Montante al netto delle seguenti voci:
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rendimenti (già tassati alla fonte
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eventuali contributi non dedotti (in quanto superiori al limite annuo di deducibilità)
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eventuali contributi versati in sostituzione del premio di risultato tramite welfare aziendale
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Anticipazioni per acquisto o ristrutturazione prima casa
la richiesta può essere effettuata solo dopo 8 anni di iscrizione ad una forma di previdenza complementare.
mposta sostitutiva con unica aliquota del 23%.
Anche in questo caso la tassazione è soggetta a successivo conguaglio.
Anticipazioni per ulteriori esigenze
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La tassazione di questo tipo di anticipazioni segue le stesse regole già viste per la prima casa, quindi meno favorevoli rispetto alle anticipazioni per spese sanitarie.
Differenze con il TFR
anticipazione per motivi di salute anche prima di questo termine).
non può superare il 70% del montante accantonato (contro il 75% anticipabile nella previdenza integrativa).
Reintegro delle anticipazioni
Per maggiori approfondimenti sul tema dei fondi pensione è possibile scaricare il manuale “La fiscalità nella previdenza complementare”
“Vorrei l’ultima relazione sull’uso delle somme del Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto istituito dalla legge 296/2006 (commi 755 ss.). Potreste cortesemente inviarmela?”.
La domanda dev’essere stata posta all’interlocutore sbagliato. Il ministero del Tesoro, infatti non si ritiene competente in materia: “La richiesta va fatta all’Inps e al Ministero del Lavoro”, è l’asciutta risposta di un portavoce.
Peccato che neanche al dicastero guidato da Luigi Di Maio ne sappiano nulla.
“I dati da lei richiesti sono in possesso dell’Inps”, rispondono.
Bingo? No, all’istituto di previdenza presieduto da Pasquale Tridico suggeriscono “di rivolgersi per competenza al ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione a quanto previsto dalla legge 296/2006”.
Conclusione: nessuno sa che fine abbiano fatto i quasi 35 miliardi di euro che l’Inps ha girato allo Stato dal 2007 al 2017 attingendoli dal Fondo di Tesoreria. Quello dove le imprese private con oltre 50 dipendenti sono obbligate a versare le quote di Tfr dei lavoratori che non hanno scelto di depositare il proprio trattamento di fine rapporto in fondi pensione.
Il flusso medio al lordo delle prestazioni erogate, per intenderci, è di oltre 5 miliardi l’anno. Denaro che aveva dei precisi vincoli di investimento. Sia qualitativi che quantitativi. E i ministeri interessati, così come l’Inps sono già stati messi in guardia dalla Corte dei Conti che, in una dettagliata relazione del marzo 2011, aveva espresso severi giudizi e grandi timori sui rischi di un uso sconsiderato di queste grosse quantità di soldi, parlando tra il resto di “prelievo forzoso” ai danni delle imprese private, di “tassa occulta” e di rischio di squilibri per i conti dello Stato a carico delle generazioni future e a danno dei lavoratori veri proprietari dei soldi.
Nelle intenzioni del legislatore, lo Stato avrebbe dovuto utilizzare i Tfr depositati per stimolare crescita e occupazione, finanziando infrastrutture attraverso fondi per favorire la crescita o aziende pubbliche come Anas e Ferrovie dello Stato, con precisi tetti di spesa per ogni voce. Ma cosa sia poi successo, non si sa.
Nonostante la legge prevedesse anche l’obbligo, per il ministero del Tesoro e quello del Lavoro, di presentare al Parlamento una relazione dettagliata sulla consistenza e l’utilizzo del Fondo entro il 30 settembre di ogni anno. Gli ultimi ad affrontare la questione in modo analitico sono stati appunto i magistrati contabili, che nel 2011 hanno dedicato un’intera deliberazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato proprio all’utilizzo del Tfr depositato dalle imprese presso l’Inps.
L’alt dei giudici contabili: “È un prelievo forzoso”
“La Corte sottolinea il pericolo derivante dall’utilizzazione del fondo per mere finalità di provvista finanziaria: detta pratica potrebbe pregiudicare i futuri equilibri di bilancio e creare problemi di equità intergenerazionale a danno dei futuri contribuenti e percettori dei servizi”, si legge nel documento, che paventa “il concreto rischio di far ricadere sulle future generazioni il possibile sbilanciamento economico del sistema, che non potrà essere colmato, se non attraverso l’inasprimento delle aliquote contributive o del prelievo fiscale”. L’anno prima, la magistratura contabile aveva rilevato come tra il 2007 e il 2009 il Ministero dell’Interno avesse utilizzato il denaro raccolto per finanziare la spesa corrente, pagando con il Tfr dei lavoratori gli oneri di ammortamenti dei mutui per i comuni dissestati, la gratuità dei libri di testo e la spesa per i lavoratori socialmente utili dei Comuni di Napoli e Palermo e della Provincia di Napoli. Voci che “non corrispondevano alle finalità delle norme in tema di utilizzazione del Tfr”.
Dall’incidente con il Viminale, poi chiuso, a questioni di rilevanza ancora maggiore, il passo è stato breve. Nella sua ricognizione la Corte dei Conti è infatti giunta presto al nocciolo: “L’Amministrazione statale non sta predisponendo alcun meccanismo di reintegrazione del fondo Tfr gestito dall’Inps, in relazione alle somme già prelevate per il triennio 2007-2009 e per quelle dell’anno in corso. Anzi, il contestato meccanismo risulta confermato almeno fino allo scadere del decennio dalla sua introduzione: a fronte delle somme ad oggi prelevate, pari a 15,86 miliardi di euro, sono previsti introiti di analoga natura fino a raggiungere, a tale scadenza, i 30 miliardi complessivi”.
Giulio Tremonti spende, poi cambia la norma
In pratica il dicastero all’epoca guidato da Giulio Tremonti riteneva di poter continuare, almeno fino al 2017, a finanziare i conti pubblici attingendo a fondo perduto dal denaro dei lavoratori depositato temporaneamente presso l’Inps, senza prevedere dei meccanismi di restituzione nel tempo, meno che mai con gli interessi. Anzi, in seguito alle rimostranze della magistratura contabile circa l’uso dei fondi non a norma, è stata la norma ad essere modificata, non l’usanza, con la possibilità di utilizzare il Tfr depositato presso l’Inps anche per sostenere l’equilibrio della gestione sanitaria. Da qui la pesante accusa dei magistrati contabili secondo i quali un “simile prelievo, senza il correlato onere di ricostituzione del fondo, costituisce una operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti delle categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica”. Per di più basato su “dati statistici elementari”. Che al contrario, se confermati, dovrebbero “servire a garantire le categorie interessate, attraverso un migliore rendimento di quello attualmente fissato dalla legge. Non vi è nessuna norma in grado di giustificare una utilizzazione delle somme prelevate diversa dalle finalità per le quali datori di lavoro e prestatori le conferiscono”.
In altre parole, è il ragionamento, visto che il denaro non è dello Stato ma dei lavoratori o delle aziende, i suoi frutti dovrebbero andare ai lavoratori e alle aziende, non allo Stato. Che per di più se ne serve senza preoccuparsi di doverlo restituire. Purtroppo poi, “il trend economico-finanziario affermato non appare comunque attendibile e sussistono buone ragioni per prevedere esiti molto diversi rispetto a tale previsione”.
Nessuna rendicontazione: l’opacità della politica
Il conto rischia di essere ancora più salato: “La carenza dei dati istruttori e la sottovalutazione di importanti fattori di criticità è idonea a creare squilibri nel tempo, dei quali potrebbero fare le spese i futuri contribuenti e percettori delle prestazioni”, tuonava la Corte. I magistrati quindi fin dal 2011 contestavano “l’assenza di analitica individuazione delle partite di spesa finalizzate con il Tfr”, completando “il criticato percorso di prelievo e utilizzazione della risorsa a scopo di riequilibrio del bilancio statale”, con un “deficit di trasparenza nell’utilizzazione delle risorse”.
Non solo. “Si può fin d’ora precisare che alle suddette problematiche, sollevate da questa Corte sulla base di incontrovertibili elementi obiettivi, non è stata data adeguata risposta, anzi le risultanze della presente indagine hanno posto in luce questioni e disfunzioni ancor più complesse di quelle precedentemente accertate”. Mentre “allo stato degli atti si deve ragionevolmente dedurre che a partire dal 2010 questi fondi serviranno semplicemente a finanziare il bilancio confondendosi con le altre entrate correnti dello Stato”.
Viste le risposte ricevute, impossibile verificare come sia andata davvero. Quel che è certo è che l’Inps ha continuato a girare allo Stato gli accantonamenti per il Tfr non utilizzati per coprire le prestazioni, per un totale che a fine 2016 superava i 30 miliardi stimati dal Tesoro di Tremonti. Delle relazioni però non c’è traccia come sottolinea il professor Francesco Vallacqua, docente di Economia e gestione delle Assicurazioni vita e dei fondi pensione presso l’Università Bocconi di Milano. “Vorrei un’analitica descrizione di dove sono andati a finire ogni anno i circa 5 miliardi di euro che dovevano servire per finanziare le infrastrutture come previsto dalla legge 296/06 – spiega a Il Fatto Quotidiano – Mi andrebbe bene anche se, legittimamente, qualcuno istituzionalmente indicasse che c’erano esigenze più contingenti di spesa corrente e che i soldi sono stati utilizzati per altro. Però aboliamo quella legge che dice che vanno da un’altra parte, altrimenti rimane una norma non rispettata. Intanto sarebbe interessante leggere le relazioni dei vari ministri del Lavoro sul tema”. Peccato che al ministero non ne sappiano niente.
Articolo di Fiorina Capozzi e Gaia Scacciavillani su “Il Fatto Quotidiano” del 10/6/2019
Qualche giorno fa tutti i colleghi sono stati destinatari di una comunicazione del Fondo Pensione relativa all’apertura di una finestra straordinaria per la variazione del contributo volontario, dopo il ripristino, con decorrenza dal 1° Aprile, della base di calcolo per il TFR, attraverso il recupero della tredicesima mensilità e di conseguenza senza la decurtazione del 23%.
L’aumento della base di calcolo del TFR, secondo le previsioni del CCNL, si riverbera anche sul contributo datoriale a Previdenza Complementare con un 2,50% (versato dall’azienda) calcolato per il futuro su una base più ampia.
A tale importantissimo risultato si è giunti grazie all’accordo sindacale del 31/12/2018 che, tra le altre previsioni, ha sancito (anche) la fine della penalizzazione dei lavoratori sul calcolo del TFR e di conseguenza un forte recupero, soprattutto per i giovani, sul salario differito, dopo sei anni di sacrifici imposti da politiche di contenimento dei costi finalizzate al risanamento e al ritorno alla redditività della Banca.
Alla luce dei dati del primo trimestre che registrano un utile netto di 28 milioni di euro e dopo le dichiarazioni dell’A.D. su possibili scenari di “aggregazioni o diversificazioni dimensionali” corre l’obbligo di ricordare che in questi anni i lavoratori hanno già pagato un prezzo altissimo e che, pertanto, eventuali operazioni che coinvolgeranno questo Gruppo, dovranno tener conto di quanto già espresso dagli stessi in termini di sacrifici economici e professionali, in uno scenario in cui le responsabilità per quanto accaduto alla nostra realtà creditizia sono rimaste, ad oggi, impunite.
Siena, 14 Maggio 2019
Sta circolando in questi giorni un volantino a firma “FABI Coordinamento Regionale BCC Lombarde” che, oltre ad annunciare la paventata prossima chiusura del Comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) del nostro Fondo Pensione Nazionale, imporrebbe ai colleghi l’obbligo, entro il 30 giugno 2019, di trasferire quanto eventualmente accumulato nel Comparto Garantito negli altri comparti di investimento.
Il comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) raccoglie oggi circa 800 Milioni di Euro (il 36% del patrimonio del Fondo), con una alimentazione annuale di flussi contributivi che si aggira intorno ai 77 Milioni di Euro, pertanto tale comparto registra il sicuro gradimento di una consistente platea degli aderenti che va ben oltre gli importi del TFR inoptato per il quale lo stesso comparto era stato in origine avviato.
Parlando poi di chiusura del comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”), tra l’altro, sarebbe corretto dire anche che ciò impedirebbe al Fondo di raccogliere il TFR inoptato, salvo fare altra gara per aprire un comparto con la garanzia minima prevista per legge.
Lo stesso volantino motiva la chiusura del comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) con il fatto che il bando di gara indetto nei mesi scorsi dal FPN, riguardante il rinnovo delle convenzioni tra le compagnie assicuratrici che ne gestiscono attualmente le risorse ed in scadenza il 30 giugno 2019, sia andato deserto.
Anche un osservatore non esperto della materia avrebbe rilevato che le condizioni/garanzie richieste nel bando sono da tempo non più reperibili sul mercato assicurativo; a conferma di questo vale la pena ricordare che non più tardi di quattro anni fa, lo stesso Fondo Pensione ha sottoscritto due nuovi contratti con altrettante compagnie assicuratrici, al rendimento minimo garantito dello 0,50%.
Non si comprende, quindi, come oggi lo stesso Fondo Pensione Nazionale possa richiedere la condizione di rendimento minimo garantito pari al 2,25% annuo per una durata di 5 anni.
È di tutta evidenza che l’epilogo, negativo, era scontato ancora prima della pubblicazione del bando stesso.
Altra cosa invece sarebbe stata, come del resto stanno operando altri Fondi Pensione, aprire un confronto anche con gli attuali gestori (ben 5 compagnie!) per discutere condizioni più attuali per continuare a fornire agli aderenti un comparto a loro gradito.
Vi rappresentiamo che il nostro comparto garantito è di ramo V° con sottostanti gestioni interne separate che, soprattutto ora con tassi allo zero, continua a consolidare sulla posizione degli iscritti i rendimenti positivi intorno al 3% lordo con i rischi tutti a carico delle Compagnie di Assicurazione. Tutt’altra cosa sono le gestioni finanziare i cui rischi di gestione si riflettono immediatamente sugli iscritti.
Per tutte queste ragioni, qualsiasi tentativo di forzatura sulla scelta di comparti diversi dal Garantito (“ORIZZONTE 5”) appare pretestuoso, arbitrario e non rispettoso della autonomia che ogni singolo aderente esercita nella scelta di allocazione dei propri risparmi previdenziali.
Riteniamo, pertanto, doveroso raccomandare di non tenere assolutamente in conto quanto riportato nel predetto comunicato e di attendere, eventualmente, una corretta e puntuale informativa da parte dell’unico soggetto legittimato a tale attività’ di informazione: il Fondo Pensione Nazionale.
Su questo tema, abbiamo inoltre notizia che la stessa FABI sta svolgendo assemblee su tutto il territorio nazionale con la partecipazione, in alcune di esse, della struttura del Fondo Pensione. Auspichiamo che ciò favorisca, a differenza di quanto arbitrariamente affermato nel volantino, una corretta comunicazione su un tema così delicato che riguarda i risparmi previdenziali delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo.
Nella certezza che questa nostra comunicazione costituisca un utile contributo alle opportune riflessioni che ciascuno deve liberamente effettuare e ricordando che
la scelta di allocare i propri risparmi previdenziali
deve rimanere una opzione individuale:
LIBERA, CONSAPEVOLE e basata sul PROPRIO PROFILO DI RISCHIO!
Le nostre strutture sindacali sono a disposizione per fornire a tutti i chiarimenti che dovessero necessitare.
FISAC CGIL Coordinamento Nazionale Credito Cooperativo
Scarica il volantino
Destinare il Tfr al fondo pensione, oppure mantenerlo in azienda?
Ora alle due alternative si aggiunge una terza opzione, che consente di percorrere entrambe le strade: destinarne una parte alla pensione integrativa e lasciarne una parte in azienda, così da poter contare su un discreto gruzzoletto a fine carriera.
LA NOVITÀ. È del 22 marzo, ed è stato appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il decreto del Ministro del Lavoro che ha recepito le novità contenute nella legge sulla concorrenza. Un solo articolo, per modificare il modello “Tfr 2”, attraverso il quale il lavoratore ora può scegliere tra le tre possibilità.
- IN AZIENDA. Chi ha deciso di lasciare il proprio Tfr in azienda lo ritirerà al momento della pensione. In caso di fallimento dell’azienda interviene l’Inps, attraverso il fondo di solidarietà, e provvede al versamento del Tfr.
- AL FONDO. Per chi ha aderito al fondo, invece, ci sono diverse possibilità. Potrà, al momento di andare in pensione, scegliere la “rendita”, vale a dire una cifra mensile aggiuntiva alla pensione principale, variabile in funzione del capitale versato. Oppure, potrà chiedere di incassare il 50% in un’unica soluzione. Il restante 50% sarà invece percepito sotto forma di rendita. «Se trasformando in rendita almeno il 70% del capitale maturato», dice il Ministero del Lavoro, « si ottiene una rendita inferiore al 50% dell’assegno sociale si ha diritto a percepire la prestazione totalmente sotto forma di capitale». La pensione integrativa potrà essere “girata”, in caso di morte, al coniuge superstite o altri beneficiari indicati. «In mancanza di tali soggetti», spiega ancora il Ministero, «la posizione viene devoluta a finalità sociali se il lavoratore deceduto era iscritto ad una forma pensionistica individuale mentre, se era iscritto ad una forma pensionistica collettiva, resta acquisita al fondo pensione».
- PARTE IN AZIENDA E PARTE AL FONDO. Possibilità introdotta dalla nuova norma.
IL MODULO. Decidere di aderire alla pensione integrativa, o lasciare il Tfr in azienda e ritirare la “buonuscita”, come si diceva una volta, al momento di andare in pensione, è una scelta che spetta a chi è stato assunto dopo il 31 dicembre del 2006. Il modulo va compilato entro sei mesi dall’assunzione.
LEGGE CONCORRENZA. È stata la legge 124 del 2017 a introdurre la novità che consente di suddividere il Tfr: «Gli accordi possono anche stabilire la percentuale minima di Tfr maturando da destinare a previdenza complementare. In assenza di tale indicazione il conferimento è totale». Nessuna modifica, invece, è stata apportata al meccanismo del cosiddetto “silenzio-assenso”. Vale a dire, che se il lavoratore non sceglie che destinazione dare al proprio Tfr, questo andrà versato automaticamente sul fondo pensionistico complementare.
LA TERZA OPZIONE. Con la legge sulla concorrenza, e il decreto dello scorso marzo, si può optare per una forma mista. La percentuale, dice la legge, viene stabilita negli accordi collettivi. Se non vi sono indicazioni in tal senso, tuttavia, il 100% del Tfr continuerà a essere versato nei fondi complementari. Se il contratto collettivo prevede il versamento in più fondi pensionistici, a prevalere sarà quello al quale è iscritta la maggior parte dei dipendenti.
L’ANTICIPAZIONE. Azienda o fondo, ci sono delle situazioni nelle quali è possibile chiedere l’anticipo di una quota del Tfr. Tra queste, l’acquisto di una casa per sé o per i figli. La richiesta va inoltrata in azienda, oppure alla forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore ha aderito.
Dal quotidiano “Il Centro” del 30/4/2018
Decreto Ministero del Lavoro e Politiche Sociali 22 marzo 2018
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