Banche: Report Fisac Cgil, in 5 anni -20% filiali e -6% dipendenti

Oltre 5 mila sportelli bancari definitivamente chiusi in 5 anni, pari a più del 20% del totale, passati da 25 mila a 20 mila, e con essi una riduzione di dipendenti di quasi il 6%, pari a poco più di 16 mila unità, da 278 mila a 262 mila. È il bilancio del cosiddetto processo di desertificazione bancaria nel quinquennio passato come emerge da un report dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil, contrazione che si è confermata anche per il 2023, con sportelli diminuiti sul 2022 del -3,9% per una perdita di 825 unità e dipendenti calati del -0,8% per 2.156 unità.

Benché in maniera meno marcata rispetto agli anni passati, osserva la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, “anche nel corso del 2023 abbiamo registrato una diminuzione dell’occupazione e delle filiali bancarie, specie nelle aree più fragili del paese. Questo processo deve avere una fine, il sistema bancario deve ritrovare e perseguire la sua funzione a sostegno dell’economia”. Per farlo, aggiunge, “e per accompagnare e gestire i processi di trasformazione tecnologica, che investono il sistema del credito come l’utenza, pronta a rivolgersi a canali di finanziamento non bancari, l’insediamento fisico e le competenze concrete, non ‘algoritmiche’, delle lavoratrici e dei lavoratori diventano ogni giorno più cruciali”.

Sportelli

A fine 2023 le banche italiane e le filiali in Italia di banche estere, si legge nel report Fisac condotto su dati Bankitalia, disponevano di 20.161 sportelli operativi. Sotto il profilo dimensionale, il 54% (10.787) appartenevano a banche di maggiori dimensioni. Considerando, invece, il gruppo istituzionale, le banche Spa possedevano il 76% (15.294) degli sportelli rilevati al 31 dicembre dello scorso anno. Le quote riconducibili alle banche di credito cooperativo e alle banche popolari erano pari, rispettivamente, al 20% (4.091) e al 3% (653). La distribuzione sul territorio degli sportelli bancari operativi alla fine dello scorso anno evidenzia una maggiore presenza nelle regioni del Nord, che rappresentano il 57% del totale nazionale (40% in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto). Il numero di sportelli nelle regioni del Sud e nelle Isole ammonta al 22% del totale nazionale.

Lo scorso anno gli sportelli bancari, sottolinea la Fisac Cgil, sono diminuiti di 825 unità rispetto ai 20.986 rilevati a fine 2022 (-3,9%). La riduzione è stata generalizzata in tutte le regioni. Considerando gli ultimi cinque anni il numero di sportelli in Italia è diminuito di 5.248 unità, quasi il 21% delle 25.409 unità rilevate a fine 2018: in sintesi, negli anni 2019-2023 il numero di sportelli bancari in Italia si è contratto di quasi 1/5 rispetto al dato di partenza. In questo periodo tutte le regioni italiane hanno visto diminuire il numero di agenzie con tassi di contrazione più accentuati in Abruzzo, Molise, Marche e in Basilicata, con tassi di contrazione pari o superiori al 25%, e e più attenuati per Trentino-Alto Adige e Sardegna.

Occupazione

Alla contrazione del numero di sportelli in Italia è corrisposta, si rileva nello studio della Fisac Cgil, la contrazione degli organici bancari in tutto il periodo osservato. A fine 2023 i dipendenti bancari italiani erano 261.976 in flessione rispetto ai 264.132 rilevati a fine 2022 (-0,8%) per -2.156 unità. Le regioni con i maggiori decrementi nell’ultimo anno sono state Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Puglia e Sardegna, tutte con tassi di contrazione pari o superiori al 3%. All’opposto Piemonte e Trentino-Alto Adige hanno registrato aumenti. Circa il Piemonte il dato permane ‘inquinato’ dalle politiche di attribuzione delle risorse dei gruppi con sede in regione.

Si accentua ulteriormente la tendenza alla concentrazione dei dipendenti nei territori dove insistono le direzioni generali dei gruppi più grandi. Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, luoghi dove hanno sede principale cinque dei sei maggiori gruppi bancari, sono le prime tre regioni per numero di addetti: nei loro territori lavora il 52% di tutti i dipendenti bancari a fronte di una popolazione residente di poco superiore al 30%. La Liguria è la regione che ha perso più dipendenti negli ultimi 5 anni: -36% circa tra il 2018 ed il 2023. In generale, le regioni che hanno perso più dipendenti in percentuale appartengono al Mezzogiorno, al Centro Italia Appenninico (Umbria e Marche) e alle aree più vicine ai confini nazionali (Liguria, Val D’Aosta e Friuli Venezia Giulia).

Tendenze

Gli sportelli continuano a diminuire (-3,9% nel 2023), anche se in misura lievemente minore rispetto alla media 2018/2021 (-4,2% annuo). Tuttavia, stima la Fisac Cgil, ciò non implica ancora il raggiungimento di un nuovo equilibrio: possiamo al contrario prevedere che, nonostante la diminuzione probabile dei tassi di chiusura degli sportelli, al 2027 possa esserci una ulteriore riduzione di filiali in futuro quantificata in una forbice di 600/1.000 sportelli circa. Per quanto riguarda i dipendenti, la diminuzione anno su anno (-0,8%) è lievemente minore rispetto alla riduzione media del quinquennio precedente (-1,16% annuo). Anche in questo caso, è prevedibile una ulteriore riduzione del numero dei dipendenti in una forbice compresa tra le 2,5/3,5 mila unità al 2027.

Considerazioni

“Leggiamo delle interessanti linee di tendenza in questi dati – osserva Susy Esposito -, che confermano quanto da tempo sosteniamo: L’innovazione tecnologica, la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, devono fondarsi sul lavoro. Presenza sul territorio, prossimità alla clientela, competenze specifiche e non standardizzate, sono punti insostituibili. Lo dimostrano anche le strategie di alcuni colossi bancari americani, che si reinsediano nei territori per sostenere l’economia. Il contratto nazionale ci dà uno strumento unico per accompagnare il settore bancario nel futuro, nella consapevolezza che la sua forza è nel lavoro e nel presidio fisico del territorio. È ora di agire perché il futuro sia fondato nel lavoro”, conclude Esposito.

Scarica lo studio

 

La situazione in Abruzzo e Molise

Banche: continua la fuga dall’Abruzzo e dal Molise. Ed è sempre più veloce




Prestiti e depositi bancari in Abruzzo e Molise negli ultimi 5 anni

Evoluzione dei prestiti bancari in Abruzzo e Molise nel 2023 e nel periodo 2018-2023

I prestiti bancari nel 2023 hanno segnato dinamiche recessive in tutte le province dell’Abruzzo e del Molise, più intense nella provincia di Chieti in Abruzzo e di Isernia nel Molise (cfr. grafico 1): la riduzione è stata del -2,9% in Abruzzo e -2,3% in Molise.

Nell’ultimo quinquennio l’andamento è stato differenziato tra le due regioni. Il Molise ha registrato una crescita dei prestiti bancari di quasi il 12%, crescita su cui ovviamente hanno influito anche le misure eccezionali governative varate per fronteggiare la fase ciclica avversa conseguente alla pandemia COVID 19.

In particolare, nel periodo 2018-2023 la crescita è stata molto intensa nella provincia di Isernia e più ridotta in quella di Campobasso. In Abruzzo invece lo stock dei prestiti non è sostanzialmente variato nell’ultimo quinquennio come effetto netto dei sensibili incrementi nella provincia di Teramo e di L’Aquila e Teramo e delle contrazioni registrate nelle altre due province ed, in particolare, nella provincia di Pescara.



L’andamento dei prestiti bancari indicizzato con base 100 nel 2017 (grafico 2) evidenzia con chiarezza che la crescita dei prestiti bancari nelle due regioni è concentrato nel periodo 2020-2022, fase inizialmente sostenuta dalle misure governative eccezionali di sostegno al credito e conclusa con i rialzi dei tassi di riferimento della BCE da luglio 2022. Da fine 2022 ad oggi la contrazione dei prestiti è comune ad entrambe le regioni.

Esaminando tuttavia i settori della clientela che ha utilizzato i prestiti bancari emerge la forte contrazione dei prestiti al settore delle piccole imprese con meno di 20 addetti. A parte il periodo di interruzione del trend decrescente 2020-2021 sostenuta, come detto, dalle misure eccezionali di sostegno al credito alle imprese e famiglie, i prestiti bancari sono diminuiti di quasi il -13% in Abruzzo e del -20% in Molise nell’ultimo quinquennio.
In sostanza nel Molise quasi 1/5 dei prestiti bancari si è perso nel periodo in esame mentre in Abruzzo la decurtazione si limita a poco più di 1/10 dello stock rilevato a dicembre 2017.




Osservando l’andamento dei prestiti erogati ai singoli settori della clientela ed indicizzati con base 100 nel 2017 (cfr. tabella 1) si rileva che ad eccezione dei prestiti alle famiglie consumatrici (sostanzialmente mutui) aumentati nel periodo 2017-2022 salvo poi ridursi nell’ultimo anno per effetto dei rialzi dei tassi, tutte le categorie mostrano una dinamica recessiva dal 2017 ad eccezione dei prestiti bancari alle imprese medio-grandi nel Molise che sono aumentati di oltre il 28% nell’ultimo quinquennio.



Andamento dei depositi bancari in Abruzzo e Molise nel 2023 e nel periodo 2018-2023

I depositi bancari hanno segnato, all’opposto, una dinamica espansiva negli ultimi cinque anni (cfr. tabella 2), sebbene in Abruzzo si registri una lieve riduzione nell’ultimo anno, con una crescita complessiva di quasi il 19% in Abruzzo e del 23% in Molise.

Per effetto delle tendenze opposte dei prestiti e dei depositi, la quota di prestiti bancari in relazione ai depositi bancari raccolti nelle due regioni (cfr. grafico 4) è decrescente nel periodo 2018-2023 con una contrazione di -0,12 per l’Abruzzo (da 0,75 a 0,63) e di -0,05 per il Molise (da 0,47 a 0,42).




Ad eccezione della fase di crescita del biennio 2020-2021 l’incidenza dei prestiti bancari rispetto al valore aggiunto ai prezzi di mercato prodotto nelle due regioni è andata riducendosi. Nel 2022 (ultimo anno disponibile per le statistiche sul valore aggiunto) il rapporto prestiti/valore aggiunto ai prezzi di mercato è pari rispettivamente a 0,66 in Abruzzo e 0,51 nel Molise.

Ufficio Studi e Ricerche Fisac Cgil




Banche: continua la fuga dall’Abruzzo e dal Molise. Ed è sempre più veloce

A primavera, come ogni anno, arrivano i dati di Bankitalia relativi all’occupazione bancaria ed alla presenza degli istituti nei territori. E ogni anno, per quanto riguarda Abruzzo e Molise, la situazione appare peggiorata rispetto a quello precedente.

Detto in estrema sintesi: le banche non solo abbandonano i nostri territori, ma sembrano avere una gran fretta di farlo, con chiusure che procedono una velocità maggiore rispetto a quanto avviene nelle altre regioni.

Vediamo nel dettaglio l’andamento delle chiusure di sportelli nelle nostra regioni, suddiviso per provincia.

NUMERO SPORTELLI BANCARI PER PROVINCIA
Totale 2022 Totale 2023 Differenza % diff. Var. a 5 anni
ITALIA 20.985 20.161 -824 -3,9% -20,6%
ABRUZZO 429 407 -22 -5,1% – 25,9%
Provincia
AQ 93 84 -4 -4,3% – 29,4%
CH 117 111 -6 -5,1% – 23,5%
PE 105 100 -5 -4,8% – 24,3%
TE 114 107 -7 +6,1% – 26,7%
 
MOLISE 81 78 -3 -3,7% – 28,4%
Provincia
CB 62 59 -3 -4,8% – 32,2%
IS 19 19 = = – 13,6%
dati Banca d’Italia

Molise e Abruzzo sono rispettivamente la peggiore e la seconda peggior regione d’Italia per quanto riguarda la percentuale di sportelli chiusi negli ultimi 5 anni. Non inganni il dato del Molise relativo all’ultimo anno, leggermente migliore rispetto alla media nazionale: con 78 filiali residue c’è rimasto ben poco da chiudere.


 

La seconda tabella evidenzia l’effetto di queste chiusure sulle singole province

NUMERO COMUNI CON ALMENO UNO SPORTELLO BANCARIO 
Tot. 2022 % su tot comuni Tot. 2023 % su tot comuni Differenza % diff.
ITALIA 4.785 60,6% 4.651 58,9% -134 -2,8%
ABRUZZO 126 41,3% 119 39,0% -7 -5,6%
Provincia
AQ 31 28,7% 29 26,9% -2 -6,5%
CH 38 36,5% 36 34,6% -2 -5,3%
PE 25 54,4% 24 52,2% -1 -4,0%
TE 32 68,1% 30 63,8% -2 -6,3%
 
MOLISE 24 17,6% 24 17,6% = =
Provincia  
CB 18 21,4% 18 21,4% = =
IS 6 11,5% 6 11,5% = =
 
dati Banca d’Italia

In Abruzzo in oltre 6 comuni su 10 non si trova più una filiale di banca. La provincia peggiore è quella dell’Aquila, priva di sportelli bancari in quasi 3 comuni su 4.
A dir poco sconfortanti i numeri del Molise: non esistono banche in oltre 8 comuni su 10, arrivando al dato di Isernia che vede gli abitanti di quasi il 90% dei comuni costretti a spostarsi se vogliono effettuare operazioni bancarie.

La tabella evidenzia due situazioni ben distinte: ad una situazione tutto sommato accettabile nelle province di Pescara e Teramo fa da contraltare il dato relativo alle province di Chieti e L’Aquila, caratterizzate da tanti comuni ubicati nelle aree interne.
Purtroppo il Molise fa storia a sé: i dati sono impietosi per la provincia di Campobasso, e ancor di più per quella di Isernia.
Lo ribadiamo per l’ennesima volta: la chiusura degli sportelli bancari nei piccoli comuni non sarà probabilmente la causa principale dello spopolamento, ma è sicuramene un fattore che lo accelera. Non è azzardato affermare che il subentro dei grandi gruppi nazionali, al posto dalle banche locali che fino a qualche anno fa erano al servizio del territorio, abbia contribuito in modo tangibile alla fuga dalle aree più problematiche delle due regioni.

La lettura dei dati complessivi ci dice che oltre il 40% delle filiali bancarie è concentrato in sole 3 regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Nel Nord si concentra il 57% delle filiali, nel Sud e Isole (area nella quale Abruzzo e Molise sono ricompresi) appena il 22%. Il tutto è ben rappresentato da questa immagine:

 

Fonte: Banca d’Italia – Banche e Articolazione territoriale

 

Si parla tanto, e con legittima preoccupazione, dell’autonomia differenziata. In realtà le banche hanno già realizzato una secessione di fatto tra le regioni ricche e quelle povere.


 

La tabella che segue indica l’andamento degli occupati nel settore bancario in Abruzzo e Molise, suddiviso per provincia.

NUMERO DIPENDENTI SETTORE BANCARIO PER PROVINCIA
Totale 2022 Totale 2023 Differenza % diff. Var. a 5 anni
ITALIA 264.288 261.976 -2.312 -0,9% – 5,8%
ABRUZZO 2.870 2.797 -73 -2,5% – 19,5%
Provincia
AQ 626 603 -23 -3,7%  – 19,5%
CH 763 763 = = – 22,1%
PE 780 752 -28 -3,6% – 9,2%
TE 702 679 -23 -3,3% – 26,0%
 
MOLISE 533 505 -28 -5,3% – 14,7%
Provincia
CB 446 412 -34 -7,6% – 13,5%
IS 87 93 +6 +6,9% – 19,8%
dati Banca d’Italia

Questi dati, se possibile, sono ancor più preoccupanti rispetto a quelli relativi alle chiusure. Perché evidenziano uno scostamento, rispetto alla media nazionale, molto più significativo. In Abruzzo il calo di addetti procede ad una velocità più che tripla rispetto al resto del paese; in Molise lo scostamento è di 2,5 volte.

Il dato relativo alle chiusure di filiali ci dice invece che la percentuale di sportelli chiusi in Abruzzo è sì superiore alla media, ma solo di un terzo, mentre quella del Molise è pari all’incirca ad 1,4 volte la media nazionale.

Come si spiega il diverso andamento di questi numeri?

Le ragioni sono diverse. La prima è di carattere storico. Nel nostro territorio avevano sede due banche locali fortemente radicate, che oltre alla rete di filiali avevano tutti i centri direzionali ubicati prevalentemente in Abruzzo. L’acquisizione da parte di banche di dimensione nazionale ha portato allo svuotamento di queste strutture ed al trasferimento delle lavorazioni presso le sedi delle aziende subentrate. A riprova di questo fenomeno – che ovviamente ha riguardato non solo Abruzzo e Molise ma tutte le regioni nelle quali avevano sede istituti locali – ci sono i dati in controtendenza delle regioni nella quali i grandi istituti hanno le loro sedi operative: l’occupazione risulta in aumento in Piemonte e in Emilia Romagna.

La seconda è da ricercarsi nel fatto che le nostre due regioni siano più “avanti” delle altre nel processo di abbandono da parte dei grandi istituti. Quindi, mentre in altre regioni le chiusure riguardano prevalentemente agenzie piccole, in Abruzzo e Molise gli sportelli di dimensioni minori sono stati già chiusi, ed ora le chiusure  riguardano le filiali più grandi.

La terza è che nei centri più importanti, dove restano aperte filiali storiche, il loro organico viene ridimensionato. Così, capita di vedere grandi filiali, un tempo affollate di lavoratori e lavoratrici, nelle quali oggi si trovano pochi colleghi a presidiare una distesa di scrivanie vuote o di stanze chiuse.

 

QUALI SONO LE CONSEGUENZE DELL’ABBANDONO BANCARIO?

Le banche sostengono che la chiusura delle filiali non abbia alcun impatto sull’economia locale in quanto l’avvento del digitale rende superflua la presenza fisica sul territorio. I dati relativi all’andamento dei crediti dimostrano una realtà ben diversa: dove chiudono le filiali cala anche il credito alle piccole imprese (non a quelle di dimensioni più grandi, che le banche assistono tramite strutture dedicate).

La tabella che segue è tratta da un’approfondita analisi dell‘Uffici Studi & Ricerche Fisac Cgil che pubblicheremo integralmente nei prossimi giorni.

 

Osservando l’andamento dei prestiti erogati ai singoli settori della clientela, ed indicizzati con base 100 nel 2017,  si rileva che ad eccezione dei prestiti alle famiglie consumatrici (sostanzialmente mutui), aumentati nel periodo 2017-2022 salvo poi ridursi nell’ultimo anno per effetto dei rialzi dei tassi, tutte le categorie mostrano una riduzione degli affidamenti rispetto al 2017, ad eccezione dei prestiti bancari alle imprese medio-grandi nel Molise che sono aumentati di oltre il 28% negli ultimi sei anni.

Cosa ci dicono questi numeri? Che quando non trovano filiali bancarie sul territorio le piccole imprese non riescono più a finanziarsi. Il calo è consistente in entrambe le regioni (-19,7% in Abruzzo e – 12,4%) in Molise. E questo nonostante il periodo di interruzione del trend decrescente 2020-2021 sostenuto, nel periodo Covid, dalle misure eccezionali di sostegno al credito.

Diversa la situazione delle imprese di dimensioni maggiori, che le banche seguono con strutture dedicate e non risentono della minor presenza sul territorio: in Abruzzo la riduzione è limitata al 5,7%, nel Molise come abbiamo visto risultano in consistente aumento, a dimostrazione di come l’effetto delle chiusure sia molto diverso a seconda delle dimensioni delle aziende

Cosa fa una piccola azienda quando non riesce più ad ottenere credito? O chiude, oppure cerca altri canali di finanziamento, finendo in mano agli usurai. Come sono messi i piccoli imprenditori di Abruzzo e Molise?

Esaminiamo la prossima tabella, tratta dalla classifica delle province italiane in base all’incidenza dei reati, redatta annualmente dal Sole 24 Ore

CLASSIFICA DELLE POVINCE IN BASE ALL’INCIDENZA DEI REATI
Provincia
Posizione Complessiva Posizione per reati d’usura
 
AQ 100 32
CH 77 41
PE 33 9
TE 45 7
CB 90 4
IS 67 1
dati Lab24 – Il Sole 24 Ore

La tabella ci dice che anche province che presentano un indice di criminalità molto basso, come L’Aquila e Chieti, si collocano nella prima metà della classifica relativamente all’incidenza dei reati d’usura.
Ma soprattutto ci dice che nei primi 9 posti, sempre concentrandosi su questo tipo di reati, figurano due province molisane e due abruzzesi, con Isernia che conquista la poco invidiabile vetta della classifica.
Dato purtroppo coerente in una provincia quasi completamente priva di banche.

 

Esaminiamo infine questo grafico. Riporta la variazione delle imprese artigiane nel 2023, differenziata per regione. L’illustrazione è tratta dallo studio del prof. Aldo Ronci Le imprese artigiane negli ultimi 5 anni e nel 2023.

Ancora una volta, il dato che esce fuori è inequivocabile: a fronte di una crescita dello 0,35% del numero di imprese artigiane in Italia, Molise e Abruzzo sono tra le poche regioni nelle quali le cessazioni sono superiori alle nuove attività. Non solo: il Molise risulta, ancora una volta, la regione con il peggior dato in Italia, e l’Abruzzo viene quasi subito dopo, conquistando un poco invidiabile terzo posto.

 

COSA SI PUO’ FARE?

Il tema dell’abbandono bancario ha visto la Fisac impegnarsi a fondo, per denunciarlo ma anche per cercare di proporre soluzioni alle aziende bancarie. Un possibile provvedimento potrebbe consistere nello spostare i centri direzionali dalle regioni del Nord a quelle del Centro Sud, riuscendo così a tamponare almeno l’emorragia occupazionale, senza peraltro arrecare disagio alle Aziende.

A livello regionale la Fisac Abruzzo Molise si farà promotrice, cercando la collaborazione della nuova giunta, della costituzione di un Osservatorio Regionale sul Credito che possa provare a governare il fenomeno. Non si può impedire ad una banca di chiudere una filiale, ma con una tempestiva pianificazione si può provare a cercare ipotesi alternative, mettendo in condizione i Comuni di proporre soluzioni gradite alle Banche o magari di provare a rimpiazzare l’Istituto uscente, ad esempio proponendo l’apertura ad una BCC locale.

 

Fisac/Cgil Abruzzo Molise in collaborazione con
Ufficio Studi & Ricerche Fisac Cgil




Banche, report Fisac Cgil: contratto ABI batte inflazione

Con riduzione orario lavoro settore bancario italiano in Ue solo dietro Francia


Un contratto che batte l’inflazione di 8 punti percentuali, con aumenti retributivi che rilanciano il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori, e che allo stesso tempo riduce l’orario di lavoro a parità di salario: nel confronto europeo solo nel settore bancario francese si lavora meno ore. È in estrema sintesi il quadro che emerge da una elaborazione dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil sui due elementi che qualificano il nuovo contratto nazionale del settore del creditizio e finanziario, siglato a Roma lo scorso 24 novembre, tra organizzazioni sindacali, Abi e Intesa Sanpaolo, ovvero aumento retributivo e riduzione dell’orario di lavoro.

Due grandi obiettivi centrati, afferma la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, “la crescita delle retribuzioni e la riduzione dell’orario di lavoro. I salari in Italia devono assolutamente crescere. È la sola via per combattere l’inflazione, ridando alle lavoratrici e ai lavoratori potere d’acquisto, rilanciare la domanda interna, e con essa la crescita, e la produttività stessa. In più abbiamo dato un concreto segnale sul fronte dell’orario di lavoro, riducendolo a parità di salario”.

RETRIBUZIONI

Il rinnovo che interessa i circa 270 mila bancari del settore Abi, sostiene lo studio della Fisac Cgil, batte l’inflazione acquisita nel 2023 e prevista fino a fine 2025. Il portato complessivo, infatti, tra dinamica della crescita salariale da previsioni del contratto (+3,5%) e gli aumenti a regime (+15%), determina un totale di incremento del 18,5%, ovvero un +7,9% rispetto all’inflazione cumulata acquisita e prevista (+10,6%). Il rinnovo di questo contratto, infatti, si innesta in una dinamica di crescita salariale legata a doppio filo con la contrattazione stratificata nel tempo, fatta di scatti di anzianità, regole sugli inquadramenti e ultima tranche del contratto del 2019.

ORARIO DI LAVORO

La riduzione dell’orario di lavoro settimanale, sancita nel rinnovo del contratto, che passa a 37 ore di lavoro, colloca in ambito europeo il settore bancario del nostro paese subito dopo la Francia, dove l’orario di lavoro settimanale è pari a 35,2 ore, e prima di Spagna (37,5) e Germania (38,6). Più in generale l’orario di lavoro del contratto bancario Abi dal primo luglio del prossimo anno, entrata in vigore delle 37 ore, così come previsto dal rinnovo del 23 novembre, sarà del 2% inferiore rispetto alla media di settore. Anche il raffronto con le ore di lavoro settimanali concordate collettivamente in cinque settori selezionati in Europa vede il settore bancario nelle prime posizioni. Il settore della chimica nella media Ue registra 37,8 ore di lavoro settimanali, la Metallurgia 38, la Pa 37,7, il commercio al dettaglio 38,5 e il bancario 37,7.

CONCLUSIONI

Un rinnovo che arriva, riporta lo studio della Fisac Cgil, in uno scenario ancora estremamente positivo per il settore bancario. Nei primi 9 mesi del 2023 i maggiori istituti bancari hanno registrato un incremento degli utili costante, trainati dai ricavi di interessi, pari a circa 16 miliardi, mentre gli utili stimati a fine anno, in assenza di una dinamica delle sofferenze tale da comprometterne il risultati, può attestarsi ad oltre 30 miliardi. “Abbiamo ridato centralità al contratto nazionale, in una fase di grandi cambiamenti ma anche di forte remunerazione del settore – commenta la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito -. Ma è anche un risultato che dimostra quanto sia necessario, a dispetto delle scelte fatte da questo governo, che ci sia una legge sul salario minimo e sulla rappresentanza per ridare centralità al lavoro, riconoscendo il valore delle lavoratrici e dei lavoratori”.

Scarica il report




Assicurazioni: Report Fisac, boom utili per 4 grandi gruppi

Generali, Unipol, Allianz e Axa: in 1° semestre a 11,3 mld (+34%). Susy Esposito: “Base importante per sviluppo contrattazione”



Quattro grandi player assicurativi di livello internazionale – Generali e Unipol dalle radici italiane, Allianz ed Axa con importanti realtà nel nostro paese – hanno registrato nel primo semestre dell’anno un utile complessivo pari a 11,3 miliardi di euro, in crescita del 34% sullo stesso periodo dello scorso anno. A rilevarlo è un report su di un campione di quattro grandi importanti compagnie assicurative europee dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil dal quale emerge, osserva la segretaria generale della categoria, Susy Esposito, “un quadro positivo per il settore, sia in termini di resilienza che di forte redditività, in un contesto macroeconomico estremamente complesso. Dati che dovranno essere la base per lo sviluppo della contrattazione, ora e in avanti, a tutti i suoi livelli, nazionale, aziendale e di gruppo. Con questi risultati è ora di fare passi in avanti sul fronte della contrattazione, ampliandola all’intera filiera assicurativa, iniziando dal rinnovo dei contratti Anapa e Anagina”.

Al risultato complessivo del campione citato di 11,3 miliardi di euro al 30 giugno 2023, si osserva nel report della Fisac Cgil, hanno contribuito soprattutto i Rami Danni che registrano complessivamente nel semestre di quest’anno un utile operativo tecnico di 8,9 miliardi di euro, con un incremento del 33% sullo stesso periodo dello scorso anno, mentre i Rami Vita hanno presentato un utile operativo tecnico di 6,7 miliardi, con una crescita più contenuta, pari al 7%, dovuta alle minusvalenze sui titoli obbligazionari, causate dal rialzo dei tassi di interesse, sviluppatosi nel corso del 2022 e ancora in corso, oltre ai correlati riscatti di polizze vita.

Il settore assicurativo nel campione selezionato, come evidenziato nel report della Fisac Cgil, ha manifestato una importante resilienza. Anche con riguardo al campione ‘italiano’, costituito dal Gruppo Generali e da quello Unipol, vi è stato un importante incremento (+51%) dell’utile di periodo: Generali è passata da 1.448 milioni di euro, registrati nel primo semestre del 2022, a 2.330 milioni di euro da gennaio a giugno 2023, per un incremento del 60%; Unipol nello stesso periodo è passata da 433 milioni di euro a 517 milioni di euro, con un incremento del 19%. Per gli altri due player si segnala un incremento significativo di Allianz, che migliora del 73% l’utile del semestre passando da 2,7 miliardi di euro a 4,6 miliardi di euro, mentre Axa conferma sostanzialmente utili per 3,8 miliardi di euro. I dati, sottolinea la Fisac Cgil, sono normalizzati e riconteggiati ai sensi dei nuovi principi contabili: Ifrs 17 sui contratti assicurativi e Ifrs 9 sugli strumenti finanziari.

Complessivamente, ricorda la Fisac Cgil, i quattro grandi gruppi hanno superato i 186 miliardi di euro di premi (Danni e Vita), con un incremento del 4,32%, sullo stesso periodo dello scorso anno. Le dinamiche di sviluppo risultano alquanto diverse tra Rami e tra le diverse compagnie. I Rami Danni presentano una crescita importante del 8,73%, in particolare si segnala un incremento di oltre il 12% del Gruppo Generali. Invece i Rami Vita registrano una crescita di appena lo 0,3%, con sviluppi decisamente diversi: il Gruppo Unipol evidenzia un aumento di oltre il 26% mentre il Gruppo Axa denota una diminuzione del 3% dei premi vita.

Il settore assicurativo, si osserva infine nel report Fisac Cgil, si conferma nel complesso molto solido ed evidenza, inoltre, indici di solvibilità (Solvency Capital Requirement II – SCR Ratio) in deciso incremento e il campione presenta Gruppi tutti con ratio già superiori al 200% a dicembre 2022, quindi con fondi propri più che doppi rispetto al requisito di capitale di solvibilità SCR, che è passato da una media, aritmetica del campione, del 210% a dicembre 2022 ad una del 222% a giugno 2023, arrivando al 208% di Allianz, al 218% di Unipol, al 228% di Generali e, infine, al 235% di Axa.


In allegato il Report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil ‘Osservatorio Bilanci: Prime riflessioni sulle semestrali 2023 su un campione di alcune importanti Compagnie Europee’


Giorgio Saccoia
Ufficio Stampa Fisac Cgil Nazionale
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Assicurazioni: Report Fisac Cgil, settore a 2,3 mld di euro di utili nel 2022

Susy Esposito: “Confermata resilienza e redditività, base per sviluppi della contrattazione”


Il settore assicurativo ha generato nel corso del 2022 utili di bilancio pari a 2,3 miliardi di euro, in calo rispetto ai 6,7 miliardi di euro del 2021, manifestando comunque un’importante resilienza in un anno particolarmente difficile, tra tensioni geo-politiche e andamento negativo dei mercati finanziari che non hanno lasciato indenni i mercati assicurativi dei principali paesi europei. È quanto emerge in sintesi in un report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil sul settore assicurativo basato sui dati Ania relativi ai bilanci 2022, rispetto al quale, osserva la segretaria generale della categoria, Susy Esposito, “gli elementi complessivamente positivi che emergono dall’analisi, sul fronte della resilienza e della redditività del settore, costituiscono una base importante per gli sviluppi presenti e futuri della contrattazione, di primo e secondo livello”.

Nel merito del rapporto della Fisac Cgil si evidenzia come il settore Vita ha chiuso lo scorso anno in perdita di 0,4 miliardi di euro per la prima volta negli ultimi dieci per effetto del calo dei premi e l’aumento delle minusvalenze nette. I rami Danni hanno invece raggiunto un utile, sempre relativamente allo scorso anno, pari a 2,7 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 2,4 miliardi di euro del 2021. “Rispetto agli altri paesi l’Italia è stata complessivamente resiliente – commenta Esposito -, anche se il mercato assicurativo Vita ha subito una significativa flessione e ha risentito in particolare della concorrenza dei titoli di Stato”.

Il settore assicurativo si è confermato nel complesso “molto solido”, e, come riporta la Fisac Cgil, evidenza “indici di solvibilità (Solvency capital requirement II – Scr Ratio) quasi stabili, rimanendo a livelli di assoluta sicurezza pari al 247% a fine 2022 rispetto al 252% di dicembre 2021. In altre parole i fondi propri (145 miliardi di euro) risultano essere 2,5 volte il requisito di capitale di solvibilità (Scr pari a 59 miliardi di euro) per una eccedenza positiva, a ulteriore garanzia degli impegni assunti, pari a 86 miliardi di euro”. Infine la Fisac Cgil fa sapere che nel prosieguo del 2023 verrà monitorato l’andamento del settore, con particolare riferimento agli sviluppi della situazione di Eurovita che, al momento, sembra incanalata verso una risoluzione tramite la collaborazione tra istituzioni, principali compagnie Vita, istituti di credito, assieme alle organizzazioni sindacali, volta a tutelare dipendenti, assicurati e risparmiatori.


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Assicurazioni: Report Fisac Cgil, per 4 player nazionali 5,2 mld di utili e 2,4 di dividendi nel 2022

Quattro grandi player del settore assicurativo nazionale, ovvero Generali, Unipol, Intesa Sanpaolo Vita e Mediolanum, hanno generato nel corso del 2022 utili di bilancio pari a 5,2 miliardi di euro, in aumento del 5,5% rispetto al dato omogeneo del 2021, manifestando una importante resilienza in un anno difficile. Producendo un monte dividendi, sul campione selezionato, di 2,4 miliardi.
È quanto emerge in un nuovo report dell’Ufficio studi della Fisac Cgil centrato questa volta sui risultati di alcune delle principali Compagnie assicurative italiane.


 

Un report di bilancio sull’andamento del settore assicurativo nazionale condotto fra le compagnie di maggior dimensione: Generali, Unipol, Intesa Sanpaolo Vita e Mediolanum che hanno, spiega l’Ufficio Studi Fisac Cgil, “una composizione e una storia ‘assicurativa’ decisamente diverse tra di loro (in particolare con riferimento alla proporzione fra Rami Danni e Rami Vita e presenza/significatività della componente bancaria) ma che nell’insieme possono offrire uno spaccato della situazione settoriale”. Concentrandosi su alcune grandezze per misurare la produttività, la redditività, l’efficienza assicurativa ed infine la solidità patrimoniale e strutturale emerge, si osserva nel report, “un quadro complessivo soddisfacente”.

In base a quanto riportato dall’Ania, nell’intero anno 2022 nel mercato assicurativo italiano i premi Vita emessi sono stati pari a 104,9 miliardi di euro, il 14,3% in meno rispetto allo stesso periodo del 2021, quando si era osservato invece un incremento annuo del 7,1%. Diversamente alla fine del 2022 i premi totali del portafoglio diretto italiano nel settore Danni sono risultati pari a 41,5 miliardi di euro, in aumento del 6% rispetto alla fine del 2021, quando il settore aveva registrato una crescita del 2,8%. “Si tratta – si legge nel report Fisac Cgil – dell’ottava variazione trimestrale positiva consecutiva che ha portato la raccolta premi a superare per la prima volta i 40 miliardi alla fine dell’anno”.

Le 4 compagnie citate del Campione utilizzato dall’Ufficio studi della Fisac Cgil, anche per la disponibilità dei dati, hanno “una composizione Danni/Vita decisamente diversa tra di loro e questo naturalmente impatta sull’evoluzione del business e sulla resilienza”. Nello specifico l’impatto negativo sulla raccolta Vita è stato “meno significativo” su Generali e Unipol avendo un importante portafoglio Danni. Gli utili di bilancio del campione utilizzato ammontano a 5,2 miliardi di euro in incremento del 5,5% rispetto al dato omogeneo del 2021. Il settore ha manifestato, nel campione selezionato, osserva la Fisac Cgil, “una importante resilienza in un anno dove comunque si è risentito, fra l’altro, dell’incertezza dei mercati finanziari conseguente allo scenario del conflitto in Ucraina e all’attuale situazione macroeconomica presente in Italia ed in Europa. In particolare, il business Vita, specie le performance di Ramo III, ne sono state impattate, nonostante ciò, le compagnie hanno saputo rispondere alla crisi”.

Il coefficiente di solvibilità (Solvency II Ratio) calcolato come rapporto tra i fondi propri e il requisito di capitale di solvibilità conferma, sostiene la Fisac Cgil, “l’elevata resilienza tradizionale del settore, così come negli anni del Covid, 2020 e 2021 dove la stragrande maggioranza delle compagnie aveva evidenziato un coefficiente superiore al 150%. Alla fine del 2022 tutte le compagnie selezionate rilevavano un Ratio superiore al 200% e quindi i fondi propri erano almeno doppi rispetto al requisito di capitale di solvibilità (SCR)”.

Il campione selezionato conferma inoltre un importante Payout (calcolato come il rapporto tra Monte Dividendi in distribuzione/Utile d’esercizio dell’anno precedente) con un incremento nei dividendi in pagamento nel 2023 a valere sui risultati 2022 (“chiaramente il dato deve essere interpretato in senso economico e non finanziario perché in alcuni casi come per Mediolanum sono avvenuti degli acconti dividendi”, sostiene la Fisac Cgil), e che rileva un superamento del 70% del livello di Payout sia per Unipol Gruppo che per Banca Mediolanum. Il monte dividendi, conteggiato con riferimento alle sole società Capogruppo del campione selezionato, ovvero Assicurazione Generali, Unipol Gruppo e Banca Mediolanum, ammonta complessivamente a  2,4 miliardi di euro.

 

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