Quel pasticciaccio dell’Isee

Nel 2024 bisognerà richiederlo due volte?


Era già accaduto con la tassa sugli extraprofitti delle banche: dichiarazioni roboanti del Governo, poi non se n’è fatto più nulla.

Ora un nuovo caso rischia di evidenziare la differenza tra gli annunci a reti unificate e quanto Meloni e i suoi ministri riescano a mettere effettivamente in campo. Parliamo delle modifiche all’Isee, previste dalla Legge di Bilancio 2024.

La Legge 30 dicembre 2023 n.213 prevedeva infatti che da quest’anno l’Isee non dovesse più riportare l’ammontare dei titoli di Stato e dei Buoni Postali, fino ad un importo di 50mila euro: una norma che da un lato lisciava il pelo a chi, disponendo di questi risparmi, veniva escluso dai bonus che ogni tanto vengono “elargiti” dalla politica, dall’altro incoraggiava i risparmiatori a preferire titoli di Stato ad altri investimenti.

Ancora una volta sembra che la realtà sia destinata a rivelarsi differente rispetto a quanto promesso.

Con il messaggio 165 del 12/1/2024 l’INPS precisa che – almeno per ora – nulla è cambiato. Il motivo? La legge c’è, i titoli sui giornali ci sono stati, ma…

“L’entrata in vigore di questa disposizione non è immediata, essendo subordinata all’approvazione delle modifiche al regolamento sulla disciplina dell’ISEE. Resta pertanto immutata la disciplina ISEE relativa al patrimonio mobiliare”.

In parole povere: la legge ci sarebbe, ma se non cambiano le istruzioni operative l’Isee continuerà a riportare titoli di Stato e depositi postali.

Cosa succederà adesso? Difficile dirlo. La situazione potrebbe restare invariata, e quindi ci ritroveremmo di fronte all’ennesimo annuncio a vuoto. Almeno fino a quando il Governo rimedierà alla svista, ma al momento non possiamo dire quando questo accadrà.

Quindi cosa fare? Le prime scadenze incombono. Per l’Assegno Unico è necessario aggiornare l’Isee, e bisogna farlo entro la fine di febbraio. Questo significa che per il momento va richiesto. Quando (e se) il pasticciaccio dell’Isee sarà stato risolto, bisognerà effettuare una nuova richiesta.

 

 

 




Smart working: proroga a marzo 2024 per i genitori di under 14 e i fragili

Ufficiale la proroga del termine per lo smart working, la scadenza viene spostata in avanti di 3 mesi, al 31 marzo 2024. Interessa i genitori del settore privato con figli sotto i 14 anni d’età e i fragili a rischio contagio. Le novità nella legge di conversione del decreto anticipi approvata definitivamente alla Camera.


Dopo la fumata nera con la conversione in legge del decreto proroghe, la proroga per lo smart working arriva con quella del decreto anticipi.

Il testo è stato approvato anche alla Camera e si attende solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Un emendamento previsto in questa fase estende al 31 marzo 2024 la scadenza fissata al 31 dicembre.

La proroga interessa i lavoratori e le lavoratrici con figli minori di 14 anni e anche i fragili maggiormente esposti ai rischi Covid.




Congedi Parentali, come funzionano le novità introdotte con la legge di Bilancio


Iniziamo ricordando le nuove regole:

♦ i periodi di congedo parentale entro i 6 anni del bambino (o dall’ingresso in famiglia) fruiti dal 1° gennaio 2023 sono indennizzati all’80% della retribuzione, fino al raggiungimento del limite di 1 mese (con alcuni vincoli);

♦ i successivi periodi di congedo, entro i 12 anni del figlio, sono indennizzati al 30% fino al raggiungimento del limite di 9 mesi (comprensivo del primo mese all’80%);

♦ i restanti periodi, fino al limite di 10 o 11 mesi (se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per almeno tre mesi), non sono indennizzati, salvo che ci siano i requisiti di reddito (se inferiore a 2,5 volte il minimo di pensione sono al 30%).

COME FUNZIONA:

La Legge di Bilancio (comma 359, legge 197/2022) ha innalzato dal 30% all’80% la retribuzione dell’indennità di congedo parentale per una sola mensilità, da fruire entro il sesto anno di vita del figlio (o sei anni dall’ingresso in famiglia del minore in caso di adozione o di affidamento e, comunque, non oltre il compimento della maggiore età).

Le regole sono le seguenti:

♦ il mese all’80% è uno solo per entrambi i genitori (non è a testa), che però possono anche frazionarlo restando nel complessivo mese in tutto;
 il beneficio è riservato solo ai dipendenti, sia nel pubblico sia nel privato (se uno dei genitori non lo è, spetta solo all’altro);
 il genitore deve aver terminato il congedo obbligatorio dopo il 31 dicembre 2022 (anche per un solo giorno).

A questi vincoli si aggiunge quello contenuto nella circolare INPS 45/2023: il congedo all’80% deve ricadere nei primi tre mesi di congedo parentale, che, in base alle nuove regole 2023, non sono trasferibili all’altro genitore. Questo di fatto esclude il beneficio per i neo-genitori che nel 2023 hanno già utilizzato tre mesi di congedo facoltativo.

La legge ha infatti modificato l’articolo 34 D. Lgs. 151/2001 come segue:

Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32, fino al dodicesimo anno di vita del figlio, a ciascun genitore lavoratore spetta per tre mesi, non trasferibili, un’indennità pari al 30% della retribuzione (elevata, in alternativa tra i genitori, per la durata massima di un mese fino al sesto anno di vita del bambino, alla misura dell’80% della retribuzione).

C’è dunque un esplicito riferimento all’utilizzo nell’ambito dei tre mesi non trasferibili all’altro genitore.

Riportiamo un esempio, contenuto nella circolare INPS, che chiarisce il concetto.

La madre dipendente fruisce del congedo di maternità dal 15 settembre 2022 al 15 febbraio 2023 e il padre dipendente prende tre mesi di congedo parentale dal 1° ottobre al 31 dicembre 2022 indennizzati al 30% della retribuzione (si tratta dei suoi 3 mesi non trasferibili) e utilizza un altro mese dal 10 gennaio al 9 febbraio 2023.
In questo caso, il mese di congedo parentale fruito dal padre nel 2023 è indennizzabile solo al 30% e non all’80% della retribuzione, perché «l’elevazione dell’indennità è prevista solo per uno dei tre mesi spettanti a ogni genitore e non trasferibili all’altro».
La madre, invece, considerato che ha terminato il congedo di maternità nel 2023, ha diritto al congedo parentale indennizzato all’80%, fino ai sei anni di vita del figlio.

Per finire, permangono purtroppo dei dubbi sulla modalità di richiesta del riconoscimento dell’indennità all’80%. La circolare, infatti, non fa alcun riferimento a questo aspetto e alcuni uffici territoriali INPS sostengono che sarà il datore di lavoro a corrispondere la retribuzione, senza specificare però con quali criteri e modalità (visto che i datori di lavoro non sono in grado autonomamente di conoscere l’utilizzo dei congedi da parte di entrambi i genitori e verificare quindi la presenza delle condizioni per il riconoscimento dell’indennità all’80%).

Mentre, tramite i patronati, tentiamo di ottenere da INPS la necessaria chiarezza, consigliamo comunque a lavoratrici e lavoratori di chiedere esplicitamente ai propri datori di lavoro il riconoscimento dell’integrazione all’80% quando ne ricorrano le condizioni sulla base delle regole e condizioni indicate sopra.

Alleghiamo il link al testo della circolare INPS 45/2023

Roma, 12 giugno 2023

 

ESECUTIVO DONNE FISAC CGIL NAZIONALE




Fringe benefit: ipotesi 1.000 euro per tutti + bonus figli

Fringe benefit per tutti e non solo per chi ha dei figli. L’ipotesi è sul tavolo di governo e maggioranza, che stanno provando a rivedere la norma del decreto lavoro, che alza di molto la soglia di non tassazione dei benefici aziendali ma circoscrive la platea solo ai lavoratori dipendenti con figli a carico. Lo scoglio però sono le coperture, su cui sono in corso le valutazioni del Mef. E sempre al Tesoro si guarda per un altro tema caldo, quello della possibile proroga dello smart working, che scade a fine giugno.

Smart working (per ora) accantonato

Le due modifiche potrebbero arrivare con l’esame degli emendamenti del decreto lavoro, su cui la commissione Affari sociali ha appena iniziato a votare. E che siano le due modifiche più sensibili lo conferma il fatto che gli emendamenti sul tema sono stati subito accantonati, in attesa che si concludano le verifiche sulle coperture.

In particolare, sui fringe benefit l’idea allo studio è di rimodulare l’intervento definito dal governo nel decreto lavoro, che innalza il tetto esentasse dagli attuali 258 euro a 3mila euro, ma solo per i dipendenti con figli. La volontà è di renderlo più efficace e la soluzione cui si pensa è di alzare un po’ meno la soglia, ma ampliando la platea: l’ipotesi allo studio è di portare quindi il tetto a 1.000 euro per tutti, aggiungendo 660 euro per ogni figlio, fino ad un massimo di tre.
In questo modo, per chi ha un figlio il tetto salirebbe a 1.660 euro, mentre per chi ne ha 3 si arriverebbe a 2.980 euro, sfiorando quindi i 3mila originari.

Verso l’Aula il 13 o 14 giugno

Il nodo però sono le coperture: la soluzione di cui sopra costerebbe circa 250 milioni, a fronte dei 142 milioni previsti dal decreto per alzare la soglia a 3mila euro solo per i dipendenti con figli. L’altro fronte su cui si lavora è quello dello smart working, che senza interventi scade il 30 giugno. L’idea che si fa strada, però, sarebbe quella di prorogarlo solo per i lavoratori fragili, e non anche per i genitori con figli under 14. In generale l’obiettivo è chiudere l’esame in commissione in settimana in modo da andare in Aula il 13 o 14 giugno, ha riferito il presidente della commissione Francesco Zaffini, esprimendo la volontà di «contribuire a migliorare un po’ il provvedimento, che è importante e che noi vogliamo lavorare. Qualcosa dell’opposizione verrà recepito, lo spirito è buono».

 

Fonte: Il Sole 24 Ore




Quanti soldi si possono prelevare da un conto cointestato?

Limite ai prelievi di contanti da conto cointestato e divisione della somma depositata: la guida legale


I conti correnti cointestati sono una soluzione comune per molte coppie e famiglie che vogliono gestire i loro soldi in modo condiviso. Succede, ad esempio, tra marito e moglie o tra genitori anziani e figli. Tuttavia, la questione di quanti soldi si possono prelevare da un conto cointestato può essere fonte di confusione e malintesi.

Per poter avere un quadro chiaro bisogna partire da un dato essenziale: avere un conto cointestato significa essere comproprietari del denaro in esso contenuto. In quale misura? Se non c’è un accordo specifico tra le parti, non oltre la metà. Ed allora ci si chiede: quanti soldi si possono prelevare da un conto cointestato? E cosa succede se si eccede?

Ci sono alcune sentenze che chiariscono come funziona il conto cointestato e quali sono i poteri della banca nell’ipotesi in cui uno dei correntisti dovesse prelevare più della propria quota. 

In questo articolo analizzeremo le diverse situazioni in cui è possibile prelevare denaro da un conto cointestato, i limiti legali e le eventuali conseguenze dell’eccedere questi limiti. Inoltre, forniremo alcuni consigli pratici per gestire al meglio un conto cointestato e evitare malintesi o conflitti con il cointestatario.


Come funziona un conto cointestato?

Il conto deve essere cointestato sin dal suo nascere: è quindi necessario che tutti i futuri intestatari del conto si rechino allo sportello della banca per sottoscrivere le condizioni di contratto. 

L’intestazione del conto può decidere di estinguere il rapporto ed aprirne un altro cointestato, sul quale girare il saldo; in tale ipotesi, secondo la Cassazione, si verifica una donazione della metà del denaro depositato sul conto, sicché il nuovo titolare del conto acquisisce in automatico la proprietà del 50% del deposito. Tuttavia è sempre possibile dimostrare che la cointestazione sia avvenuta per finalità diverse dall’intento di donare, ad esempio per ragioni logistiche (si pensi a un anziano che voglia cointestare il conto al nipote affinché gli gestisca i prelievi e i versamenti). Una prova di questo tipo potrà servire per evitare che, alla morte di uno dei titolari del conto, l’altro rivendichi la proprietà della metà.

Ci sono tre tipi di conto corrente cointestato:

  • a firma congiunta: per fare i prelievi e i pagamenti è necessario il consenso di tutti i correntisti;
  • a firma disgiunta: ciascun correntista può eseguire prelievi e pagamenti;
  • misti: in tal caso, è necessario il consenso di tutti i correntisti solo per prelievi e pagamenti oltre un certo importo.

Quindi, per stabilire quanti soldi si possono prelevare da un conto corrente cointestato bisogna innanzitutto verificare eventuali limitazioni contrattuali che richiedano appunto l’autorizzazione dell’altro cointestatario. 


C’è un limite al prelievo di soldi da un conto cointestato?

Nel momento in cui si ha un conto corrente cointestato, la legge impone di non prelevare mai una somma superiore a quella che è la propria quota. Tale quota deve essere stabilita dalle parti al momento della cointestazione. Spesso però non si chiarisce mai questo aspetto, così la giurisprudenza ha detto che, in assenza di un patto contrario, bisogna presumere che il conto vada diviso in parti uguali. Pertanto, in presenza di un conto cointestato a due persone, ciascuna di queste avrà la metà dei soldi; invece in presenza di un conto cointestato a tre persone, la divisione avverrà nei limiti di un terzo (ossia il 33,3%), e così via.

Come anticipato, se si vogliono stabilire quote diverse (ad esempio il 70% e il 30%) bisognerà prevederlo in un apposito accordo che, per evitare fraintendimenti, dovrà essere scritto.

Attenzione però: come si dirà meglio nel successivo paragrafo, seppure le parti sono tenute a rispettare la divisone del conto secondo la quota a ciascuna di esse spettante, questa circostanza non ha alcun rilievo nei confronti della banca. Poiché infatti il rapporto è caratterizzato dalla cosiddetta “solidarietà”, sia attiva che passiva, ciascun correntista può esigere dalla banca una somma anche superiore rispetto alla propria parte (salvo ovviamente sussista l’obbligo di firma congiunta). Né la banca è tenuta a verificare se il richiedente ha effettuato un prelievo per un importo maggiore rispetto alla parte che gli spetta. 

Cosa succede se una persona preleva più della propria quota?

Come si è appena detto, in caso di conto a firma disgiunta, la banca non è tenuta a verificare il rispetto delle quote di proprietà al momento dei prelievi. L’istituto di credito è infatti debitore nei confronti di ciascun cointestatario per l’intera somma depositata.

Pertanto, in caso in cui uno dei cointestatari prelevi una somma superiore a quella di sua proprietà, l’altro potrà rivalersi sicuramente contro di lui ma non già nei confronti dell’istituto di credito che, per questo, non ha alcuna responsabilità. 

Chi ha prelevato più della propria quota è tenuto, nei confronti dell’altro cointestatario, a restituire la differenza oppure a ripristinare la provvista sul conto.


Che succede se il conto corrente va in rosso?

Come sussiste la solidarietà attiva nei confronti della banca (sicché ciascun correntista può pretendere l’intero importo depositato, anche oltre la propria quota, salvi solo i limiti di firma), la legge prevede anche la cosiddetta solidarietà passiva: in pratica ciascun correntista assume una responsabilità in solido per le obbligazioni nascenti con l’istituto di credito. Ciò significa che se il conto dovesse andare in rosso, la banca potrà chiedere l’intera somma a ciascun cointestatario, indipendentemente da chi, tra questi, ha determinato lo sconfinamento.

 

 

 




Hai avuto un bambino quando ancora non lavoravi? Puoi farti accreditare i contributi figurativi

Il periodo di maternità obbligatoria che la legge prevede per le donne lavoratrici, per una durata di 5 mesi complessivi, vale per le donne che hanno rapporti di lavoro in corso al momento della maternità ma anche per chi vive la maternità fuori dal rapporto di lavoro. Queste lavoratrici possono richiedere gratuitamente l’accredito dei contributi figurativi, quantificabili in 22 settimane per ogni figlio.
La richiesta può essere inoltrata anche in caso di adozione.
Le 22 settimane vengono computate sia ai fini dell’anzianità contributiva, sia ai fini del calcolo del montante pensionistico complessivo.

Unico requisito richiesto, l’aver accumulato all’atto della domanda di accredito almeno 5 anni di contribuzione versata in Italia.

La richiesta può essere inoltrata per il tramite dei Patronati Inca Cgil; l’unica documentazione necessaria è un estratto dell’atto di nascita del figlio e i documenti di identità suoi e della richiedente.

 

RISCATTO PERIODO DI ASTENSIONE FACOLTATIVA

In aggiunta all’accreditamento dei contributi per l’astensione obbligatoria, è possibile anche procedere al riscatto del periodo di astensione facoltativa per maternità, qualora la stessa sia avvenuta al di fuori del rapporto di lavoro. Il riscatto può essere esercitato dalla madre o, in caso di figlio nato dopo il 18/12/1977, anche dal padre.
Resta la necessità di aver accumulato almeno 5 anni di contribuzione versata in Italia

In questo caso, tuttavia, l’operazione non è gratuita ma prevede un costo a carico del richiedente. Anche per questo consigliamo di rivolgersi ai nostri Patronati Inca Cgil per farsi effettuare un conteggio e valutare l’effettiva convenienza dell’operazione.

 

 

 




Assegno Unico 2023: non serve nuova domanda ma il rinnovo dell’ISEE

Assegno Unico 2023:
non deve essere inviata una nuova domanda ma va rinnovato l’ISEE.

 

Nel 2023 chi già percepisce dall’INPS l’ASSEGNO UNICO E UNIVERSALE PER I FIGLI A CARICO non dovrà presentare una nuova domanda. L’Istituto proseguirà automaticamente i pagamenti mensili anche dopo febbraio 2023 (data di scadenza della domanda 2022).
L’importo, a partire da marzo, sarà aggiornato in base al nuovo valore ISEE che, tramite il CAAF CGIL, dovrà essere nuovamente calcolato.
Clicca qui per scaricare il messaggio INPS con le modalità operative

Solo coloro che non percepiscono ancora l’ASSEGNO ma ne hanno diritto, dovranno recarsi al Patronato INCA CGIL per l’invio di una nuova domanda. Dovrà recarsi al Patronato INCA anche chi deve aggiornare la propria posizione (ad esempio per nascita di figli, inserimento o variazione di disabilità dei figli, modifica di frequenza scolastica per figli maggiorenni fino a 21 anni, separazione dei genitori, modifica delle modalità di pagamento, ecc.).
Clicca sulla tua regione per trovare il Patronato INCA CGIL più vicino a te in Abruzzo e Molise

Il calcolo dell’ISEE tramite il CAAF CGIL sarà invece necessario per percepire l’importo pieno dell’ASSEGNO. Se l’ISEE non verrà rinnovato entro marzo, a partire da quel mese l’INPS erogherà gli importi minimi previsti. Qualora l’ISEE venisse comunque poi calcolato entro il 30 giugno 2023, l’INPS corrisponderà anche gli arretrati spettanti a partire da marzo.

ISEE 2023: documenti necessari

Nel 2023 l’ISEE riguarderà la situazione reddituale (di tutti i componenti lo stato di famiglia) del 2021, per cui oltre le dichiarazioni dei redditi elaborate nel 2022 (o C.U. 2022) riguardanti il 2021, sono necessari saldo al 31/12/2021 e giacenza media 2021 di c/c, libretti, carte prepagate, ecc. Inoltre occorrono le targhe di auto e moto (con cilindrata superiore a 500) possedute al momento della domanda, situazione catastale dei fabbricati ed eventuali certificazioni di handicap, contratti di affitto e omologa di separazione/divorzio.

Clicca qui per scaricare il volantino completo con la documentazione per l’ISEE 2023

Per calcolare l’ISEE 2023, a partire dal 9 gennaio,
puoi fissare un appuntamento con il CAAF CGIL della tua provincia

Per contattarci clicca qui e trova l’ufficio più vicino a te.


www.caafcgilabruzzo.it                              www.incaabruzzomolise.it




Fringe Benefits: sale a 3.000 la soglia non tassabile

Sale la soglia entro cui le aziende possono riconoscere premi e bonus ai dipendenti senza pagare le tasse sulle somme erogate. Da 600 a 3.000 euro con il nuovo decreto Aiuti.


Il governo Meloni ha introdotto un bonus busta paga del valore annuo massimo di 3.000 euro. Lo fa col nuovo decreto Aiuti approvato in serata dal Consiglio dei ministri, con il quale viene innalzata la soglia, precedentemente di 600 euro, entro cui i datori di lavoro possono riconoscere ai propri dipendenti determinati beni e servizi senza doversi far carico delle tasse.

Del nuovo bonus da 3.000 euro (annui), infatti, non se ne farà carico lo Stato, bensì le aziende. Saranno i datori di lavoro, qualora lo volessero, a riconoscerlo, contribuendo così a sostenere il reddito dei loro dipendenti specialmente adesso che l’inflazione ha comportato una perdita notevole del potere d’acquisto degli stipendi.

Non sarà l’unica misura che garantirà un aumento di stipendio, visto che per il 2023 il governo ha in mente di attuare un nuovo taglio del cuneo fiscale (ma prima dovrà rifinanziare quello introdotto dal governo Draghi) così da garantire un aumento dello stipendio netto a parità di lordo.

Serve aumentare gli stipendi

Il problema è chiaro: l’inflazione, sommata al fatto che gli stipendi nel frattempo restano fermi al palo, sta erodendo il potere d’acquisto degli italiani. Serve, quindi, individuare un modo per aumentare le retribuzioni, ma non si può pretendere che tutto il peso dell’incremento gravi sulle aziende, anch’esse penalizzate dal rincaro dei costi dell’energia e dall’inflazione che ne è conseguita.

  • da una parte incentivando le aziende ad aumentare gli stipendi riconoscendo loro la possibilità di erogare bonus e premi esentasse;
  • dall’altra si interverrà sull’imposizione fiscale che grava sulle retribuzioni, con l’obiettivo di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale rispetto allo sgravio del 2% introdotto dal governo Draghi per l’anno corrente. In questo caso lo stipendio netto aumenterà, ma senza costi ulteriori per l’azienda visto che il lordo sarà lo stesso di sempre.

A tal proposito il nuovo decreto Aiuti fissa a 3.000 euro la soglia entro cui le aziende possono erogare bonus e premi in favore dei dipendenti senza dover pagare le tasse sull’importo corrisposto.

Il bonus 3.000 euro non è obbligatorio

Ovviamente non si tratta di un obbligo per l’azienda, la quale può anche scegliere di non fruire di tale possibilità. Inoltre, l’importo riconosciuto potrebbe anche essere più basso: 3.000 euro, infatti, è il limite annuo entro cui tale premio non sarebbe tassato.

Il vantaggio per l’azienda è chiaro: da una parte si punta al benessere del dipendente limitando la perdita del potere d’acquisto della retribuzione senza necessariamente dover procedere a un vero e proprio aumento strutturale di stipendio, e dall’altra si è certi dell’esborso richiesto visto che non bisognerà calcolare anche le imposte dovute sull’aumento.

Insomma, se un datore di lavoro vuole riconoscere un premio di 1.000 euro potrà farlo senza preoccuparsi di quanto gli costerà di aumento delle tasse, in quanto tale bonus sarebbe totalmente esentasse.

Il vantaggio sarebbe anche per il dipendente, che oltre a godere di un aumento ne beneficerebbe per intero, visto che entro il limite di 3.000 euro il bonus non rientrerebbe nell’imponibile.

Fonte: money.it




Salute e sicurezza: quali sono gli obblighi del Titolare di Filiale o del Responsabile dell’Ufficio?

Nei giorni scorsi sono stati finalmente accesi i riscaldamenti in molte filiali ed uffici.

L’accensione è avvenuta – in diversi casi – con colpevole ritardo. Ferme restando le indiscutibili esigenze di risparmio energetico, è bene ricordare che in Italia esistono comuni montani, per i quali l’accensione era concessa senza limitazioni di date, ed altri comunque freddi, dove l’accensione era consentita fin dal 22 ottobre.

Da diversi colleghi avevamo ricevuto segnalazioni di disagio dovute a temperature assolutamente inadatte a chi doveva trascorrere l’intera giornata in quei locali; eppure, nel momento in cui ci offrivamo di porre la questione e chiedere un intervento immediato, ci venivano opposte forti riserve causate da una sorta di timore reverenziale che nel caso specifico non ha ragione di esistere.

Per questo riteniamo necessario fornire alcuni importanti chiarimenti.

QUALI SONO GLI OBBLIGHI DEL PREPOSTO IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA?

Volendo riassumere in parole semplici gli obblighi che il Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs 81/08) pone a carico dei Preposti (che nelle aziende bancarie coincidono con i Titolari di Filiale ed i Responsabili degli Uffici), potremmo dire che la loro principale funzione è quella di rilevare qualsiasi situazione di pericolo e segnalarla tempestivamente al Datore di Lavoro. Non si tratta di una raccomandazione, ma di un preciso obbligo di legge, che prevede sanzioni anche pesanti in caso di inosservanza.

I reati contravvenzionali previsti dal T.U. prevedono:

  • l’arresto da uno a tre mesi
  • multe che possono variare, a seconda della violazione, da € 300 a € 2.000.

A questo si aggiunge il rischio concreto di essere considerato corresponsabile in caso di incidenti dovuti a pericoli non segnalati. Chiaramente l’obbligo di segnalazione riguarda situazioni di cui il Preposto sia venuto a conoscenza: non gli si potranno attribuire colpe per situazioni di cui non poteva ragionevolmente accorgersi.

Nella maggior parte dei casi, l’aver effettuato una segnalazione scritta esonera il Preposto da ogni responsabilità, lasciando ai competenti organi aziendali il compito di intervenire per rimuovere eventuali pericoli.
A titolo esemplificativo, se in filiale fossero presenti cavi elettrici logori o scoperti, tali da poter causare un corto circuito, il Titolare non dovrà nella maniera più assoluta improvvisarsi elettricista, ed avrà il preciso dovere di impedire che lo faccia uno dei suoi collaboratori. Dovrà invece segnalare per iscritto la situazione di pericolo all’RSPP. Questo lo libererà totalmente da responsabilità legate a quella specifica situazione di pericolo.

Tra gli altri doveri del Preposto  c’è quello di vigilare affinché i suoi collaboratori evitino comportamenti non idonei (è il caso, ad esempio, dell’osservanza del divieto di fumare negli ambienti di lavoro).

Il Preposto, inoltre, ha l‘obbligo di interrompere l’attività lavorativa sua e dei suoi collaboratori in presenza di situazioni di pericolo immediato: immaginiamo ad esempio un locale invaso da una forte puzza di gas.

Gli obblighi di segnalazione, e nei casi più gravi di interruzione dell’attività, riguardano anche le situazioni di inidoneità come temperature troppo basse o troppo alte. Anche in questi casi, la segnalazione all’azienda non rappresenta una facoltà né un dispetto all’azienda, ma un adempimento da svolgere necessariamente ai sensi della normativa vigente.

Il nostro consiglio, davanti a problematiche del genere, è di non affrontarle da soli ma farlo con l’appoggio di un RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) o di un rappresentante Sindacale RSA. In tal modo, oltre a coinvolgere soggetti che hanno come ruolo specifico quello di fare da tramite tra lavoratori e azienda, si delega a loro il compito di trasmettere la segnalazione.
L’intervento dell’RLS o dell’RSA può essere richiesto anche oralmente, ma è consigliabile farlo per email in modo da lasciare traccia dell’attività svolta. Ovviamente all’RLS o all’RSA può rivolgersi qualsiasi collega, indipendentemente dal suo incarico in azienda e dall’essere iscritto o meno ad un sindacato. Tutti i rappresentanti sindacali Fisac/Cgil sono a disposizione anche per questo tipo di situazioni.

Se tuttavia si preferisse inoltrare la segnalazione senza avvalersi di tramiti, si può fare utilizzando il modello allegato

Facsimile segnalazione di pericolo

 

SEGNALARE I PERICOLI DISTURBA L’AZIENDA?

Le banche rappresentano per fortuna un ambiente di lavoro molto meno insidioso rispetto ad una fabbrica o uno stabilimento artigianale, ma non vuol dire che non ci siano pericoli.

Pensiamo ad un armadio fissato male al muro, che cade addosso ad un impiegato o ad un cliente.
Un incidente del genere comporterebbe conseguenze importanti dal punto di vista patrimoniale, visto che l’Azienda si troverebbe costretta a risarcire i danni, e potrebbe comportarne sul piano penale, qualora si accerti che l’incidente è stato dovuto ad un comportamento negligente.
Davvero qualcuno pensa che segnalare tempestivamente il possibile pericolo, dando modo all’azienda di venirne a conoscenza e di intervenire prima di un eventuale incidente, rappresenti un “disturbo”?

Lo stesso discorso può essere esteso anche a pericoli meno immediati, ma comunque presenti. Un lavoratore che operi a lungo in un ambiente con temperature non adeguate potrebbe alla lunga ammalarsi e chiedere i danni all’azienda in caso di postumi invalidanti.
Stessa considerazione vale per un ambiente di lavoro con illuminazione non idonea, che alla lunga potrebbe causare danni alla vista di un dipendente, portandolo anche in questo caso a richiedere i danni.

In ognuna di queste situazioni, un Preposto inadempiente rispetto al suo dovere di segnalazione potrebbe essere considerato corresponsabile, venendo chiamato in causa anche ai fini di un eventuale risarcimento.

Per questo ribadiamo l’importanza di segnalare prontamente ogni situazione di disagio o di pericolo, ricordando che in questo modo non si fa un dispetto all’azienda; al contrario, la segnalazione tempestiva di una situazione di disagio o di pericolo è il modo migliore per tutelare i lavoratori e l’azienda stessa.

 

Fonte: Fisac Bper




Esonero contributivo del 50% per le mamme lavoratrici che rientrano al lavoro entro il 31/12/22

Le lavoratrici madri che riprendono l’attività entro la fine dell’anno, dopo l’astensione per congedo di maternità potranno godere, per un periodo massimo di un anno, di una riduzione pari al 50% della quota di contribuzione a loro carico, senza alcun effetto negativo dal punto di vista previdenziale. L’INPS, con Circolare n. 102/2022 pubblicata il 19 settembre, dà attuazione alla misura prevista in via sperimentale dalla legge di bilancio 2022. La misura riguarda il settore privato ed è valevole solo per il 2022.

L’esonero contributivo si applica anche nel caso in cui la lavoratrice decida di fruire del congedo di maternità facoltativo (congedo parentale) oppure qualora il rientro avvenga al termine del periodo di interdizione post partum. In ogni caso il rientro deve avvenire entro il 31 dicembre 2022.

La collega non ha necessità di richiedere l’esenzione, che viene riconosciuta direttamente dal datore di lavoro: il datore di lavoro dovrà inoltrare domanda all’Inps, che verificherà i requisiti autorizzando successivamente il riconoscimento dello sgravio alla lavoratrice. La riduzione del 50% della contribuzione (l’aliquota passa dal 9,19% al 4,595%) verrà quindi applicata per un anno dal datore di lavoro in busta paga, a prescindere dall’entità della retribuzione erogata.

Questa riduzione è cumulabile con l’ulteriore sgravio previdenziale del 2% previsto per i redditi fino a 2.692,00€ mensili.

 

dal sito fisacgruppointesasanpaolo.it