Guide Fisac Cgil: la lettura della busta paga – Abi

Pubblichiamo l’aggiornamento di settembre 2023 della nostra guida alla lettura della Busta Paga nel settore ABI, che ci auguriamo possa essere un valido strumento di approfondimento e lavoro.

La Busta Paga nelle Banche – settembre 2023

 

Ricordiamo che tutte le guide sono disponibili sulla nostra pagina guide e manuali




Il colpo di calore nei luoghi di lavoro

Di seguito le info-grafiche preparate dall’INCA di Bologna.


 





Assicurazioni: Report Fisac Cgil, settore a 2,3 mld di euro di utili nel 2022

Susy Esposito: “Confermata resilienza e redditività, base per sviluppi della contrattazione”


Il settore assicurativo ha generato nel corso del 2022 utili di bilancio pari a 2,3 miliardi di euro, in calo rispetto ai 6,7 miliardi di euro del 2021, manifestando comunque un’importante resilienza in un anno particolarmente difficile, tra tensioni geo-politiche e andamento negativo dei mercati finanziari che non hanno lasciato indenni i mercati assicurativi dei principali paesi europei. È quanto emerge in sintesi in un report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil sul settore assicurativo basato sui dati Ania relativi ai bilanci 2022, rispetto al quale, osserva la segretaria generale della categoria, Susy Esposito, “gli elementi complessivamente positivi che emergono dall’analisi, sul fronte della resilienza e della redditività del settore, costituiscono una base importante per gli sviluppi presenti e futuri della contrattazione, di primo e secondo livello”.

Nel merito del rapporto della Fisac Cgil si evidenzia come il settore Vita ha chiuso lo scorso anno in perdita di 0,4 miliardi di euro per la prima volta negli ultimi dieci per effetto del calo dei premi e l’aumento delle minusvalenze nette. I rami Danni hanno invece raggiunto un utile, sempre relativamente allo scorso anno, pari a 2,7 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 2,4 miliardi di euro del 2021. “Rispetto agli altri paesi l’Italia è stata complessivamente resiliente – commenta Esposito -, anche se il mercato assicurativo Vita ha subito una significativa flessione e ha risentito in particolare della concorrenza dei titoli di Stato”.

Il settore assicurativo si è confermato nel complesso “molto solido”, e, come riporta la Fisac Cgil, evidenza “indici di solvibilità (Solvency capital requirement II – Scr Ratio) quasi stabili, rimanendo a livelli di assoluta sicurezza pari al 247% a fine 2022 rispetto al 252% di dicembre 2021. In altre parole i fondi propri (145 miliardi di euro) risultano essere 2,5 volte il requisito di capitale di solvibilità (Scr pari a 59 miliardi di euro) per una eccedenza positiva, a ulteriore garanzia degli impegni assunti, pari a 86 miliardi di euro”. Infine la Fisac Cgil fa sapere che nel prosieguo del 2023 verrà monitorato l’andamento del settore, con particolare riferimento agli sviluppi della situazione di Eurovita che, al momento, sembra incanalata verso una risoluzione tramite la collaborazione tra istituzioni, principali compagnie Vita, istituti di credito, assieme alle organizzazioni sindacali, volta a tutelare dipendenti, assicurati e risparmiatori.


Scarica il report




Rialzo dei tassi di interesse, emergenza mutui ed altro

Il progressivo aumento da parte della BCE dei tassi di interesse sta facendo velocemente aumentare, in maniera importante, la rata dei mutui a tasso variabile, e impatta, ovviamente, anche sui nuovi mutui e le surroghe a tasso fisso, così come su tutti i prestiti in genere; questo a sicuro danno delle famiglie e delle imprese. Su tale fronte la CGIL e la Fisac sostengono che la soluzione non è nel solo rialzo dei tassi di interesse, se allo stesso tempo non si scommettere su una maggiore inflazione da domanda, attraverso il ruolo economico dello stato, che devono promuovere la piena e buona occupazione, sostenere i redditi e la spesa pubblica per investimenti e welfare.

In tale contesto dove possibile, comunque in stretto raccordo tra tutte le nostre strutture, ci troviamo impegnati al confronto con le aziende per ottenere, dalle stesse, la revisione delle condizioni di prestito a tasso agevolato ai propri dipendenti. In alcuni casi (vedi ad esempio alcuni accordi raggiunti in questi ultimi giorni), si stanno ottenendo risultati in tal senso. Risultati che possono poi in parte essere vanificati dalla attuale normativa fiscale.

Infatti, nel caso in cui il tasso applicato al prestito risulti inferiore al tasso di riferimento BCE, la differenza degli interessi da ciò derivante costituisce un benefit ed impatta sul trattamento fiscale relativo ai “fringe benefit”, quindi anche se si ha un vantaggio rispetto l’onerosità degli interessi da corrispondere si può incorrere in un impatto penalizzante sulla tassazione fiscale.

Per approfondire: https://www.fisac-cgil.it/124305/i-fringe-benefit-e-le-modifiche-per-il-2022

 Come noto anche su questo tema, già da tempo, la CGIL e la Fisac sono fortemente impegnate, anche in sede parlamentare (con emendamenti e ordini del giorno), per provare a correggere strutturalmente la stortura fiscale che sta comportando grandi problemi alle lavoratrici e ai lavoratori beneficiari di prestiti o mutui erogati a tassi di interesse agevolati.

Per approfondire: https://www.fisac-cgil.it/131088/segreteria-nazionale-fisac-fringe-benefit-e-mutui-il-decreto-lavoro-non-risolve-il-problema-ma-non-e-finita

La Fisac-CGIL è disposizione di tutti voi e continuerà ad esercitare insieme alla CGIL tutte le pressioni del caso per risultare incisivi, auspicando che già nella prossima Legge di bilancio possano essere previste misure utili ad alleviare le gravi difficoltà in cui versano le colleghe ed i colleghi coinvolti.

Roma lì 4 agosto 2023

Il Coordinamento Nazionale FISAC CGIL Credito Cooperativo




CGIL Abruzzo Molise: premiati i volontari del fango

Venerdì scorso si è svolta a Francavilla l’Assemblea Generale della Cgil Abruzzo Molise.

Al termine dei lavori le delegazioni della CGIL Forlì e della CGIL Cesena hanno premiato tutti i volontari che sono partiti per portare la solidarietà della CGIL Abruzzo Molise alle popolazioni che hanno sofferto a causa delle disastrose alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna nel mese di maggio.

Durante la cerimonia, che ha visto momenti di commozione autentica, è stato consegnato un attestato di riconoscimento a tutti i volontari che hanno preso parte alle attività promosse dalla CGIL Abruzzo Molise, dallo SPI CGIL Abruzzo Molise e dalle Camere del Lavoro Territoriali, a sostegno degli uomini e delle donne colpite dall’alluvione.

Tra i premiati segnaliamo il nostro Gabriele D’Andrea, Segretario generale della Fisac Cgil Molise. A lui, e a tutte le compagne e i compagni che hanno prestato la loro opera di volontariato, va il sentito ringraziamento della Fisac Abruzzo Molise




Emergenza mutui, lavoratori in ginocchio

Aumento dei tassi, alta inflazione, prezzi alle stelle, salari in calo: queste le componenti di una situazione che sta mettendo in crisi le famiglie.


 

La corsa al rialzo dei mutui non si ferma. Lo sanno bene le famiglie alle prese con un prestito per l’acquisto della prima casa: se è a tasso variabile si ritrovano a sborsare 212 euro in media in più al mese rispetto all’anno scorso, con un aumento medio del 44 per cento.

Secondo le rilevazioni di Federconsumatori, che ha fatto i calcoli su un mutuo di 115 mila euro per 25 anni, mentre nel 2021 il tasso andava dallo 0,60 allo 0,98 per cento a seconda della banca di cui si è clienti, nel 2022 è passato all’1,45-2,56 per cento, per arrivare a toccare nel 2023 il 4,67 nella migliore delle ipotesi, e il 6,27 nella peggiore. Tradotto: quest’anno rate più care di minimo 2.300, massimo 2.900 euro.

Cifre insostenibili, soprattutto perché si aggiungono alla crescita generalizzata dei prezzi, dalle bollette agli alimentari. E che sono destinate ad aumentare. Per i prossimi mesi, infatti, non si prevede uno stop. Secondo quanto confermato dalla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, ci saranno ulteriori incrementi entro fine anno, a luglio e a settembre.

Rialzo imponente e veloce

“Si tratta della manovra di rialzo dei tassi più imponente e veloce della storia dell’istituzione di Francoforte – scrive in una nota l’ufficio studi della Fisac Cgil -. La Bce ha portato il tasso di rifinanziamento principale al 4 per cento dallo 0,5 che si era registrato fino a ottobre 2022”. Entro dicembre, quindi, il tasso di riferimento potrebbe attestarsi al 4,5.

L’obiettivo della Bce è domare l’inflazione, che in tutti i Paesi della zona euro ha visto un’impennata straordinaria a fine 2022: in Italia ha toccato quota più 12,3 per cento, la media dell’anno è stata 8,1. Nonostante queste manovre, però, l’inflazione è rimasta molto alta dappertutto (tranne che in Spagna), comunque superiore al target che ha fissato la Bce, che è intorno al 2 per cento.

Politica troppo tradizionale

È la classica politica da banca centrale: in momenti di alta inflazione, si alzano anche i tassi. Questo avviene in assenza di una più profonda comprensione delle cause di fondo che sono alla base del fenomeno, scrive Fisac Cgil, e adottando le raccomandazioni stantie sul contenimento delle rivendicazioni salariali per evitare la cosiddetta spirale salari-inflazione.

Ma la realtà è molto più complessa. Nei primi nove mesi del 2022 l’inflazione si è innalzata a causa della crescita del costo dell’energia, in particolare del gas, dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Tra settembre 2022 e luglio 2023 le quotazioni dell’energia sono crollate, ma l’inflazione è scesa solo in parte (le previsione a fine 2023 parlano di un più 5,5 – 6,5 per cento). Il motivo? L’incremento dei profitti delle grandi aziende (lo conferma il Fondo monetario internazionale), e il fatto che i prezzi crescono, appunto, mentre i salari restano fermi al palo, anzi calano.

“La Bce ha gestito questo cambio di politica monetaria in maniera troppo repentina e troppo tradizionale – afferma Cristian Perniciano, che si occupa di politiche fiscali per la Cgil nazionale -: ha posto restrizioni al credito e quindi alla domanda. Il metodo adottato non va bene per questo tipo di incremento dell’inflazione. Il ragionamento è stato: abbassando la domanda si abbassa anche l’inflazione. Ma questo vale se l’inflazione è da domanda, come negli Usa. La nostra invece è dovuta all’incremento dei beni importati, gli energetici”.

Lavoratori colpiti più volte

Ricapitolando: a causa dell’inflazione crescono i prezzi di tutti i beni, dagli alimentari all’abbigliamento, dai carburanti alle bollette. Come risposta la Bce aumenta i tassi, e così aumentano anche i prestiti e i mutui a tasso variabile. Quindi le tasche dei cittadini-lavoratori vengono colpite due volte.

Ma almeno, verrebbe da dire, se si sono alzati i tassi di prestiti e mutui, si saranno alzate anche le remunerazioni dei depositi, con un vantaggio per chi ha soldi in banca. E invece no: il tasso di interesse applicato a maggio 2022 era 0,31, un anno dopo, 0,68 per cento. Va peggio ai conti correnti: si è passati da valori negativi allo 0,32 per cento. Questo accade anche perché le banche non hanno bisogno di liquidità. A guadagnarci, quindi, sono solo le banche.

Nel frattempo le famiglie e in particolare i lavoratori dipendenti hanno visto ridursi il salario reale: secondo l’Ocse, l’Italia è il Paese dove si è registrato il più forte calo tra le economia industrializzare. Meno 7,3 per cento nel primo trimestre del 2023, contro il meno 3,3 della Germania, meno 1,8 della Francia, meno 0,7 degli Stati Uniti.

Rinnovare i contratti

La ricetta è il rinnovo dei contratti: sono oltre 30 quelli in attesa, relativi a circa 7 milioni di dipendenti, oltre il 55 per cento del totale. “Per contrastare l’inflazione da profitti – afferma la segretaria generale di Fisac Cgil Susy Esposito – serve con urgenza rinnovare i contratti nazionali, con aumenti che siano in grado di compensare i gap inflattivi, oltre alla redistribuzione della maggior produttività settoriale. E serve agire parallelamente sul controllo dei prezzi, con un più stringente ruolo delle authority sulle tariffe e con la tassazione degli extra profitti registrati in questo periodo”.

Famiglie in emergenza

“Quella dei mutui si sta configurando come una vera e propria emergenza – rincara Michele Carrus, presidente di Federconsumatori -, sono sempre di più le famiglie in difficoltà con il pagamento delle rate che si rivolgono ai nostri sportelli per chiedere supporto. In questo senso, è ancora inadeguata l’opzione messa in campo dal governo, che permette di rinegoziare il mutuo a un tasso fisso, ma solo a determinate condizioni: la prima è quella di non risultare morosi. Soluzione che tra l’altro non tutti gli istituti di credito sono disposti ad applicare”.

Le proposte

“Il problema è che oggi le banche non la concedono la surroga, perché non sono obbligate – afferma Perniciano -. Le misure proposte dall’Abi sono soft e vengono lasciate alla discrezionalità degli istituti di credito. Il mutuo è un prodotto finanziario complesso e sofisticato e oggi ancora di più prima di sottoscriverlo servono attenzione e consulenza”.

Secondo l’associazione dei consumatori è necessario prevedere un ampliamento del fondo di solidarietà Gasparrini per i mutui sulla prima casa, concedendo l’accesso anche a chi è in mora da oltre 90 giorni, consentire la rinegoziazione del mutuo con rate sostenibili, per esempio differendo il pagamento di una quota degli interessi aggiuntivi maturati, aggiungendo rate in coda al piano di ammortamento, consentire la rinegoziazione o la surroga a tasso fisso (quella prevista in legge di Bilancio) anche ai morosi e ampliare la soglia Isee e il limite massimo del mutuo per fruire di questa opzione.

 

Fonte: www.collettiva.it




CCNL ABI: primo incontro a Roma

3 - Fisac Cgil

 

Oggi alle ore 11:00 nella sede Abi di Palazzo Altieri a Roma, le Organizzazioni Sindacali hanno illustrato la Piattaforma unitaria per il rinnovo del CCNL del Credito, approvata dal 99,5% delle lavoratrici e dei lavoratori nelle assemblee, alla delegazione del Casl ABI, comprensiva dei rappresentanti di Intesa Sanpaolo.

La Presidente del Casl Ilaria Dalla Riva, dopo un breve saluto, lascia la parola alle Organizzazioni Sindacali.

Avendo inviato la piattaforma in precedenza e partendo da un’analisi condivisa del contesto e dai risultati straordinari del settore, le Organizzazioni Sindacali hanno sottolineato alcuni punti: 

  • l’aumento delle retribuzioni a fronte delle dinamiche inflattive, della redditività e produttività; 
  • contrattazione collettiva d’anticipo necessaria per gestire i cambiamenti; 
  • partecipazione dei lavoratori;
  • qualità e quantità dell’occupazione per invertire la rotta della riduzione degli organici, la chiusura delle filiali e l’abbandono di molti territori; 
  • orari, flessibilità e benessere lavorativo; profili professionali e sviluppo di carriera; 
  • welfare e diritti. 

Le Organizzazioni Sindacali hanno anche ribadito la centralità del CCNL.

Inoltre, è stata sottolineata la necessità di chiudere in tempi brevi l’accordo sul CCNL. 

 

Le Segreterie Nazionali
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN


 

“C’è bisogno di un contratto che guardi al futuro, che si cali nelle grandi trasformazioni che attraversano il settore bancario. Un contratto nazionale che sia forte e che, soprattutto, riconosca alle lavoratrici e ai lavoratori il contributo offerto in questi anni segnati da risultati straordinari in termini di redditività e produttività per le banche”. Così la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, sull’avvio della trattativa in Abi per il rinnovo del contratto nazionale del settore del credito e che interessa circa 280 mila lavoratrici e lavoratori.

In questa fase, aggiunge la dirigente sindacale, “che ha registrato per il settore bancario una produttività più alta dell’inflazione e dove la redditività del sistema ha generato, solo per lo scorso anno, utili complessivi superiori ai 14 miliardi, è un dovere per la nostra controparte rispondere ai bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dalla richiesta salariale. Abbiamo bisogno di un contratto che sia legato ai tempi che stiamo vivendo, così come abbiamo bisogno di un sistema bancario che abbia un’idea forte su quale ruolo giocare per lo sviluppo del paese”.

Per queste ragioni, prosegue la segretaria generale della Fisac Cgil, “il contratto dovrà agire sul tema della qualità e della quantità dell’occupazione, per sovvertire un processo di continuo restringimento. E sarà necessario confrontarsi sui temi della riduzione dell’orario, sull’introduzione di nuove flessibilità e sul benessere lavorativo, fornendo risposte anche su profili professionali e sviluppi di carriera. Il cambiamento è in atto, il sindacato è pronto alla sfida”, conclude Esposito.

 

 




Convenzione con Università Telematica Pegaso per iscritti alla Fisac Cgil

Convenzione fa rima con FORMAZIONE!

 

La Fisac CGIL ha aderito alla convenzione della CGIL stretta con l’Università Telematica Pegaso che consente alle iscritte e agli iscritti al nostro sindacato l’accesso al catalogo formativo con costi davvero ridotti.

Corsi di Laurea

Gli studenti iscritti e iscritte alla Fisac CGIL possono beneficiare di un costo di iscrizione annuale ai Corsi di Laurea ribassato di oltre il 30% rispetto al normale costo al pubblico.
Che significa in alcuni casi, un taglio di 1000 euro.

Dovranno allegare alla domanda di iscrizione un documento che attesti l’iscrizione alla Fisac CGIL, come la tessera o il PDF sostitutivo.

Figli e figlie? La convenzione è valida anche per loro, per il coniuge, il convivente e i figli come previsto dalla L. 76 /2016 sulle unioni civili.

Master e corsi

Per i Master e i Corsi di Alta Formazione la convenzione FISAC Cgil dà diritto a sconti sui costi di iscrizione che in alcuni casi possono arrivare al 40% del normale costo al pubblico.

Per maggiori informazioni sull’offerta formativa e per iscrizioni visita il sito dell’ateneo:
www.unipegaso.it

Fraterni saluti


Il Segretario Organizzativo Fisac Cgil Nazionale

Cristiano Hoffmann

 

Roma, 14 luglio 2023




I furbetti dell’inflazione: così le banche hanno quasi raddoppiato i profitti grazie ai nostri soldi

Liquidità a costo zero grazie ai nostri conti corrente e maggiori rendimenti dovuti a inflazione e aumento del costo del denaro: è boom di extraprofitti, nel settore bancario, non redistribuiti quasi mai tra i risparmiatori. 


Un incendio con un estintore sempre meno efficiente. Si può riassumere così l’aumento dei prezzi che la BCE prova ormai, da oltre un anno, ad attenuare tramite l’aumento dei tassi di interesse. E l’inflazione, parola che ormai avevamo relegato ai ricordi del secolo scorso, è ormai entrata a far parte prepotentemente delle nostre vite. Ce ne rendiamo conto quando andiamo al supermercato o proviamo a sottoscrivere un mutuo o un finanziamento. O quando sospiriamo davanti al conto di un ristorante o di una bolletta, magari arretrata.

Ma per qualcuno l’aumento dei prezzi è stato finora un affare. E se a lungo si è parlato degli extra-profitti dei colossi dell’energia, l’evidenza è che gli utili delle banche, l’anno scorso, sono letteralmente volati. Come? Facendo affari con i nostri risparmi e remunerandoci infinitamente meno di quanto incassato.

I mega-profitti delle banche italiane

A fare luce sui mega-profitti delle banche italiane ci ha pensato ultimamente uno studio della Fisac-Cgil che ha preso in considerazione i sette maggiori gruppi bancari italiani nel corso del 2022. Il loro utili si sono attestati su 13,3 miliardi di euro: l’aumento rispetto al 2021 è del +60,5%. Lo studio evidenzia come questa crescita sia trainata essenzialmente dall’aumento dei margini di interesse (che comprendono i nostri finanziamenti e i nostri mutui) e dai risultati finanziari degli investimenti effettuati. Il tutto mentre i costi rimangono tutto sommato stabili.

La congiuntura determinata da inflazione e costo del denaro ha generato per le banche forti utili. Abbiamo calcolato, solo guardando ai primi cinque grandi gruppi, che, considerando le operazioni di buyback (riacquisti di azioni proprie ndr), dopo il cambio di politica della Bce post pandemia, la remunerazione totale per gli azionisti, sia diretta che indiretta, è risulta essere pari ad oltre 10,5 miliardi di euro. Per l’intero settore parliamo di più del doppio. Si tratta di una ricchezza che va assolutamente redistribuita, a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori del sistema bancario, e messa a disposizione per gli investimenti a sostegno del sistema paese” sottolinea Susy Esposito, segretaria di Fisac Cgil.

Come si vede gran parte degli utili (circa il 24,5%) sono stati divisi poi con gli azionisti in forma di dividendi: anche in questo caso la remunerazione è stata alta (+46,5%) rispetto al 2021. Quelli che non vedono un euro (o ne vedono molto pochi) sono ovviamente i correntisti e i dipendenti. Se infatti gli utili sono previsti in crescita anche nei prossimi anni, la stessa cosa non si può dire per quello che riguarda i lavoratori del settore.

Il settore bancario è infatti uno di quelli più sottoposto a dinamiche di automazione e digitalizzazione. Tradotto: i dipendenti si sono già ridotti e, tra prepensionamenti e piani di ristrutturazione, tenderanno a assottigliarsi sempre più. E  se gli utili non finiscono nelle tasche dei lavoratori e dei correntisti, finiscono indubbiamente nelle tasche dei manager: un CEO guadagna oggi in media come 86 lavoratori del settore. I due top manager di Intesa San Paolo e Unicredit guadagnano qualcosa come 7 milioni e mezzo di euro l’anno.

Ma al di là di tutto questo, la vera domanda è: perché l’inflazione ha favorito i profitti bancari? E cosa c’entrano i nostri risparmi?

Come nascono gli extraprofitti delle banche e cosa c’entra l’inflazione

Il presupposto è che la maggior parte della ricchezza degli italiani è ancora accumulata nel patrimonio immobiliare e nei conti correnti. Nei primi mesi del 2022, i soldi depositati dagli italiani nei conti correnti sfioravano i 1159 miliardi di euro. Parliamo di soldi raccolti dalle banche a costo zero che non fruttano praticamente nulla ai correntisti. E che, in un momento di rialzo dell’inflazione e dei tassi diventano uno strumento importantissimo di profitto.

“L’aumento degli utili delle banche è legato all’aumento dei tassi di interesse: da un lato i prestiti per le imprese e le famiglie sono diventati più onerosi, dall’altro lato una parte importante della raccolta bancaria non ha registrato aumenti significativi – osserva Paolo Canofari, professore Associato in Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali dell’Università Politecnica delle Marche – È inutile osservare che nessuno di fatto va a contrattare nuove condizioni sui conti deposito o conti corrente. Di fatto gran parte della raccolta è rimasta a costo zero a fronte di rendimenti crescenti. Le banche lucrerebbero di meno se gli aumenti andassero di pari passo al costo della raccolta, ma quest’ultimo è aumentato di pochissimo. Del resto i titoli bancari stanno andando da tempo molto bene: è un simbolo della loro attrattività dal punto di vista dei profitti”.

Per rendersi conto di cosa stiamo parlando è sufficiente dare uno sguardo al grafico sotto. Il tasso di interesse dei conti corrente nominali è praticamente negativo se si considerano le spese di gestione. La remunerazione dei conti deposito aumenta, ma si mantiene su cifre abbastanza basse rispetto a quelli applicati sui finanziamenti.

Come si vede chiaramente il tasso di interesse medio chiesto per i finanziamenti (come i mutui o l’acquisto di un’auto) è nettamente superiore a quello offerto come rendimento sui conti deposito. Parliamo di un prodotto finanziario dove mettere da parte somme di denaro (vincolate o meno) con margini di redditività superiore a un comune conto corrente, ma soggetto a un numero di operazioni molto più limitato. Del resto, se è evidente che le banche offrono una serie di prodotti finanziari a rendimenti maggiori, sono ancora oggi i conti correnti e i conti deposito le destinazioni principali dove gli italiani depositano i loro risparmi.

E, al di là degli investimenti più rischiosi e dei finanziamenti, le banche possono utilizzare i soldi dei correntisti in molte operazioni a rischio zero. Potrebbero, in casi limite ad esempio, depositare in maniera “safe” i propri depositi presso la banca centrale, senza rischiare nulla. Il deposit facility rate della BCE ha raggiunto, al momento, il 3,5% di interessi. Ma le opzioni sono molto variegate.

“Le banche possono acquisire anche titoli di stato, per esempio italiani, e avere nel decennale un business del 4/ 5%. Più la Bce alza i tassi più i nuovi titoli diventano redditizi. Parliamo sempre di operazioni a redditività non elevata, ma che possono comunque fruttare se lo confrontiamo con la raccolta a costo zero proveniente dai correntisti” osserva Paolo Canofari.

Il caso della Sylicon Valley Bank e chi prova a “rompere le righe”

Quindi l’inflazione e il rialzo dei tassi è sempre buono per il sistema bancario? Non sempre, come la vicenda della Silycon Valley Bank ci ha dimostrato. Una crisi legata essenzialmente al fatto che, oltre alle difficoltà di tutto il settore tecnologico del post-pandemia, la banca aveva investito in obbligazioni e titoli di stato che si sono svalutati con l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Fed.

Il punto è stato quello di non diversificare gli investimenti e in questo contesto, la consueta “prudenza”, attribuita al sistema bancario italiano potrebbe rivelarsi un punto di forza come osserva Paolo Canofari: “È sostanzialmente un problema di diversificazione degli investimenti, è chiaro che se nella ‘pancia’ hai solo titoli il rischio è più elevato. Le banche italiane non corrono, a mio avviso, questo rischio”. Ma la gallina dalle uova d’oro costituita dagli alti tassi non può durare all’infinito: “In generale l’aumento dei tassi può generare sul lungo periodo instabilità finanziaria. Non sappiamo per quanto la BCE aumenterà i tassi, ma non potrà certo all’infinito. Se un domani le imprese o i risparmiatori non riuscissero a pagare più i finanziamenti si innescherebbe una spirale recessiva che colpirebbe anche gli istituti di credito. Sul lungo termine, sia l’inflazione, sia l’aumento del costo del denaro, non conviene a nessuno” conclude Canofari.

Per il momento però conviene ancora, e come spesso accade, conviene alla fascia più ricca del Paese: “La remunerazione dei depositi non sta andando sicuramente di pari passo con l’andamento dell’inflazione – osserva Susy Esposito, segretaria generale di Fisac Cgil – d’altronde la stessa raccolta si sta restringendo, anche in ragione di questo disallineamento. La verità è che le persone stanno perdendo potere di acquisto, mentre le banche stanno generando attivi perché c’è quella parte di patrimonio di ricchezze concentrate che si difende dall’inflazione. Essendo il nostro un paese diseguale, i ricchi e i ricchissimi garantiscono utili alle banche attraverso la gestione del loro patrimonio”

E il punto è che sembra esserci una sorta di cartello tra le grandi banche italiane per la concessione di tassi di interesse, mutui e finanziamenti: una dinamica evidenziata da uno studio di Unimpresa. E a provare a sparigliare le carte ci sono le nuove banche on-line. Un segmento momentaneamente marginale, ma destinato a crescere rapidamente, anche grazie a una redistribuzione degli utili più equa e un rendimento maggiore dei tassi di interesse.

Del resto basta confrontare le migliori offerte sui conti deposito on-line per trovarci di fronte a una platea di istituti giovani che operano quasi esclusivamente nel digitale come: Illimity bank, Cherry Bank, Banca Progetto, Banca Aidexa e molti altri. In molti di questi casi i rendimenti si attestano sul 4% annuo con una remunerazione per i correntisti maggiormente adeguata ai profitti. Segno che il digitale potrebbe portare dei sostanziali cambiamenti anche in uno dei settori, da sempre, più restio alla concorrenza e al cambiamento.

 

Fonte: Today.it




Fringe Benefit e mutui, il “decreto lavoro” non risolve il problema, ma non è finita…

Fringe benefit: riassunto delle puntate precedenti

 

Come illustrato in precedenti note Fisac, il progressivo rialzo dei tassi BCE da un anno a questa parte sta procurando seri problemi a molte lavoratrici e molti lavoratori beneficiari di prestiti o mutui agevolati, erogati a tassi di interesse ridotti.

In estrema sintesi, la norma del Tuir prevede che, nel momento in cui l’ammontare di beni o servizi riconducibili a fringe benefit (buoni spesa, buoni benzina, fabbricati concessi in locazione, ecc. e, appunto, prestiti e mutui agevolati) superi la soglia di 258,23 euro (equivalenti a 500.000 lire), allora tutto il valore dei beni o servizi erogati dal datore di lavoro diviene imponibile IRPEF, senza applicazione di franchigia.

Non diventa, dunque, tassabile solo la quota eccedente i 258,23 euro, ma l’intero ammontare erogato: prestiti e mutui concessi a condizioni di favore, infatti, entrano nell’imponibile IRPEF su cui pagare le imposte azzerando i vantaggi generati dalla normativa vigente in tema di fringe benefit. Per tali compensi non in denaro, peraltro, per il solo 2022 (con specifica disposizione contenuta nel cd. Decreto ‘Aiuti-bis’) era stata innalzata la soglia di esenzione fiscale fino a 3.000 euro, evitando a tanti – ma non a tutti – il superamento della soglia e l’assoggettamento a IRPEF e contributi del benefit.

Ricordiamo che per calcolare il valore equivalente al benefit derivante dalla concessione di prestiti agevolati, è necessario prendere in considerazione il Tasso sulle operazioni di finanziamento principali vigente a fine anno che, come noto, rappresenta il tasso di interesse che la BCE applica per la concessione di prestiti agli operatori del sistema bancario: ferme restando le eccezioni previste dalla norma, l’importo del fringe benefit da calcolare ai fini IRPEF è pari al 50% della differenza tra il valore degli interessi effettivamente pagati in base al tasso applicato al mutuo/prestito agevolato e quelli calcolati prendendo a riferimento il tasso BCE a fine anno.

Non a caso la FISAC, assieme alla CGIL nazionale, aveva elaborato e avanzato emendamenti al Disegno di legge di Bilancio 2023 per correggere strutturalmente tale stortura fiscale. Purtroppo, senza successo.

Con il Decreto-legge n. 48 del 4 maggio 2023 (il cosiddetto ‘Decreto lavoro’) è stata reintrodotta dal Governo la soglia di detassazione a 3.000 euro dei fringe benefit, ma con la forte condizionalità che tale esenzione si applichi esclusivamente a lavoratrici e lavoratori con figli.

IL ‘DECRETO LAVORO’: SOGLIA A 3.000 EURO SOLO PER CHI HA FIGLI

Nella seduta di giovedì 29 giugno, la Camera dei Deputati ha approvato definitivamente – con 154 voti favorevoli e 82 contrari – il Disegno di legge S. 685 di “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”. Tra le principali novità: cambiano alcune norme dell’assegno di inclusione; si prefigura il superamento del reddito di cittadinanza; peggiorano le regole dei contratti a termine e dei contratti in somministrazione; si proroga lo smart workingper categorie fragili e genitori, con ulteriori limiti per la P.A.; si prevedono bonus le imprese; si modifica temporaneamente la normativa fiscale per i fringe benefit.

Come sostenuto dalla CGIL – in una Nota dettagliata e anche in sede di Audizione Parlamentare – il provvedimento in questione, nonostante la presentazione mediatica che ha preceduto la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, non risponde alle esigenze che il mondo del lavoro ha espresso in questi mesi. Insieme a norme che peggioreranno le condizioni economiche e normative delle fasce più deboli, a partire da chi è in povertà assoluta, ritroviamo delle risposte parziali alle nostre piattaforme unitarie, a partire da quella sul fisco. Difatti, si reputa assolutamente insufficiente l’intervento una tantum sul taglio del cuneo, alla luce del forte impatto che l’inflazione sta provocando sul lavoro dipendente, soprattutto se lo si contrappone all’incremento dei salari. Anche dalla discussione parlamentare durante l’iter del disegno di legge emerge una evidente volontà della maggioranza di Governo di superare il reddito di cittadinanza come strumento universale, nonché di incremento delle misure di precarizzazione dei rapporti di lavoro.

Nello specifico, l’Articolo 40 della Legge di conversione del ‘Decreto lavoro’ ha previsto il finanziamento di 142 milioni di euro nel corso del 2023 per innalzare fino a 3.000 euro la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit aziendali per tutti i dipendenti (esclusi i pubblici) beneficiari, per contrattazione collettiva o per normative di aziende/gruppi, di prestiti o mutui agevolati, purché abbiamo uno o più figli, anche nati fuori dal matrimonio o adottivi.

Anche in questa circostanza, come anticipato con Nota alle strutture del 21 giugno 2023, in raccordo con la CGIL nazionale, sono stati presentati degli emendamenti al Ddl S. 685 relativi al tema dei fringe benefits per innalzare la soglia non tassabile, nonché per il mantenimento del tasso di riferimento all’anno della stipula o della rinegoziazione del prestito, così come richiesto anche da tutte le OO.SS. e ABI con Lettera del 27 aprile scorso.

EMENDAMENTI RESPINTI MA ORDINI DEL GIORNO ACCETTATI

Purtroppo, gli emendamenti proposti dalla FISAC e dalla CGIL sul tema sono stati respinti. L’assenza di dialogo da parte del Governo e della maggioranza parlamentare non hanno permesso di discutere dei possibili aggiustamenti e di introdurre, quindi, elementi di equità e sostenibilità della misura in questione.

Tuttavia, la nostra determinazione, unita alla ragionevolezza delle modifiche avanzate, ha portato ad accettare due Ordini del giorno al Senato (rispettivamente, n. G/685/5/10-t.2 e n. G40.100) che impegnano il Governo rispettivamente a:

  • “valutare la possibilità di adottare ogni intervento necessario volto ad estendere l’aumento della misura di cui all’articolo 40 del decreto-legge a tutti i dipendenti”.
  • “ad adottare ogni iniziativa necessaria ad interviene sull’articolo 51, comma 4, lettera b), del TUIR stabilendo che in caso di concessione di mutui a tasso fisso il criterio di valorizzazione del fringe benefit in capo ai dipendenti si assume pari al 50 per cento della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di scadenza di ciascuna rata o, per i prestiti a tasso fisso, alla data di concessione del prestito e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi”.

PROSSIME PUNTATE

Come detto, la nostra Organizzazione resterà impegnata a verificare e monitorare tutte le situazioni in cui si è determinato o possa determinarsi uno svantaggio per effetto dell’innalzamento dei tassi o di altre variabili legate ai fringe benefit che comportano un aggravio fiscale.

Ribadiremo e riproporremo nel confronto col Governo e con il Parlamento la modifica del Tuir per risolvere definitivamente il problema dell’aggravio fiscale sui mutui e i prestiti in fringe benefit.

Restiamo a disposizione per qualsiasi chiarimento e continueremo a presidiare il tema, anche in relazione al confronto con le associazioni datoriali.

Roma, 4 luglio 2023

 

La Segreteria Nazionale

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