L’errore di Bruxelles ha fatto fallire le 4 banche. La Corte UE: “Annullare decisione su Tercas”

Il Fondo Interbancario voleva intervenire su Tercas, ma la Commissione lo vietò. Quel divieto impedì di salvare gli altri istituti. Patuelli (Abi): “Vestager si deve dimettere”.

E ora chi lo dice ai risparmiatori delle quattro banche che hanno perso i loro risparmi? La corte Ue ha dato ragione all’Italia nel ricorso presentato contro la decisione della Commissione Europea del 2015 nel caso delle Casse di Teramo (Tercas): l’intervento del Fondo interbancario di Tutela dei depositi (Fitd) non integra un aiuto di Stato. La decisione del Tribunale europeo su Tercas è strettamente intrecciata con la risoluzione delle quattro banche alla fine del 2015. È quindi utile riavvolgere il nastro per capire come la pronuncia della Corte di giustizia in Lussemburgo getti ombre pesanti su Bruxelles, e in particolare sulle decisioni della Dg Competition di Margrethe Vestager.

Nel 2015 l’Antitrust Ue giudicò come aiuto di Stato l’intervento del Fidt, consorzio di banche private, a sostegno di Tercas perché a detta dei funzionari di Bruxelles il fondo interbancario avrebbe agito “per conto dello Stato italiano”, quindi in netto contrasto con le norme Ue sugli aiuti di Stato. Oggi il giudice Ue ha bocciato quella decisione affermando che “spettava alla Commissione disporre d’indizi sufficienti per affermare che tale intervento è stato adottato sotto l’influenza o il controllo effettivo delle autorità pubbliche e che, di conseguenza, esso era, in realtà, imputabile allo Stato”. Anzi, aggiunge: “La Commissione non disponeva d’indizi sufficienti per una siffatta affermazione. Al contrario, esistono nel fascicolo numerosi elementi che indicano che il FITD ha agito in modo autonomo al momento dell’adozione dell’intervento a favore di Tercas”. Non è finita, perché il Tribunale sottolinea che l’autorizzazione di Banca d’Italia all’intervento del FITD a favore di Tercas non costituisce un indizio che consenta d’imputare la misura di cui trattasi allo Stato italiano.

La Corte Ue ha smontato per intero l’impianto della Commissione Ue nel caso Tercas, salvata dalla Popolare di Bari grazie al sostegno del Fondo. Ma il suo impatto è dirompente soprattutto per le quattro banche (Etruria, Chieti, Ferrara e Marche) mandate gambe all’aria con l’applicazione delle norme sul burden sharing in fretta e furia per evitare gli effetti ancora più nefasti dell’entrata in vigore della direttiva Ue sul bail-in (BRRD) dal gennaio successivo. Dopo la decisione assunta da Bruxelles nel caso Tercas, Banca d’Italia ha spiegato di aver escluso il ricorso al Fitd per impedire o limitare le perdite dei risparmiatori: “Se l’intervento del FITD non fosse stato configurato come aiuto di Stato, l’operazione di salvataggio delle quattro banche da parte del FITD non avrebbe comportato il sacrificio dei diritti dei creditori subordinati e sarebbe avvenuta valutando le sofferenze delle banche a valori di bilancio”, ha spiegato. Escluso il Fitd, le soluzioni alternative al burden sharing erano allora state considerate da Palazzo Koch più penalizzanti per azionisti e creditori – come la liquidazione coatta – o non percorribili – come l’intervento volontario delle banche.

Quest’ultimo merita un capitolo a parte. Dopo la decisione dell’Antitrust Ue su Tercas, il primo fondo interbancario restituì le somme versate alle banche del consorzio di istituti privati. Successivamente le risorse vennero versate nuovamente nel fondo “parallelo” ma volontario, nato per aggirare i paletti posti da Bruxelles. Grazie all’aiuto del Fitd con una cifra tutto sommato non proibitiva (poco meno di 300 milioni) la Popolare di Bari riuscì così a completare l’acquisizione di Tercas. La decisione di Bruxelles arrivò quando i colloqui tra banche, autorità e Fondo interbancario erano ormai a uno stadio già avanzato. Si stava lavorando su uno stanziamento di circa due miliardi per evitare il collasso dei risparmi dei quattro istituti. Il pesante divieto posto da Bruxelles mandò tutti i piani all’aria. Non ci fu più il tempo materiale per intervenire visto che il fondo volontario nacque una settimana dopo l’avvio della risoluzione, resasi oramai necessaria per il drastico peggioramento delle condizioni delle quattro banche. Ora la Corte Ue dice che il divieto posto da Bruxelles, da cui deriva l’ingente distruzione di ricchezza e di fiducia dei risparmiatori italiani, non era legittimo. Il presidente dell’Abi Antonio Patuelli ha chiesto le dimissioni della Commissaria Vestager.

La Banca Popolare di Bari valuterà “azioni di rivalsa e richieste di risarcimento nei confronti” della Commissione.

 

Fonte: www.huffingtonpost.it




Dirigenza ex TERCAS: sembrava impossibile non restituire i soldi

Il filo conduttore, dopo sei mesi di udienze, resta sempre lo stesso. Anche quando a parlare in aula sono gli imputati.

«La banca era solida, impossibile non poter ridare i soldi»: dice Lucio Pensilli, 69 anni, ora in pensione, all’epoca dei fatti dirigente dell’Area Finanza della banca e in questa veste imputato insieme ad altri 27 nomi nel processo per la presunta truffa con le azioni ex Tercas. Per tutti l’accusa è quella di truffa in concorso: all’ex direttore generale Antonio Di Matteo, a diversi dirigenti, direttori di filiali e molti semplici impiegati la Procura (pm Enrica Medori) contesta di aver venduto delle azioni facendole passare invece per cosiddetti «pronti contro termine».

I fatti contestati risalgono al 2011, prima del commissariamento della banca avvenuta nel 2012. Pensilli, rispondendo alle domande del pm, ha ripercorso tutte le tappe della vicenda, ricordando come la prima operazione di quel genere fu messa in atto nel 2010. Operazione che andò a buon fine.
«Nel 2010 il direttore generale Di Matteo convocò una riunione con i responsabili dell’area finanza e commerciale e con i capo area dei due settori», ha detto Pensilli, «la sera prima mi chiese di preparargli un prospetto sui dividendi che la banca avrebbe distribuito a maggio 2011. Sul momento non sapevo a cosa servisse, dopo la riunione ho capito che poteva servire a supportare l’operazione. Di Matteo disse di effettuare una vendita di azioni Banca Tercas per un certo lasso temporale, offrendo un rendimento del 2%».

L’operazione fu riproposta negli stessi termini l’anno successivo, con l’unica differenza di un lasso temporale più ampio (un anno rispetto ai sei mesi) e un rendimento garantito del 3%. Ed anche in quel caso, ha detto Pensilli, l’operazione venne illustrata da Di Matteo.
Alla domanda se ci furono obiezioni l’ex dirigente ha risposto:

«Eravamo un po’ tutti, me compreso, degli yes man. Nel senso buono».

Sul commissariamento, rispondendo al giudice Flavio Conciatori, ha detto: «Il commissariamento per me era inverosimile. Tenga conto che la semestrale della banca, il primo semestre del 2011, aveva chiuso con un utile consolidato di 20 milioni. Per non parlare poi dell’ispezione di Bankitalia, che si era chiusa positivamente».

Oltre a Pensilli altri quattro imputati si sono sottoposti all’esame nell’udienza di ieri che si è aperta con l’audizione di due clienti che avevano comprato le azioni. Si torna in aula il 9 aprile con l’audizione di altri testi ed eventuali altri esami degli imputati.

 

Dal quotidiano “Il Centro” del 20/3/2018