Incentivo all’esodo, come si tassa?

Come sono calcolate le imposte sull’incentivo all’esodo: tassazione provvisoria del datore di lavoro e riliquidazione dell’Agenzia delle Entrate.


Attenzione alla tassazione dell’incentivo all’esodo, cioè di quella somma che il datore di lavoro riconosce al dipendente per agevolarlo nell’uscita anticipata dal lavoro.  La tassazione applicata dal datore di lavoro, infatti, non è quella definitiva, ma le imposte sono riliquidate, successivamente, dall’Agenzia delle Entrate: in questo modo, ci si può ritrovare, 4 anni dopo aver ricevuto l’incentivo, con un debito con il fisco, che può arrivare anche a migliaia di euro. Debito che il lavoratore è costretto a pagare senza potersi rivalere sul datore di lavoro: le imposte da quest’ultimo liquidate sono calcolate con un sistema differente, rispetto alla riliquidazione che viene effettuata dall’Agenzia delle Entrate, a causa di quanto disposto dalla normativa. La differenza d’imposta non è, dunque, frutto di un errore del datore di lavoro.

Ma procediamo per ordine e vediamo, nel dettaglio, come funziona la tassazione dell’incentivo all’esodo e come deve essere calcolata la sua riliquidazione.

Com’è tassato l’incentivo all’esodo

A partire dal 4 luglio 2006, è stato abolito il vecchio regime di tassazione agevolata degli incentivi all’esodo, che prevedeva per tali somme un’aliquota (la percentuale applicata sull’imponibile, dovuta a titolo d’imposta) pari alla metà dell’aliquota applicata per la tassazione del Tfr.

Secondo l’attuale normativa [1], la tassazione da applicare sulle somme d’incentivo all’esodo non è, comunque, quella ordinaria, ma la stessa tassazione separata applicata al Tfr. Questo, perché si è voluto comunque riconoscere un regime di favore alle somme erogate a titolo di incentivo all’esodo, per incentivare il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto (come chiarito dalla Corte di Cassazione, con una nota sentenza [2]).

Calcolo tassazione provvisoria incentivo all’esodo

L’aliquota di tassazione viene dapprima determinata dal datore di lavoro con il seguente meccanismo :

  • si deve innanzitutto determinare il reddito di riferimento, dividendo l’ammontare del Tfr imponibile per il numero di anni di anzianità effettiva e convenzionale (i mesi hanno un valore pari a 0,83): negli anni di anzianità convenzionale non sono compresi gli anni di riscatto del titolo di studi o i periodi nel quale è stato prestato servizio militare, a meno che non sia disposto diversamente nel contratto collettivo di lavoro;
  • se il contratto di lavoro è di durata inferiore a un anno, al divisore deve essere indicato il numero 1 (come chiarito da un’importante circolare delle Entrate [3]);
  • bisogna poi moltiplicare il risultato ottenuto per 12, per ottenere il reddito di riferimento (secondo un’altra formulazione si può utilizzare come divisore il numero di mesi complessivi e come moltiplicatore 144, il risultato è il medesimo);
  • una volta calcolato il reddito di riferimento, si deve calcolare l’imposta sullo stesso, applicando al reddito di riferimento le aliquote Irpef (al netto delle addizionali locali) in vigore nell’anno in cui è maturato il diritto alla percezione della liquidazione (il diritto alla percezione del Tfr sorge il giorno successivo alla cessazione del rapporto);
  • infine, si determina l’aliquota media dividendo l’imposta sul reddito di riferimento (al netto degli oneri deducibili ma al lordo di eventuali crediti d’imposta) per il reddito di riferimento e moltiplicando il risultato per 100.

Applicando l’aliquota media all’incentivo all’esodo si ottiene l’imposta dovuta [4].

Tassazione definitiva dell’incentivo all’esodo

Successivamente alla liquidazione dell’imposta da parte del datore di lavoro, l’Agenzia delle Entrate riliquida l’imposta  in base all’aliquota media di tassazione dei 5 anni precedenti a quello della cessazione del rapporto.

La determinazione dell’aliquota media avviene rapportando la somma delle imposte calcolate con riguardo al reddito complessivo del contribuente, al netto degli oneri deducibili e senza considerare i crediti d’imposta, di ciascuno dei cinque anni precedenti e la somma dei redditi stessi considerati come sopra indicato” [5].

Se le maggiori o le minori imposte sono di importo non inferiore a  100 euro, l’Agenzia notifica la cartella di pagamento o rimborsa l’imposta a credito (entro il 31 dicembre del 4° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta).

Se in uno o più dei 5 anni considerati non vi è stato reddito imponibile, l’aliquota media si calcola con riferimento agli anni in cui vi è stato reddito imponibile; se non vi è stato reddito imponibile in alcuno di questi anni, si applica l’aliquota stabilita per il primo scaglione di reddito, pari al 23%. Se l’aliquota è variata nel corso del quinquennio, si deve tener conto della media delle aliquote del primo scaglione nei 5 anni considerati.

Incentivo all’esodo concordato al netto delle imposte

Purtroppo, dal punto di vista legale, non è possibile opporsi a queste previsioni, né stipulare accordi diversi col datore di lavoro: è stato confermato da una recente sentenza del Tribunale di Roma [6]. La sentenza trattava il caso di un lavoratore che aveva accettato l’incentivo all’esodo in quanto riteneva che la tassazione fosse a titolo definitivo e aveva concordato col datore un pagamento già al netto delle imposte. In seguito, avendo ricevuto la riliquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, aveva richiesto il pagamento della differenza d’imposta al datore di lavoro, ma il tribunale ha respinto il suo ricorso: per legge, infatti, il datore di lavoro è tenuto a versare le sole imposte determinate alla cessazione del rapporto di lavoro secondo l’aliquota provvisoria, nulla dovendo versare in caso di riliquidazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Questo, anche se l’accordo d’incentivo all’esodo prevede il pagamento di una determinata somma al netto delle imposte.

Per questo motivo, è opportuno che il lavoratore faccia dei conti a parte, considerando le aliquote di tassazione a titolo definitivo e non quelle provvisorie: si deve dunque considerare un netto diverso da quello che appare nel cedolino paga in cui figura l’incentivo all’esodo.


Note

[1] D.L.223/2006.

[2] Cass. Sent. n. 14821/2007.

[3] Circ. 78/E/2001.

[4] Art.19, comma 1 del Tuir.

[5] Circ. 29/E/2001.

[6] Tribunale di Roma, sent. n. 3636/2017.

 


 

Fonte: www.laleggepertutti.it

 




Bancari esodati, sorpresa dal fisco: chieste altre imposte per il 2016

Centinaia di avvisi bonari sugli assegni di cinque anni fa. I dubbi dei sindacati.


 

Trenta giorni per decidere se pagare o no l’integrazione alle imposte chiesta dal Fisco con avviso bonario inviato il 30 aprile. E’ quanto dovranno decidere gli ex bancari che, nel 2016, ricevevano l’assegno straordinario di accompagnamento alla pensione erogato dal Fondo di Solidarietà per il sostegno del reddito del personale del credito. Cinque anni fa – dati INPS – erano 11.021 le persone che ricevevano l’assegno e, secondo stime sindacali , almeno il 70% (quasi 8mila) dovrebbe aver ricevuto l’avviso dell’Agenzia delle Entrate. L’ammontare da pagare è in media di circa 2mila euro (sull’anno).

Il caso
Perché il Fisco ha inviato gli avvisi bonari? Spieghiamo subito che i bancari che anticipano l’uscita grazie al Fondo di solidarietà ricevono, per un massimo di 5 anni, l’equivalente di quanto prenderanno come pensione al netto delle imposte. A versare l’assegno straordinario è l’INPS che a sua volta riceve il denaro dalla banche. All’assegno, come per il TFR, viene applicata la tassazione separata che è un tipo di imposizione agevolata rispetto alla ordinaria Irpef: la tassazione separata impedisce che, nell’anno in cui vengono percepiti, i redditi maturati in più anni si sommino agli altri redditi del lavoratore.

Il ricalcolo mai applicato
Fin qui tutto abbastanza logico. Al Fisco e al legislatore italiano non piacciono però le cose semplici. Nella tassazione separata, il datore di lavoro (in questo caso le banche) infatti applica una trattenuta fiscale “provvisoria” sul Tfr e sugli assegni straordinari: successivamente viene ricalcolata dall’Agenzia delle Entrate quella definitiva detta “riliquidazione”. Qui non ci addentriamo nelle contorte questioni fiscali. E’ sufficiente sapere che non tutti ricevono la richiesta di ulteriori imposte e il Fisco non può, come noto, spingersi oltre i cinque anni.
Tornando agli ex bancari, questi ultimi si aspettano le richieste di ricalcolo dell’Agenzia delle Entrate su Tfr. Invece, fino ad oggi (il Fondo di solidarietà esiste dal 2000), il Fisco non aveva mai richiesto la riliquidazione sugli assegni.

Sindacati in campo
Gli ex bancari e le associazioni pensionati che li rappresentano a fine aprile si sono subito attivati. Tanto che il 3 maggio è stato diffuso il primo comunicato sindacale sul caso dalle cinque principali sigle sindacali: Fabi, First/Cisl, Fisac/Cgil, Uilca e Unisin hanno annunciato il loro impegno a chiarire subito la situazione. A distanza di 8 giorni, il secondo comunicato sindacale congiunto dove si spiega che “in stretto contatto con l’ABI” (l’Associazione Bancaria Italiana) “l’iniziativa di chiarimento prosegue”. In allegato al Comunicato c’è il documento INPS dove si spiega che “sono in corso approfondimenti sulla questione fra l’Istituto, in qualità di sostituto d’imposta, e l’Agenzia delle Entrate.”

Tempi, soluzioni e futuri esodi
I tempi stringono. Il 30 maggio, giorno di scadenza dell’avviso, è vicino. Sindacati e ABI non commentano “in attesa di evidenze” da parte di Inps e Agenzia. A quanto emerge. però, non è chiaro se ci sia stato un errore tecnico nei codici di comunicazione INPS o una diversa interpretazione del Fisco dopo vent’anni.
Secondo indiscrezioni, gli ex bancari si sono rivolti agli avvocati per capire come agire per le vie legali: ma potrebbero esserci problemi anche per i futuri esodi. Gli accordi erano stati stipulati su cifre che non prevedevano l’ulteriore aggravio emerso nei giorni scorsi. Cos’accadrà ora?

 

Articolo di Vitaliano D’Angelo su “Il Sole 24 Ore” del 15/05/2021




BPER: accordo per il versamento del TFR al Fondo Pensione

Logo sigle BPER

 

Modena, 25/09/2020

 

TFR AL FONDO PENSIONE

 Da questo mese sarà possibile conferire alla previdenza complementare anche il TFR maturato fino al 31/12/2006.

L’importante Accordo sottoscritto unitariamente dai Coordinamenti Sindacali Aziendali di BPER Banca stabilisce infatti la possibilità, per tutte/i le/i Lavoratrici/ri che cesseranno dal servizio entro il 31/12/2021, di versare nei fondi pensione previsti dalla negoziazione collettiva il proprio TFR maturato fino al 31/12/2006 e ancora nella disponibilità dell’Azienda.

Il preavviso per coloro che cesseranno entro il 30/9/2020 è stato azzerato mentre per chi terminerà il rapporto di lavoro in date successive è previsto: un preavviso minimo di 15 gg di calendario per coloro cesseranno entro il 31/12/2020 e di 60 gg di calendario per coloro che cesseranno entro il 31/12/2021.

E’ previsto inoltre che, a partire dall’1/10/2021, l’Accordo venga esteso a tutte/i le/i Colleghe/i, titolari di TFR maturato fino al 31/12/2006 ancora nelle disponibilità aziendali, che non rientrano nelle casistiche suddette.

L’Azienda invierà a breve apposita comunicazione per l’inoltro delle domande, in particolare per chi andrà in esodo/pensionamento nei prossimi giorni.


COORDINAMENTI SINDACALI AZIENDALI BPER BANCA

FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN




Le anticipazioni da Fondo Pensione e TFR

Anticipazioni per spese sanitarie

Questa tipologia di anticipazione può essere richiesta in qualsiasi momento, a fronte di spese sanitarie dovute a gravissime situazioni relative a sé, al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche. Il limite massimo richiedibile è pari al 75% del montante maturato fino alla data della richiesta.
complessiva delle anticipazioni richiedibili non potrà pertanto superare il 75% del montante complessivamente maturato durante tutto il periodo di contribuzione al fondo.

Un esempio aiuterà a capire meglio il meccanismo di calcolo.
Passano gli anni, il lavoratore accumula ulteriori € 10.000 di versamenti riportando il montante complessivo ad € 15.000.
Totale dei montanti accumulati: (€ 20.000 + € 10.000) = € 30.000.
Percentuale massima di anticipazione: 75% su € 30.000 = € 22.500.

A questo totale va sottratta la precedente anticipazione, quindi:
Il meccanismo di tassazione delle anticipazioni per spese sanitarie è lo stesso applicato alle prestazioni finali erogate sotto forma di capitale per i “nuovi iscritti”, riepilogato nella seguente tabella. Si tratta di una tassazione da considerare “provvisoria” in quanto soggetta a conguaglio in sede di riscatto o prestazione finale.

Periodo fiscale

Imponibile

Aliquota applicata

Fino al 31/12/2000

Montante al netto delle seguenti voci:

  • contributi del lavoratore non eccedenti il 4% della retribuzione

  • franchigia di € 309,87 per ogni anno di conferimento del TFR

Tassazione separata con “aliquota interna” calcolata con gli stessi criteri utilizzati per il TFR

Dal 2001 al 2006

Montante al netto delle seguenti voci:

  • rendimenti (già tassati alla fonte)

  • eventuali contributi non dedotti (in quanto superiori al limite annuo di deducibilità)

Tassazione separata con “aliquota interna” calcolata con gli stessi criteri utilizzati per il TFR

Montante al netto delle seguenti voci:

  • rendimenti (già tassati alla fonte

  • eventuali contributi non dedotti (in quanto superiori al limite annuo di deducibilità)

  • eventuali contributi versati in sostituzione del premio di risultato tramite welfare aziendale

Anticipazioni per acquisto o ristrutturazione prima casa

la richiesta può essere effettuata solo dopo 8 anni di iscrizione ad una forma di previdenza complementare.

mposta sostitutiva con unica aliquota del 23%.

Anche in questo caso la tassazione è soggetta a successivo conguaglio.

Anticipazioni per ulteriori esigenze

.

La tassazione di questo tipo di anticipazioni segue le stesse regole già viste per la prima casa, quindi meno favorevoli rispetto alle anticipazioni per spese sanitarie.

Differenze con il TFR

anticipazione per motivi di salute anche prima di questo termine).

  • non può superare il 70% del montante accantonato (contro il 75% anticipabile nella previdenza integrativa).

  • Reintegro delle anticipazioni

    Per maggiori approfondimenti sul tema dei fondi pensione è possibile scaricare il manuale “La fiscalità nella previdenza complementare”

     




    34 miliardi spariti: il Tfr “espropriato” dallo Stato

    “Vorrei l’ultima relazione sull’uso delle somme del Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto istituito dalla legge 296/2006 (commi 755 ss.). Potreste cortesemente inviarmela?”.

    La domanda dev’essere stata posta all’interlocutore sbagliato. Il ministero del Tesoro, infatti non si ritiene competente in materia: “La richiesta va fatta all’Inps e al Ministero del Lavoro”, è l’asciutta risposta di un portavoce.

    Peccato che neanche al dicastero guidato da Luigi Di Maio ne sappiano nulla.
    “I dati da lei richiesti sono in possesso dell’Inps”, rispondono.
    Bingo? No, all’istituto di previdenza presieduto da Pasquale Tridico suggeriscono “di rivolgersi per competenza al ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione a quanto previsto dalla legge 296/2006”.

    Conclusione: nessuno sa che fine abbiano fatto i quasi 35 miliardi di euro che l’Inps ha girato allo Stato dal 2007 al 2017 attingendoli dal Fondo di Tesoreria. Quello dove le imprese private con oltre 50 dipendenti sono obbligate a versare le quote di Tfr dei lavoratori che non hanno scelto di depositare il proprio trattamento di fine rapporto in fondi pensione.

    Il flusso medio al lordo delle prestazioni erogate, per intenderci, è di oltre 5 miliardi l’anno. Denaro che aveva dei precisi vincoli di investimento. Sia qualitativi che quantitativi. E i ministeri interessati, così come l’Inps sono già stati messi in guardia dalla Corte dei Conti che, in una dettagliata relazione del marzo 2011, aveva espresso severi giudizi e grandi timori sui rischi di un uso sconsiderato di queste grosse quantità di soldi, parlando tra il resto di “prelievo forzoso” ai danni delle imprese private, di “tassa occulta” e di rischio di squilibri per i conti dello Stato a carico delle generazioni future e a danno dei lavoratori veri proprietari dei soldi.

    Nelle intenzioni del legislatore, lo Stato avrebbe dovuto utilizzare i Tfr depositati per stimolare crescita e occupazione, finanziando infrastrutture attraverso fondi per favorire la crescita o aziende pubbliche come Anas e Ferrovie dello Stato, con precisi tetti di spesa per ogni voce. Ma cosa sia poi successo, non si sa.
    Nonostante la legge prevedesse anche l’obbligo, per il ministero del Tesoro e quello del Lavoro, di presentare al Parlamento una relazione dettagliata sulla consistenza e l’utilizzo del Fondo entro il 30 settembre di ogni anno. Gli ultimi ad affrontare la questione in modo analitico sono stati appunto i magistrati contabili, che nel 2011 hanno dedicato un’intera deliberazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato proprio all’utilizzo del Tfr depositato dalle imprese presso l’Inps.

     

    L’alt dei giudici contabili: “È un prelievo forzoso”

    “La Corte sottolinea il pericolo derivante dall’utilizzazione del fondo per mere finalità di provvista finanziaria: detta pratica potrebbe pregiudicare i futuri equilibri di bilancio e creare problemi di equità intergenerazionale a danno dei futuri contribuenti e percettori dei servizi”, si legge nel documento, che paventa “il concreto rischio di far ricadere sulle future generazioni il possibile sbilanciamento economico del sistema, che non potrà essere colmato, se non attraverso l’inasprimento delle aliquote contributive o del prelievo fiscale”. L’anno prima, la magistratura contabile aveva rilevato come tra il 2007 e il 2009 il Ministero dell’Interno avesse utilizzato il denaro raccolto per finanziare la spesa corrente, pagando con il Tfr dei lavoratori gli oneri di ammortamenti dei mutui per i comuni dissestati, la gratuità dei libri di testo e la spesa per i lavoratori socialmente utili dei Comuni di Napoli e Palermo e della Provincia di Napoli. Voci che “non corrispondevano alle finalità delle norme in tema di utilizzazione del Tfr”.
    Dall’incidente con il Viminale, poi chiuso, a questioni di rilevanza ancora maggiore, il passo è stato breve. Nella sua ricognizione la Corte dei Conti è infatti giunta presto al nocciolo: “L’Amministrazione statale non sta predisponendo alcun meccanismo di reintegrazione del fondo Tfr gestito dall’Inps, in relazione alle somme già prelevate per il triennio 2007-2009 e per quelle dell’anno in corso. Anzi, il contestato meccanismo risulta confermato almeno fino allo scadere del decennio dalla sua introduzione: a fronte delle somme ad oggi prelevate, pari a 15,86 miliardi di euro, sono previsti introiti di analoga natura fino a raggiungere, a tale scadenza, i 30 miliardi complessivi”.

     

    Giulio Tremonti spende, poi cambia la norma

    In pratica il dicastero all’epoca guidato da Giulio Tremonti riteneva di poter continuare, almeno fino al 2017, a finanziare i conti pubblici attingendo a fondo perduto dal denaro dei lavoratori depositato temporaneamente presso l’Inps, senza prevedere dei meccanismi di restituzione nel tempo, meno che mai con gli interessi. Anzi, in seguito alle rimostranze della magistratura contabile circa l’uso dei fondi non a norma, è stata la norma ad essere modificata, non l’usanza, con la possibilità di utilizzare il Tfr depositato presso l’Inps anche per sostenere l’equilibrio della gestione sanitaria. Da qui la pesante accusa dei magistrati contabili secondo i quali un “simile prelievo, senza il correlato onere di ricostituzione del fondo, costituisce una operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti delle categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica”. Per di più basato su “dati statistici elementari”. Che al contrario, se confermati, dovrebbero “servire a garantire le categorie interessate, attraverso un migliore rendimento di quello attualmente fissato dalla legge. Non vi è nessuna norma in grado di giustificare una utilizzazione delle somme prelevate diversa dalle finalità per le quali datori di lavoro e prestatori le conferiscono”.
    In altre parole, è il ragionamento, visto che il denaro non è dello Stato ma dei lavoratori o delle aziende, i suoi frutti dovrebbero andare ai lavoratori e alle aziende, non allo Stato. Che per di più se ne serve senza preoccuparsi di doverlo restituire. Purtroppo poi, “il trend economico-finanziario affermato non appare comunque attendibile e sussistono buone ragioni per prevedere esiti molto diversi rispetto a tale previsione”.

     

    Nessuna rendicontazione: l’opacità della politica

    Il conto rischia di essere ancora più salato: “La carenza dei dati istruttori e la sottovalutazione di importanti fattori di criticità è idonea a creare squilibri nel tempo, dei quali potrebbero fare le spese i futuri contribuenti e percettori delle prestazioni”, tuonava la Corte. I magistrati quindi fin dal 2011 contestavano “l’assenza di analitica individuazione delle partite di spesa finalizzate con il Tfr”, completando “il criticato percorso di prelievo e utilizzazione della risorsa a scopo di riequilibrio del bilancio statale”, con un “deficit di trasparenza nell’utilizzazione delle risorse”.
    Non solo. “Si può fin d’ora precisare che alle suddette problematiche, sollevate da questa Corte sulla base di incontrovertibili elementi obiettivi, non è stata data adeguata risposta, anzi le risultanze della presente indagine hanno posto in luce questioni e disfunzioni ancor più complesse di quelle precedentemente accertate”. Mentre “allo stato degli atti si deve ragionevolmente dedurre che a partire dal 2010 questi fondi serviranno semplicemente a finanziare il bilancio confondendosi con le altre entrate correnti dello Stato”.

    Viste le risposte ricevute, impossibile verificare come sia andata davvero. Quel che è certo è che l’Inps ha continuato a girare allo Stato gli accantonamenti per il Tfr non utilizzati per coprire le prestazioni, per un totale che a fine 2016 superava i 30 miliardi stimati dal Tesoro di Tremonti. Delle relazioni però non c’è traccia come sottolinea il professor Francesco Vallacqua, docente di Economia e gestione delle Assicurazioni vita e dei fondi pensione presso l’Università Bocconi di Milano. “Vorrei un’analitica descrizione di dove sono andati a finire ogni anno i circa 5 miliardi di euro che dovevano servire per finanziare le infrastrutture come previsto dalla legge 296/06 – spiega a Il Fatto Quotidiano – Mi andrebbe bene anche se, legittimamente, qualcuno istituzionalmente indicasse che c’erano esigenze più contingenti di spesa corrente e che i soldi sono stati utilizzati per altro. Però aboliamo quella legge che dice che vanno da un’altra parte, altrimenti rimane una norma non rispettata. Intanto sarebbe interessante leggere le relazioni dei vari ministri del Lavoro sul tema”. Peccato che al ministero non ne sappiano niente.

     

    Articolo di Fiorina Capozzi e Gaia Scacciavillani su “Il Fatto Quotidiano” del 10/6/2019




    MPS. Previdenza complementare: ripristino TFR

    Qualche giorno fa tutti i colleghi sono stati destinatari di una comunicazione del Fondo Pensione relativa all’apertura di una finestra straordinaria per la variazione del contributo volontario, dopo il ripristino, con decorrenza dal 1° Aprile, della base di calcolo per il TFR, attraverso il recupero della tredicesima mensilità e di conseguenza senza la decurtazione del 23%.

    L’aumento della base di calcolo del TFR, secondo le previsioni del CCNL, si riverbera anche sul contributo datoriale a Previdenza Complementare con un 2,50% (versato dall’azienda) calcolato per il futuro su una base più ampia.

    A tale importantissimo risultato si è giunti grazie all’accordo sindacale del 31/12/2018 che, tra le altre previsioni, ha sancito (anche) la fine della penalizzazione dei lavoratori sul calcolo del TFR e di conseguenza un forte recupero, soprattutto per i giovani, sul salario differito, dopo sei anni di sacrifici imposti da politiche di contenimento dei costi finalizzate al risanamento e al ritorno alla redditività della Banca.

    Alla luce dei dati del primo trimestre che registrano un utile netto di 28 milioni di euro e dopo le dichiarazioni dell’A.D. su possibili scenari di “aggregazioni o diversificazioni dimensionali” corre l’obbligo di ricordare che in questi anni i lavoratori hanno già pagato un prezzo altissimo e che, pertanto, eventuali operazioni che coinvolgeranno questo Gruppo, dovranno tener conto di quanto già espresso dagli stessi in termini di sacrifici economici e professionali, in uno scenario in cui le responsabilità per quanto accaduto alla nostra realtà creditizia sono rimaste, ad oggi, impunite.

    Siena, 14 Maggio 2019




    Fondo Pensione BCC. Comparto garantito “Orizzonte 5”: a chi giova la chiusura?

    Sta circolando in questi giorni un volantino a firma “FABI Coordinamento Regionale BCC Lombarde” che, oltre ad annunciare la paventata prossima chiusura del Comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) del nostro Fondo Pensione Nazionale, imporrebbe ai colleghi l’obbligo, entro il 30 giugno 2019, di trasferire quanto eventualmente accumulato nel Comparto Garantito negli altri comparti di investimento.

    Il comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) raccoglie oggi circa 800 Milioni di Euro (il 36% del patrimonio del Fondo), con una alimentazione annuale di flussi contributivi che si aggira intorno ai 77 Milioni di Euro, pertanto tale comparto registra il sicuro gradimento di una consistente platea degli aderenti che va ben oltre gli importi del TFR inoptato per il quale lo stesso comparto era stato in origine avviato.

    Parlando poi di chiusura del comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”), tra l’altro, sarebbe corretto dire anche che ciò impedirebbe al Fondo di raccogliere il TFR inoptato, salvo fare altra gara per aprire un comparto con la garanzia minima prevista per legge.

    Lo stesso volantino motiva la chiusura del comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) con il fatto che il bando di gara indetto nei mesi scorsi dal FPN, riguardante il rinnovo delle convenzioni tra le compagnie assicuratrici che ne gestiscono attualmente le risorse ed in scadenza il 30 giugno 2019, sia andato deserto.

    Anche un osservatore non esperto della materia avrebbe rilevato che le condizioni/garanzie richieste nel bando sono da tempo non più reperibili sul mercato assicurativo; a conferma di questo vale la pena ricordare che non più tardi di quattro anni fa, lo stesso Fondo Pensione ha sottoscritto due nuovi contratti con altrettante compagnie assicuratrici, al rendimento minimo garantito dello 0,50%.
    Non si comprende, quindi, come oggi lo stesso Fondo Pensione Nazionale possa richiedere la condizione di rendimento minimo garantito pari al 2,25% annuo per una durata di 5 anni.
    È di tutta evidenza che l’epilogo, negativo, era scontato ancora prima della pubblicazione del bando stesso.

    Altra cosa invece sarebbe stata, come del resto stanno operando altri Fondi Pensione, aprire un confronto anche con gli attuali gestori (ben 5 compagnie!) per discutere condizioni più attuali per continuare a fornire agli aderenti un comparto a loro gradito.

    Vi rappresentiamo che il nostro comparto garantito è di ramo V° con sottostanti gestioni interne separate che, soprattutto ora con tassi allo zero, continua a consolidare sulla posizione degli iscritti i rendimenti positivi intorno al 3% lordo con i rischi tutti a carico delle Compagnie di Assicurazione. Tutt’altra cosa sono le gestioni finanziare i cui rischi di gestione si riflettono immediatamente sugli iscritti.

    Per tutte queste ragioni, qualsiasi tentativo di forzatura sulla scelta di comparti diversi dal Garantito (“ORIZZONTE 5”) appare pretestuoso, arbitrario e non rispettoso della autonomia che ogni singolo aderente esercita nella scelta di allocazione dei propri risparmi previdenziali.

    Riteniamo, pertanto, doveroso raccomandare di non tenere assolutamente in conto quanto riportato nel predetto comunicato e di attendere, eventualmente, una corretta e puntuale informativa da parte dell’unico soggetto legittimato a tale attività’ di informazione: il Fondo Pensione Nazionale.

    Su questo tema, abbiamo inoltre notizia che la stessa FABI sta svolgendo assemblee su tutto il territorio nazionale con la partecipazione, in alcune di esse, della struttura del Fondo Pensione. Auspichiamo che ciò favorisca, a differenza di quanto arbitrariamente affermato nel volantino, una corretta comunicazione su un tema così delicato che riguarda i risparmi previdenziali delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo.

    Nella certezza che questa nostra comunicazione costituisca un utile contributo alle opportune riflessioni che ciascuno deve liberamente effettuare e ricordando che

    la scelta di allocare i propri risparmi previdenziali
    deve rimanere una opzione individuale:
    LIBERA, CONSAPEVOLE e basata sul PROPRIO PROFILO DI RISCHIO!

    Le nostre strutture sindacali sono a disposizione per fornire a tutti i chiarimenti che dovessero necessitare.

     

    FISAC CGIL Coordinamento Nazionale Credito Cooperativo

     

    Scarica il volantino




    Novità fondi pensione: si potrà versare solo una quota del TFR

    Destinare il Tfr al fondo pensione, oppure mantenerlo in azienda?

    Ora alle due alternative si aggiunge una terza opzione, che consente di percorrere entrambe le strade: destinarne una parte alla pensione integrativa e lasciarne una parte in azienda, così da poter contare su un discreto gruzzoletto a fine carriera.

    LA NOVITÀ. È del 22 marzo, ed è stato appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il decreto del Ministro del Lavoro che ha recepito le novità contenute nella legge sulla concorrenza. Un solo articolo, per modificare il modello “Tfr 2”, attraverso il quale il lavoratore ora può scegliere tra le tre possibilità.

    • IN AZIENDA. Chi ha deciso di lasciare il proprio Tfr in azienda lo ritirerà al momento della pensione. In caso di fallimento dell’azienda interviene l’Inps, attraverso il fondo di solidarietà, e provvede al versamento del Tfr.
    • AL FONDO. Per chi ha aderito al fondo, invece, ci sono diverse possibilità. Potrà, al momento di andare in pensione, scegliere la “rendita”, vale a dire una cifra mensile aggiuntiva alla pensione principale, variabile in funzione del capitale versato. Oppure, potrà chiedere di incassare il 50% in un’unica soluzione. Il restante 50% sarà invece percepito sotto forma di rendita. «Se trasformando in rendita almeno il 70% del capitale maturato», dice il Ministero del Lavoro, « si ottiene una rendita inferiore al 50% dell’assegno sociale si ha diritto a percepire la prestazione totalmente sotto forma di capitale». La pensione integrativa potrà essere “girata”, in caso di morte, al coniuge superstite o altri beneficiari indicati. «In mancanza di tali soggetti», spiega ancora il Ministero, «la posizione viene devoluta a finalità sociali se il lavoratore deceduto era iscritto ad una forma pensionistica individuale mentre, se era iscritto ad una forma pensionistica collettiva, resta acquisita al fondo pensione».
    • PARTE IN AZIENDA E PARTE AL FONDO. Possibilità introdotta dalla nuova norma.

    IL MODULO. Decidere di aderire alla pensione integrativa, o lasciare il Tfr in azienda e ritirare la “buonuscita”, come si diceva una volta, al momento di andare in pensione, è una scelta che spetta a chi è stato assunto dopo il 31 dicembre del 2006. Il modulo va compilato entro sei mesi dall’assunzione.

    LEGGE CONCORRENZA. È stata la legge 124 del 2017 a introdurre la novità che consente di suddividere il Tfr: «Gli accordi possono anche stabilire la percentuale minima di Tfr maturando da destinare a previdenza complementare. In assenza di tale indicazione il conferimento è totale». Nessuna modifica, invece, è stata apportata al meccanismo del cosiddetto “silenzio-assenso”. Vale a dire, che se il lavoratore non sceglie che destinazione dare al proprio Tfr, questo andrà versato automaticamente sul fondo pensionistico complementare.

    LA TERZA OPZIONE. Con la legge sulla concorrenza, e il decreto dello scorso marzo, si può optare per una forma mista. La percentuale, dice la legge, viene stabilita negli accordi collettivi. Se non vi sono indicazioni in tal senso, tuttavia, il 100% del Tfr continuerà a essere versato nei fondi complementari. Se il contratto collettivo prevede il versamento in più fondi pensionistici, a prevalere sarà quello al quale è iscritta la maggior parte dei dipendenti.

    L’ANTICIPAZIONE. Azienda o fondo, ci sono delle situazioni nelle quali è possibile chiedere l’anticipo di una quota del Tfr. Tra queste, l’acquisto di una casa per sé o per i figli. La richiesta va inoltrata in azienda, oppure alla forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore ha aderito.

    Dal quotidiano “Il Centro” del 30/4/2018

     

    Decreto Ministero del Lavoro e Politiche Sociali 22 marzo 2018