La questione morale in un Paese alla deriva
Non possiamo non essere d’accordo con chi sostiene che i doveri generali dei cittadini verso lo stato siano principalmente tre:
- il rispetto delle leggi e delle autorità
- il dovere di pagare i tributi
- il dovere di difesa della patria (da nemici interni o esterni).
E’ evidente che il non rispettare le leggi significa impedire la sicurezza e la prosperità dello Stato, poiché cessa il bene comune quando le azioni dei cittadini non sono più armonicamente coordinate a conseguire lo scopo sociale (automaticamente si deve rispetto anche alle autorità, cioè agli uffici che curano l’esecuzione delle leggi).
I tributi devono considerarsi come il corrispettivo dei vantaggi che tutti i cittadini ricavano dallo Stato; è necessario che ognuno paghi le imposte stabilite affinché l’autorità pubblica possa adempiere ai suoi uffici e provvedere a tutte le opere di pubblica utilità.
I cittadini hanno il dovere di intervenire alle elezioni e di scegliere i rappresentanti tra le persone competenti ed oneste, che abbiano voglia e tempo per consacrarsi all’amministrazione pubblica. Gli elettori politici devono accorrere alle urne e non coprire la propria pigrizia ed indifferenza con le solite parole che un voto più o meno non fa nulla; dovremmo tutti votare deputati persone che, per capacità, moralità e dignità civile siano degne di sedere nel Parlamento, persone, cioè, che mettono innanzi alle questioni di partito l’interesse dei cittadini e vogliono esercitare l’ufficio di deputato per il bene comune e non per ambizione o interesse personale; persone, quindi, che devono avere il coraggio civile di resistere alle beghe elettorali, di dare i loro voti a governi meritevoli.
I deputati e senatori, che sono chiamati a discutere le leggi ed a regolare i grandi interessi materiali e morali della nazione, devono assiduamente intervenire alle sedute, ponderare i bisogni dello Stato, per vedere con quali mezzi il Parlamento possa provvedere, studiare le questioni e nelle discussioni esporre con franchezza la propria opinione, devono votare secondo la propria coscienza, mettendo da parte gli impicci di partito e gli interessi personali, non astenersi dalle votazioni in aula per non avere fastidi o per vigliaccheria. Chi non si sente capace di tanto dovrebbe avere la lealtà di rinunciare all’incarico, piuttosto che non esercitarlo ovvero esercitarlo in modo riprovevole. Il dovere di tutti i funzionari dello Stato, dal più alto al più umile, si riassume in questo: esercitare secondo coscienza le cariche dello Stato in maniera che sia raggiunto lo scopo per il quale la carica è stata loro affidata, ossia per il bene pubblico.
Purtroppo, prendiamo atto che il politico tende ad avere una doppia coscienza, una usata per giudicare le azioni private e l’altra per giudicare le azioni pubbliche. Si diventa non poco scrupolosi nell’adempimento di questioni private e non si guarda poi tanto per il sottile allorché si tratta di esercitare una carica pubblica, che essi oramai considerano più che altro come mezzo del proprio benessere. Questo per dire che ci si salva nella gestione domestica, ma si diventa pessimi cittadini nella gestione pubblica. Tutto deriva dalla cattiva educazione civile, per la quale non si considera che nell’uomo non si può separare la condizione di individuo da quella di cittadino e l’obbligo di perfezionare se stesso dal dovere di adoperarsi ugualmente al bene dei concittadini e dello Stato in generale.
Forse non sbaglia chi sostiene che possiamo additare il dovere d’ogni pubblico ufficiale allo Stato sostenendo che la carica pubblica è il modo pratico e concreto di adoperarsi per il bene della nazione. Sempre più spesso sentiamo parlare in Italia di questione morale dei partiti politici e di assenza di ogni morale da parte della gran parte dei nostri politici, con giudizi estremi carici di rabbia e di risentimento. Ma siamo sicuri di avere le idee chiare su questo delicato campo?
Forse la prima cosa da fare è riflettere su che cosa è (o dovrebbe essere) l’atto morale. Per cercare di avere una maggiore luce nella nostra mente, proviamo a porci la seguente semplice domanda: In che consiste l’atto morale?
Possiamo cominciare con l’osservare che le azioni materialmente prese, ossia considerate isolatamente (in se stesse) sono neutre: non sono né morali, né immorali; essi diventano tali in quanto si riferiscono ad altri individui ai quali possono giovare o nuocere. Quindi, la moralità di un’azione dipende, in primo luogo, dalla conformità ad un diritto altrui e, poiché il diritto, sia di un individuo sia di una società, in generale è protetto da una legge, possiamo affermare che la moralità dipende dalla conformità alla legge. Ma forse non basta solo una azione; probabilmente opera anche la volontà del soggetto operante.
In sostanza, affinché una azione possa dirsi morale o immorale è necessario che derivi dalla spontaneità dell’individuo (da una azione cosciente e volontaria): è l’intenzione che guida il soggetto ad operare. Quindi, a costituire l’atto morale entrano elementi oggettivi e soggettivi: l’elemento oggettivo è indipendente dal soggetto ed è il rapporto tra l’azione e la legge della società civile; l’elemento soggettivo è la coscienza dell’opera. Entrambi sono necessari a costituire i fatti morali e da ciò nascono l’imputabilità della responsabilità dell’uomo. E’ imputabile una azione quando si deve ascrivere a chi l’ha commessa, quando, cioè è volontaria ed è volontaria quando l’uomo, avendo coscienza di ciò che opera, si determina a fare certi atti per conseguire un fine previsto e stabilito.
Tutto questo per poter affermare che uno degli elementi che costituiscono l’onestà di un atto è la conformità alla legge, la quale come regolatrice di costumi, chiameremo legge morale. Ora, è utile farsi una seconda domanda, ossia chiediamoci: ma, in che consiste la legge morale?
Il fine dell’uomo è il bene dell’individuo in armonia con il bene della società. L’uomo sente la necessità morale di governare le proprie azioni in maniera che ne derivino il bene proprio e il bene altrui. Quindi, ciò che si dice legge morale, noi lo possiamo definire come la necessità di governare le nostre azioni in maniera che il bene individuale sia in armonia con il bene degli altri. Da ciò deriva che la società umana deve difendersi da coloro i quali possono riuscire pericolosi all’esistenza ed al benessere sociale e ciò essa la fa punendo i colpevoli attraverso una Sanzione, la quale è un ufficio di repressione del reato. In pratica, la società si muove come ogni essere vivente, che guidato dall’istinto guida di conservazione si difende contro chi minaccia la propria esistenza.
E’ evidente che per avere la sanzione abbiamo la necessità delle leggi positive o civili, cioè di alcuni obblighi che l’autorità sociale impone al cittadino; obblighi i quali hanno per scopo di regolare le azioni di cittadini in maniera che ciascuno possa esercitare i propri diritti per il bene proprio e per il bene sociale. Come gli individui hanno costituito le famiglie, così le famiglie riunendosi insieme, per un interesse comune, hanno dato origine ad un’altra aggregazione che possiamo definire come la società civile, la quale è l’unione di più famiglie (e città) soggetta alla medesima autorità e regolata dalle stessi leggi.
La necessità della società civile è dimostrata dal bisogno dell’uomo, il quale ha riconosciuto che la famiglia non era sufficiente al perfezionamento umano e che la civiltà può essere solo il risultato dello sforzo comune di grandi consorzi, nei quali ciascuno, con mezzi differenti e coordinati, intente al bene comune (pensiamo alla divisione del lavoro). L’umanità si perfeziona quando in quei grandi consorzi, che si dicono società civile o politica, i cittadini attendono a cose diverse. Passiamo, ora, a porci una terza domanda, ossia, ci chiediamo: ma che cosa è la società civile?
Essa è un consorzio perenne di uomini, donne, famiglie e città che vivono sotto leggi comuni. Risalendo alle origini del genere umano, vediamo che: il bisogno della propagazione della specie ha costituito la società coniugale, la necessità di allevare la prole ha condotto l’uomo alla società domestica, poi, l’aumentare della famiglia e la molteplicità dei matrimoni, la necessità di dividere il lavoro nei terreni, hanno reso più complessi i consorzi umani che si sono raccolti in società patriarcale, in cui più famiglie vivevano insieme sotto la dipendenza della famiglia madre.
La società patriarcale era formata di soli parenti e gli uomini e le donne lavoravano per loro stessi, per i figli e per i nipoti, ma le esigenze di produzione di maggiori alimenti portarono alla formazione delle proprietà collettive su grandi estensioni di terreni, i quali venivano suddivisi e lavorati da varie famiglie, che si unirono in tribù. Queste tribù dovettero governarsi o per federazione di padri di famiglia, formando una specie di aristocrazia, o per mezzo di un capo supremo eletto tra i guerrieri più forti.
Dalle tribù è breve il passaggio alla nazione, che possiamo definire l’insieme di tutti quegli uomini che hanno in comune la lingua, le tradizioni e la patria (ossia, il territorio nel quale si svolge la vita della nazione). Alla società civile occorre un potere supremo, ossia, un’autorità sovrana a cui dovranno sottostare tutti i cittadini e questo potere si concretizza nel governo, il quale è il mezzo con il quale la società civile regola e garantisce l’esercizio della libertà dei cittadini. Il governo deve limitarsi alle azioni civili, vale a dire agli atti dell’uomo come cittadino, senza intromettersi nelle azioni private, che non riguardano affatto la convivenza sociale.
Ciò che più importa per il retto funzionamento di un governo rappresentativo è che si determinino le attribuzioni di ciascuno dei tre poteri dello Stato in maniera che nessuno possa invadere il campo dell’altro.
Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti