccezione riguardava i genitori che potevano beneficiare in modo alternativo dei permessi della legge 104 se aventi  un figlio con handicap grave.

A partire dal 13 agosto 2022, per effetto di alcune modifiche normative, più lavoratori possono fruire, su richiesta, dei permessi Legge 104 per lo stesso disabile, alternativamente tra loro e fermo restando il limite complessivo di tre giorni. E’ stata eliminata, infatti, la figura del referente unico dell’assistenza: non esiste più un solo soggetto lavoratore avente diritto ai permessi, ma possono coesistere più referenti.  Prima, invece, ad esclusione dei genitori, non era possibile riconoscere i permessi a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona disabile grave[1].

Legge 104: l’assistenza saltuaria

Esiste la possibilità dell’assistenza saltuaria per la legge 104. Consiste nella condivisione dell’assistenza al disabile da parte del lavoratore dipendente e di un’altra persona, ad esempio del figlio o del genitore. È il cosiddetto «caregiver sostituto». Tutti e due possono usufruire della legge 104 ma in forma ridotta, cioè 1 giorno di permesso al mese (anziché 3 giorni) ogni 10 giorni di assistenza in maniera continuativa.

Al fine di godere di questo beneficio, il caregiver sostituto deve presentare all’Inps e al datore di lavoro una richiesta scritta che contiene una dichiarazione di responsabilità e queste precisazioni:

  • i motivi per cui deve sostituire il referente unico della persona disabile;
  • il periodo o i periodi in cui deve prestare assistenza al posto del referente unico;
  • il rapporto di parentela con la persona affetta da handicap grave;
  • il tipo di assistenza che deve prestare al familiare disabile.

 

Legge 104: i permessi sono cumulativi?

Poniamo il caso di un lavoratore con disabilità grave che beneficia dei permessi della legge 104 per sé stesso. Vorrebbe fare richiesta per assistere un parente, anche lui affetto da grave disabilità. Penserai: com’è possibile che una persona che ha bisogno di assistenza possa, a sua volta, occuparsi di un altro soggetto? Ebbene, una circolare dell’Inps stabilisce che quel lavoratore «può accumulare il godimento dei 3 giorni di permesso mensile per assistere un proprio familiare con handicap grave senza che debba essere acquisito un parere medico legale sulla sua capacità di soddisfare le necessità assistenziali del familiare disabile».

Legge 104: che succede se l’avente diritto si ammala?

Nessuno è fatto di ferro. Così può succedere che chi beneficia dei permessi della legge 104 per assistere un parente con handicap grave si ammali. Un inverno particolarmente rigido insieme alla stanchezza accumulata e alla debolezza dovuta alle ore di assistenza, ad esempio, possono provocare una brutta influenza. Oppure, senza pensare ad un fatto negativo, la donna che assiste la madre disabile può rimanere incinta e, prima o poi, dover pensare alla sua maternità. Che succede in questi casi?

Succede che il dipendente non perde il diritto ai 3 giorni mensili di permesso della legge 104. Oltretutto, tra l’assenza per malattia e quella per i permessi della legge 104 non è obbligatorio il rientro al lavoro.

note:

[1] D.lgs. n. 105/2022

 

Fonte: La legge per tutti




Arriva il bonus trasporti: cos’è e come si ottiene

Il buono vale 60 euro a persona, non è cedibile e si potrà utilizzare per acquistare abbonamenti al trasporto pubblico locale e nazionale. Lo sconto sarà applicato direttamente dai rivenditori


Il governo ha stanziato un fondo pari a 79 milioni di euro per il cosiddetto “bonus trasporti”. L’obiettivo è mitigare l’impatto del caro energia sulle famiglie, in particolare in relazione ai costi di trasporto per studenti e lavoratori in vista anche del nuovo anno scolastico che sta per cominciare. I tre ministeri coinvolti (Lavoro, Economia e Infrastrutture) hanno chiarito nei giorni scorsi tutti i dubbi su come presentare la domanda, quali sono le modalità di emissione, anche ai fini del rispetto del limite di spesa, nonché l’obbligo di rendicontazione da parte delle aziende di trasporto che applicheranno lo sconto. Vediamo allora di cosa si tratta, cos’è il bonus trasporti, a quanto ammonta e cosa bisogna fare per ottenerlo.

Quanto vale il bonus?

Il governo ha previsto un importo non superiore a 60 euro a persona da utilizzare per l’acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale e per il trasporto ferroviario nazionale. Possono beneficiarne le persone fisiche che, nell’anno 2021, hanno conseguito un reddito complessivo non superiore a 35.000 euro. Il buono è pari al 100 per cento della spesa da sostenere ed è riconosciuto, comunque, nel limite massimo di 60 euro per un acquisto effettuato entro il 31 dicembre. Nel dettaglio, lo si potrà utilizzare: per un abbonamento annuale, mensile, o relativo a più mensilità; per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale; per il trasporto ferroviario nazionale, con esclusione dei servizi di prima classe, executive, business, club executive, salotto, premium, working area e business salottino.

Posso cederlo a qualcun altro?

No, il buono è personale e utilizzabile una sola volta, non è cedibile, non costituisce reddito imponibile del beneficiario e non conta ai fini del calcolo Isee. Restano confermate le tradizionali detrazioni previste sulla spesa ulteriore rispetto all’ammontare del buono.

Si può fare richiesta entro il 31 dicembre 2022 a titolo personale o per conto di un minore, effettuando l’accesso e la registrazione sul portale dedicato www.bonustrasporti.lavoro.gov.it del ministero del Lavoro che sarà attivo da settembre. L’identità dei beneficiari sarà accertata attraverso lo Spid (qui la nostra guida su come ottenerlo gratuitamente in dieci minuti), oppure tramite carta d’identità elettronica. All’atto della registrazione dovremo fornire le classiche dichiarazioni sostitutive di autocertificazione (nome, cognome, codice fiscale). Se il beneficiario è un minore, il richiedente, assieme al proprio codice fiscale, dovrà anche attestare che sia fiscalmente a suo carico.

Come faccio a sapere se ne ho diritto?

Attenzione, ricordiamo che il reddito complessivo del beneficiario nell’anno di imposta 2021 non deve essere superiore a 35.000 euro. Questo vale anche per il minore e quindi, in questo caso, non conta il reddito del richiedente. Una misura che sembra dunque destinata in particolare a tutte le ragazze e i ragazzi che faranno ritorno a scuola con i mezzi pubblici. La domanda deve anche contenere l’importo del buono richiesto a fronte della spesa prevista, non superiore in ogni caso a 60 euro per ciascun beneficiario, e l’indicazione del gestore del servizio di trasporto pubblico selezionandolo dal menù a tendina presente sul Portale. C’è tempo fino al 31 dicembre, ma il consiglio è di sbrigare la pratica il prima possibile poiché una volta terminato il fondo stanziato dal governo (79 milioni di euro) il bonus non sarà più accordato.

Il buono ha una scadenza?

Sì, deve essere utilizzato entro il mese di emissione. Decorso tale termine, infatti, viene automaticamente e definitivamente annullato. Come dicevamo prima, è spendibile presso un solo gestore dei servizi di trasporti pubblico tra quelli selezionabili all’atto della registrazione sulla piattaforma digitale e indicato nel buono stesso. L’emissione, anche in caso di mancato utilizzo entro un mese, non dà ulteriore possibilità di presentare una nuova istanza nello stesso mese.

Lo sconto si applica in automatico

Il gestore del servizio di trasporto pubblico a cui viene presentato il buono non può rifiutarlo come pagamento totale o parziale dell’abbonamento ed è pertanto tenuto a registrare sul portale del ministero del Lavoro l’utilizzo dello stesso, indicando l’importo effettivamente usufruito dal beneficiario e caricando la dichiarazione mediante la compilazione dei dati richiesti. Sarà poi il ministero stesso, al massimo entro il mese di febbraio 2023, a restituire alle aziende la quota parte dello sconto applicato ai cittadini.

 

Fonte: Collettiva.it




Tutte le novità in tema di conciliazione vita-lavoro

Il Decreto Legislativo 30 giugno 2022, n.105 in tema di conciliazione e condivisione

Le principali novità in vigore dal 13 agosto 2022

(redazione a cura della Fisac Cgil Torino e Piemonte)


Nei giorni scorsi è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. 30 giugno 2022, n. 105, attuativo della Direttiva UE “relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza”.
Il provvedimento – il cui obiettivo ambizioso è “migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza, al fine di conseguire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare”è entrato in vigore il 13 agosto. Il decreto interviene su leggi e decreti legislativi già esistenti (1) tra cui il Testo Unico sulla maternità e sulla paternità e la Legge n. 104/1992.
Con la presente nota ci proponiamo di fornire una prima sintesi delle norme più rilevanti del provvedimento (che richiederanno in molti casi l’emanazione delle consuete Circolari INPS per consentirne l’effettiva applicazione), riferite in particolare all’ambito del lavoro dipendente. Come precisato al paragrafo ad essi dedicato, già a partire dal 13 agosto 2022 (data di entrata in vigore del decreto) sarà comunque possibile fruire dei congedi parentali in base alla nuova normativa (v. oltre per le modalità).

SOMMARIO

    1. Congedo di paternità e Congedo di paternità alternativo
      Congedo di paternità (10 giorni)
    2. Congedo parentale
    3. Disabilità
      Modifiche alla Legge n. 104/1992
    4. Lavoro agile (smart working)
    5. Altri aspetti presenti nel provvedimento
      Equiparazione al coniuge della parte di un’unione civile o del convivente di fatto
      Sanzioni per i datori di lavoro


(1)
Art. 2 -Modifiche al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
Art.3 -Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104
Art. 4 -Modifiche alla legge 22 maggio 2017, n. 81
Art. 5 -Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81
Art. 6 -Modifiche alla legge 8 marzo 2000, n. 53

 

 

CONGEDO DI PATERNITA’ E CONGEDO DI PATERNITA’ ALTERNATIVO

Il congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni cambia denominazione e diventa “congedo di paternità”. La misura che in precedenza era definita “congedo di paternità” (alternativo al congedo di maternità – c.d. maternità obbligatoria – e previsto esclusivamente in caso di morte o grave infermità della madre, abbandono da parte della madre, affidamento esclusivo del bambino al padre) diviene ora il “congedo di paternità alternativo”.

CONGEDO DI PATERNITÀ (10 GIORNI)
Al di là del cambio di denominazione dei 10 giorni di congedo, alcune novità di maggiore rilevanza interessano questa misura, aumentandone la flessibilità di utilizzo o ampliandone la durata (è il caso dei parti plurimi).
La possibilità di fruizione del congedo di paternità viene estesa ai 2 mesi precedenti la data presunta del parto. In caso di parto plurimo (c.d. parto gemellare) la durata del congedo è aumentata a 20 giorni lavorativi.
La fruizione del permesso deve essere comunicata al datore di lavoro con un preavviso che si riduce da 15 a 5 giorni (fatte salve le condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva). Inoltre la forma scritta della comunicazione può essere sostituita dall’utilizzo, ove presente, del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze. Le novità sono sintetizzate nella tabella che segue.

 

Tabella Congedo di paternità (10 giorni) prima e dopo il D.Lgs n.105/2022

Prima Dopo
Denominazione Congedo di paternità obbligatorio Congedo di paternità
Periodo di fruizione Entro i 5 mesi dalla nascita del figlio Dai 2 mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i 5 mesi successivi
Parto plurimo Durata di 10 giorni (come per nascita di un solo figlio) Durata di 20 giorni (indipendentemente dal numero dei nati)
Preavviso Comunicazione almeno 15 giorni prima della fruizione Comunicazione almeno 5 giorni prima della fruizione (fatte salve le condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva)
Modalità della comunicazione (al solo datore di lavoro) Forma scritta Forma scritta.
In alternativa utilizzo del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze

 

CONGEDO PARENTALE

Durata del congedo parentale
La durata del congedo parentale in caso di “genitore solo” aumenta da 10 a 11 mesi; la stessa durata di 11 mesi viene inoltre prevista a favore del genitore che abbia l’affidamento esclusivo del figlio (in questo caso l’altro genitore perde il diritto al congedo non ancora utilizzato).
In tutti gli altri casi la durata rimane invariata.

Congedo parentale indennizzato al 30%
Viene esteso il periodo entro il quale può essere fruito il congedo parentale indennizzato al 30% che passa a 12 anni (di età del figlio o, in caso di adozione o affidamento, dalla data di ingresso del minore in famiglia).
Nel caso di presenza di entrambi i genitori, il congedo parentale indennizzato al 30% passa da 6 a 9 mesi a condizione che ciascun genitore fruisca di almeno 3 mesi (in caso di fruizione da parte di un solo genitore permane il limite di 6 mesi per il pagamento dell’indennità). Infatti a ciascun genitore lavoratore l’indennità del 30% spetta per 3mesi(non trasferibili); i genitori hanno inoltre diritto, in alternativa tra loro, a un ulteriore periodo di 3 mesi di congedo indennizzato al 30%.
Qualora vi sia un “genitore solo”(o in caso di affidamento esclusivo) il periodo indennizzato spettante è di 9 mesi.

Computo nell’anzianità di servizio – Effetti su ferie, riposi e trattamento economico
In base al nuovo provvedimento  i periodi di congedo parentale vanno computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità (o anche gratifica natalizia, se prevista), a eccezione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio, salvo quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva. Le novità sono sintetizzate nella tabella che segue.

Tabella Congedo parentale prima e dopo il D.Lgs n.105/2022

Prima Dopo
Periodo di fruizione del congedo indennizzato al 30% 6 anni (di età del figlio o, in caso di adozione o affidamento, dalla data di ingresso del minore in famiglia) (2) 12 anni (di età del figlio o, in caso di adozione o affidamento, dalla data di ingresso del minore in famiglia)
Durata in caso di genitore solo 10 mesi 11 mesi
Genitore che abbia l’affidamento esclusivo del figlio 6 mesi 11 mesi
Periodo indennizzato al 30% (totale genitori) (3) 6 mesi totali 9 mesi totali a condizione che entrambi i genitori fruiscano di almeno 3 mesi.
Invariato (6 mesi) se in presenza di entrambi i genitori 1 solo dei 2 ne fruisce
Periodo indennizzato al 30% in caso di genitore solo 6 mesi 9 mesi Previsti anche nel caso di genitore che abbia l’affidamento esclusivo del figlio
Computo nell’anzianità di servizio dei periodi di congedo parentale Nessuna garanzia Computati nell’anzianità di servizio
Effetti dell’assenza per congedo parentale su ferie, riposi e trattamento economico Possibilità di ricadute negative (riduzione ferie e trattamento economico) Non comporta riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità tredicesima mensilità (o anche gratifica natalizia, se prevista), a eccezione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio, salvo quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva.

(2)
8 anni in caso di reddito individuale inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione: per il 2022 tale soglia corrisponde a un reddito annuo lordo di € 17.041,38.

(3)
in caso di reddito individuale inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione (per il 2022 la soglia è di € 17.041,38) sono indennizzati anche i mesi successivi.

 

DISABILITÀ

Modifiche alla Legge n.104/1992
3 giorni di permesso al mese: possibilità per soggetti diversi di alternarsi tra loro.
Fermo restando il limite complessivo di 3 giorni al mese, per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave, il diritto ai permessi può essere riconosciuto a più soggetti che possono fruirne alternandosi tra loro.
Prima del decreto solo i genitori del figlio con handicap in situazione di gravità potevano fruire alternativamente tra loro dei permessi.

 

LAVORO AGILE (SMART WORKING)

I lavoratori che usufruiscono dei permessi di cui alla Legge n. 104/1992 hanno diritto di priorità nell’accesso al lavoro agile o ad altre forme di lavoro flessibile. I datori di lavoro devono inoltre riconoscere priorità alle richieste di lavoro agile nel caso di:

  • genitori di figli fino a 12 anni di età;
  • genitori di figli in condizioni di disabilità grave (indipendentemente dall’età del figlio);
  • lavoratori con disabilità grave;
  • lavoratori caregivers (riferimento art. 1, comma 255, della Legge n. 205/2017).

Vale sempre la considerazione secondo cui il diritto di priorità non costituisce il diritto  a pretendere e ottenere lo smart working.

 

ALTRI ASPETTI PRESENTI NEL PROVVEDIMENTO

Equiparazione al coniuge della parte di un’unione civile o del convivente di fatto
In innumerevoli passaggi del provvedimento si opera l’equiparazione al coniuge della parte di un’unione civile o del convivente di fatto: la finalità è sancire, anche per i casi di unione civile o convivenza di fatto, il diritto ad avvalersi delle norme che prevedono permessi o altre forme di flessibilità utili a fornire assistenza al coniuge disabile grave o affetto da gravi patologie.

Sanzioni per i datori di lavoro
Il provvedimento rivede l’impianto sanzionatorio già in parte contenuto nelle disposizioni di legge modificate: in caso di violazione delle norme, o di ostacoli posti da parte dei datori di lavoro alla fruizione dei diritti sanciti, la sanzione amministrativa (compresa tra€ 516 ed€ 2.582) viene estesa a fattispecie per le quali in passato non era prevista; inoltre la rilevazione di tali condotte nei 2 anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere (art. 46-bis del D.Lgs. 198/2006) o di analoghe certificazioni, impedisce al datore di lavoro il conseguimento delle certificazioni stesse.
In estrema sintesi va precisato che alla certificazione della parità di genere è correlato un sistema “premiale” per le aziende, con possibilità di sgravi contributivi e altre agevolazioni, e la prospettiva del mancato riconoscimento vuole essere un elemento di deterrenza rispetto al rischio che i datori di lavoro non consentano il pieno esercizio dei diritti previsti dalla legge.

 

FISAC CGIL Torino e Piemonte




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